Era trascorsa una settimana da quando Nanni aveva lasciato la chiesetta e Joseph si sentiva nuovamente solo. Era circondato dal silenzio più totale ed assoluto. Non aveva più nessuno con cui parlare, condividere i propri pensieri o le paure sul domani. Non c'era più quel qualcuno di tanto divertente o buffo, come lo era Nanni, da prendere bonariamente in giro ma, soprattutto, non c'era più nessuno da confortare e da consigliare per tenere occupata la mente: ora, in quel luogo umido e buio, c'erano solo Joseph e i suoi ricordi.
Per far fronte alla solitudine e per vincere la malinconia di quei momenti, si dedicò interamente alla costruzione dell sua casa sugli alberi. Iniziò a preparare le assi che occorrevano per allestire la parete sud e le tagliò alla misura di due metri e cinquanta centimetri. Altre assi, invece, le avrebbe tagliate più corte per lasciare uno spazio quadrato, utile ad inserire la finestra al centro della parete stessa. Misurava, segava, tagliava, smussava, piallava ed infine forava. Due fori all'inizio delle assi e altri due alle estremità di esse in modo da poterle legare al ramo su cui era fissato il pavimento e a quello in alto che attraversava tutta la parete. Poi, una volta legate, sarebbe passato alla loro inchiodatura per renderle più unite e sicure. Lo a sera Joseph era sfinito ma, nonostante ciò, non si dava per vinto e, orgoglioso del proprio lavoro, si avviava verso la chiesetta per la cena. " Certo che il lavoro si sta facendo lungo ma sono sicuro che, con pazienza e volontà, un giorno sarà pronta ed abitabile! ".
Dopo alcuni giorni la parete fu sistemata e fissata ai rami che la sostenevano con alcune corde e vari chiodi. Si appoggiò con forza alla parete per verificare la sua resistenza e l'intelaiatura non cedette minimamente facendolo esultare di gioia. Infine si affacciò al quadrato che ave a lasciato aperto per inserirvi la finestra e rimase compiaciuto ad ammirare il paesaggio dinanzi a lui.
I giorni che seguirono Joseph preparò le assi per le pareti laterali, impiegando meno tempo per la lavorazione grazie all'esperienza acquisita in precedenza. Quando le assi da lui preparate furono pronte per l'installazione, le accatasto' coprendole con gli ondulati e si prese qualche giorno di riposo.
Un pomeriggio della sua breve vacanza, Joseph decise di far visita a Matteo e, dopo essere sceso dalla metropolitana alla fermata della Crocetta, si accorse che era ancora presto per entrare in ospedale, così si diresse verso la vicina chiesa di San Calimero. Il profumo d'incenso e l'odore del fumi che emanavano le candele lo invitarono a sedersi e ad immergersi in quella piacevole pace che portò il suo pensiero verso i propri cari. Pensò a Sofia e non poté fare a meno di rimproverarsi che era trascorso molto tempo dall'ultima volta in cui era stato a trovarla al cimitero. Dal momento della tragedia non era ancora riuscito a convincersi che il corpo della sua sorellina giaceva, privo di vita, sotto una fredda lapide di marmo, così preferiva immaginarla felice tra gli angeli del paradiso. Ricordò il volto dei suoi cari genitori, le loro raccomandazioni e e aspettative che nutrivano dal loro unico figlio maschio e, nel profondo dell'animo, provò una grande nostalgia per tutti i rimproveri di suo padre e per le tante raccomandazioni della madre affinché potesse diventare un uomo onesto e colto e non certo un barbone costretto a vivere in una piccola chiesetta umida. In quell'istante avrebbe voluto avere la possibilita' di stare insieme a loro per essere certo di non avere tradito la fiducia e la stima che serbavano nei suoi confronti. Avrebbe desiderato vedere anche il suo migliore amico che gli era stato accanto nei momenti di grande difficoltà: il caro e saggio Pietro che ora, dal cielo, vegliava e proteggeva tutti i barboni di Milano. Infine le ali dei suoi pensieri si posarono su Luisa, la donna che non aveva saputo amare. Forse sarebbe bastato un po' di coraggio o un invito a cena, dei complimenti carini... invece l'aveva sempre trattata come una seconda sorella. Con lei era gentile e premuroso, ma non si era mai sbilanciato nel dichiararle i suoi sentimenti. Li teneva nascosti nella dolce speranza che un giorno avrebbe avuto la forza necessaria per esprimere il tenero amore che ardeva nel proprio cuore. Invece, piano piano, la perse per sempre. Pensò che, forse, se avesse osato di più non si sarebbe ridotto in quel misero stato, ma si rassegnò all'idea che, a volte, il destino poteva giocare brutti scherzi imprevedibili.
Il rintocco della campana lo distolse dalle sue riflessioni e lo riportò alla dimensione reale.
Joseph e i signori Riboldi rimasero con Matteo per due ore, poi lasciarono l'ospedale felici nell'aver appreso che il ragazzo sarebbe stato dimesso il sabato seguente. Marisa si rivolse al marito emozionata e disse: " caro?! Chiedi a Joseph dove andrai a prenderlo domenica per portarlo a casa nostra... dato che non sappiamo dove... abita!".
" Giusto! Me ne stavo quasi dimenticando... dove ti vengo a prendere?".
Joseph, un tantino titubante, restò un attimo pensoso, poi azzardò un'idea. " Umh... non saprei... vediamo... conosci la Tavola Calda da Gino? Si trova in periferia, nella parte est di Milano, vicino alla Barona. Potrei aspettarti lì! ", Marco cercò di sforzare la sua mente per cercare di visualizzare il luogo, ma non ci riuscì così propose un'altra soluzione:" senti... facciamo una cosa! Ti accompagnamo in macchina... tanto è ancora presto! ".
" Ottima idea! Così da Gino potremo assaggiare le sue specialità! Credimi... sono davvero buone! Fa delle brioche che se ne mangi una, alla fine non ti fermi più! ".
La station wagon del signor Riboldi sfrecciava veloce per le vie di Milano e Joseph, di tanto in tanto, gli indicava la strada da percorrere. Marisa, per spezzare l'imbarazzante tensione che regnava sovrana su di loro, disse:" noi abitiamo in via Mercanti, vicino alla galleria Vittorio Emanuele secondo, in un appartamento di un palazzo grandissimo, all'interno del quale c'è anche lo studio di mio marito. Il nostro è un appartamento così carino che non lo cambierei per nulla al mondo. Inoltre si trova al quarto piano, così abbiamo la possibilita' di ammirare la splendida città di Milano ed è situato al centro e, mi creda, è molto comodo quando si ha la necessità di spostarsi da un luogo all'altro!".
Marco notò che il barbone provava un immenso disagio nell'ascoltare Marisa che descriveva in maniera pomposa le caratteristiche del loro meraviglioso appartamento e la interruppe bruscamente: " Marisa! Scusa...," e si rivolse a Joseph: " ora, se non sbaglio, al semaforo dovrei imboccare corso ticinese...". Joseph intervenne facendo un sospiro di sollievo: " sì, esatto! Ma non percorrerlo tutto; più avanti devi voltare a sinistra e continuare sempre dritto fino alla Barona, poi verso Buffalora c'è la Tavola Calda. ". Dopo un altro quarto d'ora di tragitto, MN arco posteggio' l'auto nel parcheggio adiacente al locale ed insieme scesero dalla macchina ed entrarono da Gino.
Il proprietario era dietro al solito bancone e, non appena vide l'amico, lo salutò poi, accortosi che era in compagnia di altra gente, rimase educatamente in silenzio ad attendere le loro ordinazioni. Il locale era ancora semi vuoto e Joseph invitò i coniugi Riboldi ad accomodarsi ad un tavolo, in un angolo appartato. Successivamente chiamò Gino facendogli segno di avvicinarsi a loro e il brav'uomo, con il sorriso stampato sul volto, accorse immediatamente.
" Loro signori desiderano?" , chiese in tono scherzoso.
