Il Frutteto

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  Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!

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Selinsgrove

Il silenzio, l'abbandono.
Questa era l'aria che si respirava tra i rami e le siepi della Villa.
Julia l'aveva lasciata da tempo, ma non vi ero più tornato.
Il custode la teneva abitabile, ripuliva l'interno e curava il giardino ma, gli avevo detto di non occuparsi del frutteto. Dalle scale che scendevano giù, verso il sentiero che conduceva al centro, tra i meli, nulla doveva essere toccato.
Rimasta chiusa per mesi, alla fine avevo deciso di liberarmi di quel peso, di quella sensazione di asfissia che mi provocava ogni telefonata del custode.
Un tempo, l'avevo comprata da mio padre per non perderne i ricordi, per non lasciarli sbiadire o distruggere da altri. Lui ne era stato sollevato e anche io.
Ora però, ora che tutti quei presupposti si erano cancellati, ora che avevo dissipato le tenebre e ritrovato la luce, non vi era più motivo di indugiare.
Grace, la mia adorata madre aveva vissuto tra quelle mura, ma anche Richard, mio padre, si era liberato di quel ricordo portando l'adorata moglie con se, nel cuore, senza aver bisogno di una casa che gliela facesse sentire vicina. Per anni, il frutteto era stato il mio ricordo di Julianne, per anni avevo usato quel luogo come tramite per i miei pensieri sull'angelo che mi avrebbe salvato.
Per anni, fin quando Julienne era tornata nella mia vita.
In quel frutteto ci eravamo fermati più volte a parlare del nostro passato, avevamo deciso di creare un futuro tra quei meli...
Eppure la polvere, un tempo spazzata via dalle lacrime di una gioia ritrovata, era tornata.
Cosi come l'erba, cosi come è giusto che sia di un luogo che perde la sua santità.
Era tempo di lasciarsi alle spalle il passato, oramai vissuto.
Tempo di dimenticare.

Scesi piano i gradini della scala, l'edera aveva adornato naturalmente il passamano, regalando una bellezza naturale, più di quanto la mano umana potesse fare.
Mi fermai a guardare quel luogo, sarebbe stata l'ultima volta.
Il sentiero era cosparso di foglie ingiallite, un vento freddo soffiava con una delicata forza tra i rami, producendo una musica naturale quasi eterea.
I passi erano lenti, delicati, quello era un santuario, l'ultimo pezzo di una santità oramai perduta, l'ultimo legame col cielo.
La luce calava sulle siepi, i meli si intravedevano dipinti di un arancio sfumato, tendente al rosa.
Sembrava che quel luogo si curasse da se, nonostante le siepi incolte, le foglie abbandonate e i rami cresciuti, il frutteto manteneva una parvenza di Eden, di anima propria, di vita ultraterrena che, solo la natura aveva il diritto di governare.
Arrivai al mio melo e lo guardai, accarezzandone il tronco ruvido. I profumi, quello che la mia vista riusciva a carpire, parlavano di pace, pace nonostante l'abbandono, pace di una fine annunciata, di un destino segnato.
Mi sedetti sull'erba, fissando il cielo, i rami incorniciavano gli spicchi azzurri, sfumati di giocose nuvole rosate. La sera si stava impadronendo del cielo, rincorrendo la luce e facendola sua, mischiandosi e danzando con essa, per un capolavoro di colori che richiamava l'essenza della superiorità divina.
Mi era sempre piacuto osservare il cielo da li, dove i primi pensieri su Dante mi avevano invaso, dove avevo scelto la mia strada, vissuto i miei periodi bui, smaltito i miei tormenti e i miei dolori.
Ora ero li, a salutare con un Addio quel luogo che mi aveva cullato, amato, curato.
Luogo di santi e di sogni, luogo di promesse e di virtù.
Era tempo di chiudere quel capitolo della mia vita, capitolo vissuto, sentito, strappato dall'anima con dolore.
Un capitolo che avevo impresso e a cui non dovevo più nulla.

Avevo venduto la casa a una bella famiglia, l'avevo scelti con cura tra le proposte, avevo fatto loro un buon prezzo e avevo visto la loro felicità durante la firma del contratto.
Avrebbero trattato bene la villa, cosi come i giardini. Avevano accettato le mie clausule di buon grado, il giardino non sarebbe mai stato distrutto.
Avrebbero portato le risate, i pensieri e i giochi di tre bambini che sarebbero cresciuti tra i dipinti naturali più meravigliosi che potevano sognare.
Era stata una buona scelta.
Il frutteto forse, avrebbe visto un nuovo Dante e una nuova Beatrice, rincorrersi e ritrovarsi...
Questo confortava la sensazione di perdita che sentivo in quel momento dedicato all'estremo saluto.

Rimasi li, per il tempo che serviva alla mia anima, per il tempo che era necessario a ringraziare quel luogo dei suoi mille ricordi, delle sue mille emozioni.
Quando ogni parola silenziosa fù espressa dal mio cuore, quando ogni sguardo fù soddisfatto, quando l'anima si sentì pronta, mi alzai.

" Incipit Vita Nova. Apparuit iam beatitudo vestra. "

Un'ultima carezza si scambiò tra il mio palmo e il melo, tra i miei occhi e il giocare del cielo.
Il frutteto non era più mio, ne la mia vita vi avrebbe più dimorato.
Quel santuario però avrebbe per sempre racchiuso e custodito i ricordi, di chi come me, prima di me e dopo di me, avrebbe lasciato in esso parte della propria anima.

⊰Gabriel⊱

Gabriel©
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Gabriel Emerson - La Vita dopo Il ParadisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora