II: Scimmie.

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La notte mi sogno la gente: pare uscita da qualche quadro tedesco del primo '900. Mi circondano tutti deformi e con la pelle dai colori assurdi ed accesi. Si gonfiano e sgonfiano, allungano e restringono come elastici, come se fosse tutto un cartone animato. Le loro bocche sono la cosa che più mi terrorizza: le possono mettere in tutte le direzioni, farle a forma di tromba, allargarle a dismisura mostrando denti enormi e bianchi come tasti di pianoforte e la lingua che ci sbatte contro, in alcuni appuntita, in altri larga o sottile come una frusta. Hanno gli occhi iniettati di sangue, tanto grandi da occupare quasi tutta la faccia, e le pupille al posto delle iridi: li spalancano pieni di odio e disgusto contro di me e cercano di afferrarmi con mani artigliate. Non riesco a capire ciò che dicono, le loro voci sono suoni di tromba, esplosioni, ruggiti, urla lancinanti.

Mi capita spesso di sognare la gente. Il Dottore dice che è un sintomo della mia malattia, come il mal di testa. "È perché pensi troppo", dice. "Devi imparare a pensare il giusto".

Ma stanotte ho avuto un incubo ben peggiore. Ho fatto tanto casino da risvegliarmi in infermeria, legato al letto. Davanti a me c'era il Dottore: mi hanno detto che è rimasto tutta la notte a vegliarmi.

Mi ha fatto slegare, mi ha visitato e chiesto cosa ricordassi. Poi mi ha invitato a scriverne sul diario. Ed ecco, allora.

Nel sogno ero un osservatore esterno. C'era una stanza dalle pareti grigie e aspetto asettico; davanti a me stavano tre sedie su cui erano legate tre piccole scimmie. Avevano la testa scoperchiata e il cervello esposto con dei cavi infilati dentro. Le scimmie mi guardavano con aria terrorizzata ma immobili, poi qualcuno ha fatto scattare una leva e hanno iniziato a contorcersi e urlare sempre più forte. Una persona in camice bianco e mascherina verde di carta è apparsa dal lato destro e le ha slacciate, poi in una frazione di secondo le sedie sono scivolate sotto il pavimento e le scimmie sono rimaste appese a mezz'aria. Si muovevano come se fossero attraversate dall'elettricità: era una danza spastica in cui le zampe scattavano senza coordinazione, sempre più veloci, e intanto continuavano ad urlare e urlare coi loro versi acuti e disperati. Come se stessi guardando un film, la mia vista si è alzata e ha cominciato a spostarsi a destra. Potevo vedere le file di cavi attaccate in orizzontale sul soffitto: si estendevano per qualche passo dal punto in cui erano le cavie per poi scendere giù. La telecamera del mio sguardo si è abbassata e ho visto un enorme cervello dentro cui i cavi andavano a conficcarsi. Era rosa e tondo, liscio, sospeso nel vuoto. In realtà non somigliava per nulla ad un cervello ma nel sogno sapevo che lo era. Ondulava flaccido e sembrava pieno di qualche liquido, a destra aveva una valvola nera da cui si intravedeva un tubo. La telecamera ha ripreso a spostarsi verso destra: seguivo il tubo nero sospeso in aria e sentivo l'angoscia stringermi sempre di più, finché non è apparsa la maschera. Una ragazzo svestito era legato per il busto ad una sedia nera, appesa al soffitto da un palo verticale attaccato alla spalliera. Lo vedevo di profilo: si muoveva anche lui agitando le braccia e le gambe nude bianche, vorticandole come se non avessero le ossa. Il tubo finiva piantato nella bocca di una maschera nera che gli racchiudeva tutta la testa. Agitava il capo per sottrarsi alla roba che gli arrivava in faccia. Lo sentivo urlare nella mia testa, piangere in modo soffocato. Quel tipo ero io.

Il Dottore sembrava divertito: mi ha arruffato i capelli e detto che non dovevo preoccuparmi, che anzi avere paura fa parte della terapia. Significa che sto cominciando a provare emozioni normali come tutti. Io gli ho spiegato che provavo paura e gioia e amore e qualsiasi altro sentimento come tutte le persone anche prima di venire qui, ma lui ha sorriso a testa bassa e detto che le mie emozioni sono troppo represse e io troppo rigido. "Devi aprirti agli altri - ha concluso - tirare giù il muro di pensieri negativi che non lascia filtrare quello che sei dentro e impedisce a noi di arrivare a te." Poco prima che tornassi nella mia stanza, mi ha dato una pacca sulla spalla, riconsegnato il diario e detto che probabilmente il sogno è stato dovuto alla paura di quel che si racconta sulla terapia mediatica. In realtà non c'è niente di terribile: ha funzionato con molte persone con la mia stessa malattia e non è nulla di mostruoso, ha detto il Dottore. Domani farò la mia prima seduta, allora gli ho chiesto in che consiste questa terapia. Lui ha detto che mi faranno semplicemente vedere un film.

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