"Dai, Gino! Non fare lo scemo! Ti presento i signori Riboldi, miei amici!". Gino s'inchino' rispettosamente e diede loro la mano ripetendo la domanda più seriamente:" allora, cosa vi posso offrire?". Marisa rispose affabilmente:" ho sentito parlare molto bene delle vistre specialità e vorremmo assaggiarne qualcuna! Ad esempi certe brioche che fanno venire l'acquolina in bocca, tramezzini e panini che, di certo, non saranno da meno! Lei cosa ci consiglia?". Gino risise da buon intenditore e da vero buon gustaio:" bhe'... ecco... io direi che, se non avete molta fame, gusterete certamente delle brioche fresche e appena sfornate. Vedrete saranno una bontà!". Alcuno istanti più tardi, Gino ritornò in compagnia della moglie Mirella, la quale indossava un grazioso grembiulino bianco, adornato da vari volants che le donava molto. Sulle braccia portava un vassoio colmo di brioche calde, le depose sul tavolo e, mentre gli ospiti si servivano, salutò in modo stranamente cordiale Joseph: " ogni tanto ci si rivede,Eh? Joseph? Ho sentito dire che in giro c'è una banda di teppisti che molesta i barboni, li picchia e, a volte li uccide! Stai attento, Joseph! Non girovagare da solo, specie di sera. Potresti fare dei brutti incontri!".
" Sì, è vero! Ma non dovrei correre alcun pericolo! Io sto in periferia, o meglio, in campagna e questi tizi non si scomodano più di tanto. Grazie lo stesso dell'avviso!", compiaciuto dall'interessamento della donna, Joseph prese dal vassoio un morbido dolce e lo addento' con golosità.
L'ingegnere, rivolgendosi ai proprietari della Tavola Calda, li informò che, alcuni mesi prima, Joseph aveva prestato soccorso al loro figlio, vittima di un incidente stradale, salvandolo da morte certa ed elogiò il gesto altruista che l'amico aveva compiuto. Gino, fiero di conoscere un esemplare così raro di uomo, sottolineò maggiormente l'accaduto e disse: " un cittadino meritevole come lui dovrebbe essere reintegrato nella società e non vivere di stenti ai margini di essa!", poi proseguì notando che i signori Riboldi erano d'accordo con le sue parole: " tuuti noi siamo pronti a darti una mano! Basta che tu lo voglia. Dammi retta: ti troverai contento e, un giorno, mi ringrazierai!". La signora Marisa annuì con il capo e, mentre gustava la terza brioche, disse:" è vero, Joseph! Dai ascolto al tuo amico! Mio marito ha molte conoscenze e potrebbe aiutarti a trovare un lavoro dignitoso... magari in un'impresa edile. Inoltre sei ancora così giovane! Potrai benissimo rifarti una vita!". Joseph degluti' l'ultimo boccone, poi rispose deciso:" vi ringrazio per l'interessamento, amici! Ma credetemi, prima di cadere così in basso, ho lottato con tutte le mie forze e mi sono aggrappato ad illusorie promesse. Tutti mi rispondevano... si vedrà.. lasci il suo nominativo... compili il curriculum... le faremo sapere... invece niente! Era come se chiedessi la luna; dopotutto volevo sol un semplice impiego e ho capito che elemosinare un posto di lavoro per tirare avanti non era quello che desideravo... poi una volta che ho pensato a me stesso, ho pensato a tutti, così ho preferito scegliere la libertà con tutti i vari rischi che essa comporta ", infine concluse il sui discorso dicendo:" sono stato io a scegliere questo genere di vita e non voglio cambiarla proprio adesso. Magari un domani... chissà! Per ora il mio tetto e un cielo si stelle!". Restarono tutti quanti a bocca aperta nel sentire quelle parole così sicure e così vere e, anche lo stesso Joseph, si meravigliò di aver parlato proprio come faceva il suo caro amico scomparso e, nel profondo dell'animo sentì una grande pace che gli trasmise fiducia bel domani.
Quando Joseph e i signori Riboldi terminarono di assaporare quelle squisite dolcezze, si congedarono da Gino e Mirella e tra saluti, scambi di biglietti da visita e promesse di ritrovarsi ancora, si lasciarono seguendo ognuno la propria strada.
Joseph trascorse i giorni di quella settimana esclusivamente in compagnia di Bianchetto che scorrazzava felice intorno al pianoro dei tre abeti guardando di tanto in tanto il suo padrone intento a sistemare le due pareti laterali della casa, fissarle al pavimento e ai rami sovrastanti, proprio come aveva fatto con la parete sud.
Il caldo era ormai alle porte e il sole cocente costringeva Joseph a lunghe pause di riposo nelle quali il fedele Bianchetto, ansante, gli si accovacciata vicino, sdraiandosi all'ombra dei tre giganti verdi che sostenevano il peso della piccola casa in costruzione. Joseph si sentiva stanco, ma in compenso era molto soddisfatto del lavoro svolto; ora gli mancava soltanto d'innalzare la parete principale, nella quale avrebbe lasciato uno spazio rettangolare per la porta e uno quadrato per la finestra e, solo dopo, avrebbe iniziato a lavorare alla copertura del tetto ultimando poi le imposte per le finestre e l'uscio per l'ingresso.
Domenica mattina si svegliò più tardi del solito per riprendersi dalle fatiche sostenute i giorni prima. La chiesetta offriva un ottimo riparo alla calura estiva, così Joseph si alzò in gran forma e preparò un bidone d'acqua fresca per immergersi dentro da capo a piedi lavando e strofinando in particolar modo barba e capelli. Poi, pulito e fradicio d'acqua, si stese sull'erba ad asciugare sotto il sole caldo dell'estate. I raggi solari accarezzavano la sua pelle ambrata rendendola più scura e lucente e, cullato dal tepore della mattina, si addormentò di nuovo. Fu un sonno agitato, contornato da incubi terribili nei quali si vedeva avvolto da spaventose lingue di fuoco che lo accerchiavano, lo immobilizzava e da lontano gli giungevano strazianti invocazioni d'aiuto. Tra quel rogo di fiamme vide il volto di sua madre che lo rimproverava duramente per non aver soccorso in tempo la povera Sofia.
-Dov'eri, Joseph?! Dov'eri quando tua sorella aveva bisogno di te? Eppure l'avevi promesso! Avevi promesso che le saresti stato accanto per sempre! Oh, Joseph! Joseph!-. Il suo corpo era tutto un tremito. Dalle sue labbra uscivano gemiti di dolore soffocato, gemiti d'angoscia, gemiti di terrore. Era un dolore che lo riportava indietro nel tempo. Lo riportava al momento più buio e più incerto della sua vita. Lo riportava al momento della sofferenza, quella sofferenza straziante che gli lacerava l'anima e il cuore. Quel dolore lo costringeva a confrontarsi solo con se stesso ed era da lì che Joseph voleva fuggire. Voleva liberarsi dalla voce interiore che gli diceva LA COLPA È TUA. TU L'HAI LASCIATA MORIRE!
Nel sogno Joseph urlava e correva. Correva per scappare dalle voci martellanti che gli rompevano la testa... poi si svegliò e con un balzo si mise seduto gridando: " basta! Basta! Via, via! Non sono stato io!". Bianchetto, che abbaiava spaventato, si scostò qualche metro lontano da lui e nascose il musi tutto nero tra le zampe tremanti.
Madido di sudore, Joseph s'inginocchiò prendendo la testa fra le mani e ripensò al sogno e ai fantasmi del passato che la sua mente non riusciva a dimenticare.
Erano le diciassette in punto quando Joseph si presentò alla tavola calda per l'appuntamento che aveva con l'architetto Riboldi. Giunto al locale notò subito un cartello appeso alla porta d'entrata -CERCASI CAMERIERA: ETÀ TRA I 18 E I 50 ANNI-. Il locale era colmo di gente e anche Gino e sua moglie erano molto presi a servire la moltitudine di clienti che si accalcava vicino ai tavoli in paziente attesa di vederne uno libero per prendere immediatamente posto e gustare le sospirate delizie. Così Joseph, al fine di non distrarre i suoi indaffarati amici, li salutò con un cenno della mano e uscì ad aspettare nel parcheggio dove, pochi minuti dopo, arrivò l'auto di Marco e insieme ripartirono alla volta di casa Riboldi.
Marisa stette quasi tutta sera a preparare la cena. Invece Marco e Joseph, con l'allegra compagnia di Matteo, si accomodarono nell'accogliente salotto a gustare un fresco aperitivo.
"Papà! Ma quando andiamo da Joseph a vedere la sua casa sugli alberi?!", chiese impaziente Matteo dondolando su e giù dalla sedia a dondolo in vimini.
" Ci andremo! Presto ci andremo! Quando Joseph l'avrà terminata e porteremo anche la mamma! Vero cara?", il signor Riboldi rivolse lo sguardo verso la cucina dove la sua amata mogliettina maneggiava le pentole sui fornelli.
