capitolo 2

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Mentre camminavo lungo il tunnel che mi avrebbe condotto all'aereo ripensavo a quel volto.

Ero sicura di averlo già visto da qualche parte, ma non riuscivo a ricordare dove.

“benvenuta a bordo” mi accolse l'hostess con un sorrisetto sforzato sul viso.

Il mio posto si trovava poco prima dell'ala, nella parte anteriore dell'aereo. Mi sedetti vicino al finestrino e appoggiai il mio zaino sotto al sedile.

Mi sono sempre piaciuti gli aerei, forse per il fatto che sono l'unico modo che ha l'uomo per vedere il mondo da un'altra prospettiva.

È bello vedere tutto quello che ci circonda quotidianamente dall'alto, dà un senso di liberà.

Tiro fuori dal bagaglio a mano la mia amata Canon e scatto qualche foto all'aeroporto.

“mi scusi... è permesso?” sento una voce non tanto distante.

Mi giro e vedo di nuovo l'omone farsi spazio fra gli altri passeggeri per poi fermarsi qualche posto dietro di me e sollevare con molta facilità il bagaglio per metterlo nel vano sopra il sedile.

Nel frattempo si era accomodata vicino a me una bambina. Avrà avuto all'incirca 8 o 9 anni.

Mi allacciai la cintura proprio quando l'aereo stava per decollare.

Dal mio entusiasmo apparivo come una bimba che va a prendere il regalo di ricompensa per essere stata promossa.

“ora ho capito!” urlai quando l'aereo era già abbastanza alto nel cielo.

La bambina affianco a me si girò di scatto per fissare quella sciocca ragazza seduta lì di fianco che aveva appena urlato non si sa bene per quale ragione.

Mi girai verso la bimba.

“si, ora ho capito. Quell'uomo era un vecchio collega di papà quando ancora lavorava a Seattle. Avevo ragione, capisci?” raccontai alla bambina.

Lei mi guardava come si guardano i pazzi, e forse ne aveva tutti diritti. Le stavo parlando di una cosa che con lei non centrava niente.

Rimisi a posto la macchina fotografica e tirai fuori l'iPod dalla tasca della giacca.

Quando schiacciai il tasto play partì la musica e con lei anche il mio cervello. “Forse quell'uomo aveva notizie di papà, cioè, non si può mai sapere” e continuai a pensare fino a quando non sentii l'aereo rallentare.

Con la musica il tempo passa sempre tropo veloce.

Tirai fuori la macchina fotografica per immortalare le persone nell'aereo mentre applaudivano al comandante.

La bambina era scomparsa e con lei molte di quelle persone mentre io ero rimasta lì con l'iPod in una mano e la Canon nell'altra.

“merda” imprecai a bassa voce.

Afferrai di corsa lo zaino per mettere via tutto e scendere velocemente dall'aereo alla ricerca dell'uomo che avrebbe potuto cambiarmi la vita.

C'era solo un problema... non lo trovavo, c'era troppa gente.

Corsi come non mai verso il nastro dove si ritirano i bagagli e, mentre pregavo che la mia valigia venisse scaricata prima della sua lo vidi. Era esattamente dall'altra parte davanti a me.

Feci un gesto di vittoria quando vidi passarmi davanti la mia valigia...

“no, aspetta” la valigiona si stava allontanando.

Visto che la ma reputazione non è mai stata delle migliori avrei preferito non fare quello che feci. Infatti salii sul nastro gigante per rincorrere quella dannata...

“scusi... lei! Non è che potrebbe fermare quella valigia?” sì, avevo appena chiesto alla persona che stavo cercando di salvare la mia valigia.

Molta inventiva mi dicono, però resta il fatto che ora avevo una scusa per parlargli.

Altro problema... come facevo a scendere dal quel robo? Decisi di buttarmi per terra, tanto ormai avevo fatto quello che avevo fatto e cosa sarebbe mai stata una figura di merda in più?

Mentre ero sdraiata a pancia in giù sul pavimento freddo dell'aeroporto l'uomo si avvicinò con la mia valigia per riconsegnarmela.

Perfetto... mi alzai in modo scomposto davanti ai suoi occhi.

“ehi, tu sei quella che all'imbarco mi è venuta addosso.” affermò con la minaccia di un sorrisetto sulle labbra. “stai bene?” mi chiese mentre mi porgeva il bagaglio.

“si, sono io...” non sapevo proprio come dirglielo. “scusi se le lo chiedo, ma per caso lei conosceva una certo James Harris?”

Lui mi fissava con un'espressione indecifrabile. Non sapevo che dire.

“piacere, sono la figlia” gli tesi la mano.

“piacere... Martin. Sì, si che conoscevo tuo padre ma è da tanto che non lo sento.”

una lacrima minacciava di scendere lungo il mio volto “in realtà è da tanto tempo che non lo sento pure io... volevo chiederle se ha più avuto sue notizie, ma a quanto pare... scusi per il disturbo” afferrai il manico della valigia e mi girai per andarmene.

“aspetta... come ti chiami? Perché non l'hai più sentito? Sempre se non sono scortese a chiedertelo.”

mi rigirai i scatto “Juliet” i quel momento volevo solo andarmene per affogare i miei pensieri in un mare di lacrime, ma decisi di raccontare a Martin quello che era successo.

“ora capisco... ma, cosa ci fai qui a Londra?” mi chiese per provare a tirarmi su di morale.

“mi hanno offerto un lavoro presso un giornale locale come fotografa ufficiale, pare che quella che c'era prima si sia licenziata...”

“ma hai già un posto dove stare, vero?”

gli dissi che avrei alloggiato in hotel fino a quando non avessi trovato un appartamento in affitto a un costo accettabile.

Mi informò che suo figlio divideva l'appartamento con due amici conosciuti proprio qui a Londra e che se mi interessava poteva anche chiedergli se c'era un posticino anche per me.

Sì, certo, non rientrava esattamente nei miei piani, ma almeno avrei diviso l'affitto con altre persone.

“mi farebbe molto piacere” affermai con un sorriso da ebete stampato in faccia

“bene... se mi lasci il tuo numero di telefono ti faccio sapere entro domani, penso” detto questo si segnò su un foglietto il mio numero e mi lasciò lì, avviandosi velocemente verso l'uscita.

Afferrai il cellulare dalla tasca dei jeans per chiamare mia madre.

“pronto!” una voce squillò dall'altra parte.

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