"Certo che ci andremo! Però, Matteo, non devi essere così impaziente... anche se, a dire la verità, sono curiosa anch'io... forse più di te!". Joseph si sentì pervadere dentro da un senso di quiete e tranquillità mai provati fino ad ora e capì che quel clima famigliare lo faceva stare a suo agio, avvolto da un benessere fisico e mentale ormai da troppo tempo sconosciuto. Sorrise e, dopo aver preso Matteo sulle ginocchia, lo fece dondolare dolcemente canticchiandogli una canzone improvvisata in quel momento.
" C'era una casa sospesa nel blu
tra il verde dei rami lassù...
Aveva una porta con tre finestre,
ma che bel posto, ma che bel posto!
Non c'era niente per fare pipì...
mi scappa pipì, diceva Matteo,
non ne posso più!
Ma sotto c'era un bel prato, ma che
bel prato!
E in fretta Matteo la fece lì... "
e scoppiarono tutti quanti in una sonora risata, in particolar modo Marco che non riusciva a smettere di ridere e continuava a ripetere:" sei forte, Joseph! Questa è buona... ah, ah, ah! Bravo Joseph! È da tanto tempo che non ridevo così! ", e tutti insieme fecero un bel coro: " c'era una casa sospesa nel blu tra il verde dei rami lassù... aveva una porta con tre finestre... ma che bel posto, ma che bel posto... e risero continuando a cantarla più volte. Così, dopo tanti mesi, la famiglia Riboldi riscoprì la gioia e la serenità che aveva quasi perduto.
La serata proseguì in allegria e, tra una portata e l'altra, si parlava e si discuteva in un clima di tenera amicizia e di piacevole atmosfera famigliare. Rispettando l'orario imposto dai medici, Matteo salutò Joseph e si diresse verso la simpatica porta della sua cameretta, sulla quale vi era disegnata una divertente scenetta di un fumetto. Marco e Joseph, invece, uscirono sul terrazzo, da cui si poteva ammirare un cielo splendidamente stellato che sovrastava su Milano. Si vedeva molto chiaramente la Madonnina del Duomo, luccicante e bellissima, ma soprattutto talmente vicina che a Joseph sembrava di poterla toccare con una mano. C'era la galleria Vittorio Emanuele secondo con tutte le luci al neon, colorate e bizzarre, con le insegne dei negozi, dei bar e dei ristoranti lussuosi, ritrovo abituale della ricca e colta élite della città. Poi la piazza della Scala, sulla quale s'affacciava il famoso teatro illuminato a giorno e, più lontano, la torre Velasca dalle mille finestrelle che sembravano lucciole volanti nelle calde notti d'estate. Ed infine i palazzi: palazzi a non finire che si perdevano tra piazze e viali, brulicanti di gente immersa dal caotico traffico cittadino.
Da quell'alto balcone, Joseph cercava di cogliere i tanti volti e le varie sfaccettature dell'immensa città. Notò che essa era suddivisa in molte parti che, messe insieme, formavano un perfetto tutt'uno e la completavano in maniera uniforme rispecchiando i bisogni e i desideri di una Milano che gioisce, di una Milano che lavora, che soffre e che spera.
" Ecco! Da qui, caro amico, puoi dire che la città è ai tuoi piedi! ". Marco, fiero di abitare in quella metropoli, guardò Joseph taciturno e pensoso. In quel momento pensava ai barboni meno fortunati di lui. A quelli che vivevano di stenti, ma non tendevano la mano per orgoglio. Pensava agli emarginati che vivevano sui marciapiedi, nei parchi, nelle stazioni o nei sottoscala. A quelli che si davano all'alcool e alla droga, forse per sentire meno il freddo e le intemperie dell'inverno o forse per trovare alla forza di sopportare la vergogna di cui sono vittime. Sentiva che tutti i pensieri gli serravano la gola e il cuore e non poteva fingere di rimanere indifferente al ricordo di Pietro, di Nanni e di tutti i barboni conosciuti per la strada che vivevano ai margini della società. Poi la mente di Joseph venne distolta dalla triste malinconia quando la signora Marisa, con un elegante scialle nero sulle spalle, si unì a loro e anche lei ammirò la stupenda Milano.
Joseph si stava recando al pianoro dei tre abeti quando vide in lontananza, lungo il sentiero di campagna, una camionetta dei vigili dirigersi verso di lui. Scesero due agenti e uno di loro gli si rivolse in tono amichevole e affabile:" buongiorno, Joseph! Non ti ricordi di me? Io sono il vigile che ha portato lo zainetto di Matteo all'ospedale! ". Con aria interrogativa sul volto, Joseph espresse il proprio stupore. " Sì che mi ricordo... ma... a dire la verità non capisco! Siete qui per me?!".
"Sì. E meno male che ti abbiamo trovato! Ho l'avviso di portarti al commissariato per una testimonianza sull'incidente di quel ragazzo investito dall'auto pirata!", e mentre il suo collega consegnò a Joseph la busta contenente il mandato di comparizione, egli si accinse ad aprire la portiera dell'auto dicendo:" forza! Sali in macchina con noi. Ti portiamo dal commissario che ha urgente bisogno di parlarti! ". Joseph salì con loro sulla vettura, ma non osò domandare nulla a proposito dell'avviso, dato che i due agenti si misero a parlare fra loro ignorandolo. Giunti al commissariato, si meravigliò ancor di più alla vista di due carabinieri che piantonavano l'uomo che trasportò Matteo al policlinico. L'autista, non appena vide Joseph, esultò gridando di gioia:" finalmente l'avete trovato!! Sì, sì! È lui il barbone che ho accompagnato all'ospedale insieme al ferito! ", ma i carabinieri con tono autoritario lo fecero tacere." HEI! Calma! Calmati! Adesso lo riferirà lui al commissario!". L'indagato, spaventato dalla situazione compromettente, prese per un braccio Joseph e, sussurrando sottovoce, disse: " ha visto?! Mi stanno incastrando! Mi accusano di essere il pirata! Qualcuno deve aver dato il mio numero di targa alla polizia! La prego! La scongiuro! Mi aiuti!... lei lo sa che io non c'entro! ". In quell'istante si aprì la porta dell'ufficio e il commissario invitò entrambi ad entrare. Dopo dieci minuti i due uomini uscirono e l'autista, assolto, non fece di meglio che invitare Joseph al bar per offrirgli la colazione.
Nei giorni seguenti il caldo divenne insopportabile e l'afa toglieva il respiro. Il cielo azzurro lasciava splendere un cocente sole, dall'alba fino al tramonto.
Al mattino Joseph si alzava presto dedicando alcune ore al lavoro della sua casa, poi di rifugiava in chiesetta, al riparo della soffocante calura estiva, in compagnia di Bianchetto che boccheggiava, trascinandosi stancamente e cambiando continuamente posto, in cerca di un po' di refrigerio.
Erano i primi giorni d'agosto e la città si stava svuotando. Fabbriche, ditte, negozi, ristoranti: tutti con le saracinesche chiuse. L'esodo verso i mari e i monti era iniziato. I pochi cittadini rimasti in attesa della prossima partenza scoprivano il volto di una Milano nuova: più tranquilla, meno caotica e accogliente.
Anche i clochards ne approfittavano per recarsi all'idroscalo o lungo il Naviglio, la spiaggia dei poveri, per liberarsi dello sporco accumulato durante l'anno e concedersi un bagno rinfrescante, lavando pure la biancheria per poi stenderla ad asciugare al sole come esperte massaie.
Anche la tavola calda da Gino era chiusa per ferie, così Joseph per due settimane non avrebbe potuto godersi l'amicizia del proprietario e gustare le sue morbide brioche calde. Però, nonostante ciò, stava bene. Solo, lontano da tutto e da tutti, immerso nel verde della campagna e al fresco, tra le diroccate mura della vecchia chiesetta abbandonata. Inoltre aveva escogitato un ottimo sistema per conservare le provviste. Aveva scavato una profonda buca e lì vi aveva riposto i viveri, ben protetti e avvolti in sacchetti di plastica, coprendo il tutto con una grata a piccoli fori per tenere areato il primitivo frigorifero, in grado di mantenere intatto più a lungo il cibo.
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Sotto Il cielo Grigio Di Milano
Художественная прозаStoria d'amore tra due clochard ambientata a Milano. Jana e Joseph vivono avventure ed emozioni intense che li porteranno ad affrontare la loro difficile situazione con coraggio e determinazione, grazie anche al forte legame che li lega.