8 CAPITOLO

4 0 0
                                    

Joseph rimase per molto tempo inginocchiato e con il capo chino di fronte alla sua tragedia. Poi, però, l'orgoglio superò la pena che lo affliggeva e, dopo essersi armato di coraggio, cercò di riprendersi. Una forza strana lo spinse a reagire e balzò in piedi per raccogliere tutto il materiale sparso attorno al pianoro dei tre abeti. Con calma recuperò ciò che il vento aveva disperso tra l'erba e accatasto' con cura le assi, le tavole e gli ondulati che avrebbe utilizzato ancora per ricostruire la sua casa è lì appoggiò ai tronchi dei tre alberi. Pensava che questa volta avrebbe dovuto costruirla più solida e soprattutto più stabile, di modo che la costruzione rappresentasse un corpo unico con gli alberi e seguisse i movimenti e le oscillazioni dei rami. Ciò l'avrebbe resa più sicura e meno rigida.
Per alcuni giorni studiò nei minimi dettagli i punti d'appoggio fra i rami per poter installare con maggior sicurezza le tavole per la pavimentazione, poi alla sera si recava alla casa d'accoglienza dove trovava una cena pronta e la comprensione di una donna innamorata che, ogni volta, lo aspettava con impazienza. Alcune sere, invece, era troppo stanco per raggiungere Jana e preferiva rifugiarsi nella sua chiesetta a cucinarsi un brodo caldo e restare solo con i suoi pensieri a meditare su tante cose e, in particolar modo ora che nella sua vita c'era Jana, sul futuro.
Nonostante la triste realtà della casa distrutta, Joseph reagì bene alla situazione. In fondo adesso c'era Jana a colmare le sue angoscie e le sue paure del domani. Lei era bella, sensibile, buona e dalla vita chiedeva soltanto il grande e vero amore. Le apparenze, la vita facile, il denaro o il lusso non erano vizi che la attraevano. Mirava solamente alla ricchezza dei sentimenti, alla lealtà dei rapporti e alla fedeltà che scaturiva sincera dal profondo del suo cuore. Jana aveva acquisito queste virtù solo percorrendo il cammino della sofferenza, del sacrificio e della rinuncia e tutto ciò le aveva temprato l'anima, l'aveva portata a migliorare sé stessa e capire il dolore degli altri. Quell'insano dolore radicato nel cuore di chi lo provava. Era per questo che Joseph desiderava fortemente ricostruire la sua casa: per il suo futuro da condividere giorno per giorno con lei.
Lavorava con impegno e passione, dall'alba al tramonto, spinto esclusivamente da questi buoni propositi e dopo un mese era riuscito ad ottenere un buon risultato. La pavimentazione era solida e non lasciava intravedere imperfezioni di nessun genere. Anche le due pareti laterali, che aveva fissato al pavimento, erano state rafforzate ai rami e unite con corde più grosse, intrecciate in modo da formare un corpo unico insieme alla robustezza dei tronchi. La sera scendeva al Ferrotel e, mentre cenava con Jana, la teneva informata sul suo lavoro e su come si presentava la casa. Lei lo ascoltava interessata e osservava quell'uomo dal cuore d'oro che, con l'ingenuità di un bambino, esponeva le proprie idee sulla possibilità di una vita futura insieme.
Jana trovava che Joseph era molto diverso dagli altri barboni che si lasciavano andare e, privi di dignità, erano sconfitti dalla vita, con l'orgoglio soffocato dalla pietà degli altri e dalla loro stessa commiserazione di uomini falliti e abbandonati al proprio destino. Lui, invece, sapeva reagire, lottare e dare un senso alla sua vita. Era per questo motivo che Jana sentiva di amarlo e di stimarlo per la sua generosità e per tutte le qualità che caratterizzavano il suo essere così speciale.
Il barbone non andava tutte le sere al Ferrotel; a volte rimaneva nella sua chiesetta come un eremita e amava ascoltare il mistico silenzio che gli penetrava l'anima e gli diceva tante cose. Gli sussurrava all'orecchio cose piacevoli e gli riportava alla memoria gli attimi d'intimità vissuti con Jana e, gelosamente, racchiudeva quei dolci ricordi in un angolo nascosto nel suo cuore. Il silenzio, però, gli ricordava anche cose tristi e nostalgiche del suo passato. Un passato trascorso con gli amici. Quegli amici che ora sentiva lontano, persi di vista e mai più rincontrati. Amici che non avrebbe mai scordato e avrebbe custodito per sempre nella mente per riuscire ogni tanto a tuffarsi negli anni addietro e confrontare, senza rimpianti, l'uomo di allora con quello di adesso.
Una sera, dopo una lunga giornata di lavoro, decise di recarsi da Jana. Era piuttosto tardi, ma con l'arrivo della primavera le giornate si erano allungate e la serata era ancora chiara. Entrò nel salone e il solito odore acre di zuppa è minestrone raggiunse il suo olfatto mettendogli un certo appetito. I tavoli erano quasi tutti occupati dai clochards che, indifferenti al suo arrivo, continuavano a gustare la loro umile cena. Giunto a metà salone, si bloccò come folgorato: Jana e la direttrice erano sedute ad un tavolo in fondo è, appartate, stavano discutendo animatamente con Andrea. Intenti com'erano a parlare fra di loro non videro minimamente Joseph che, imperterrito, assisteva alla scena. Andrea, con il viso pallido e addolorato, implorava sua moglie di ritornare con lui e anche Alessia stava illustrando a Jana gli aspetti positivi di una loro possibile riconciliazione. Joseph, in silenzio e sotto shock, alzò i tacchi e fece dietro front allontanandosi furtivo e, una volta in strada, si mise a correre all'impazzata per sfuggire da quella visione maledetta. All'improvviso rallentò il passo è, con calma, cercò di riordinare le idee. Passeggiò per le vie di Milano vagando senza una meta è pensando ad un probabile futuro senza Jana. Ora che quell'individuo l'aveva rintracciata non se la sarebbe fatta scappare tanto facilmente e in men che non si dica l'avrebbe convinta a cambiare in meglio la sua vita. Joseph continuava a riordinare i pensieri e a formulare ipotesi sulle possibili scelte di Jana mentre si avviava a notte fonda verso il suo rifugio. "Jana rinuncerà alla vita facile che il marito potrà offrirle o forse preferirà continuare a vivere di stenti e di umiliazioni in una città che ormai la considera una barbona? Chissà se l'amore che nutre per me è tanto forte da permetterle di privarsi di tutte quelle agiatezze?". Dopo aver ponderato tutti gli aspetti, si convinse che il suo amore vissuto con Jana era soltanto un bel sogno che stava svanendo velocemente come nebbia al sole e, alla luce chiara dei fatti, ogni illusione tornava al posto giusto, ricreando un'immagine vera della realtà che si presentava nitida ai suoi occhi. Sdraiato sulla panca, con gli occhi rivolti al muro, Joseph non riusciva a prendere sonno: pensava a lei e si torturava con domande a cui non riusciva a rispondere. " L'ho sentita fremere e gioire fra le mie braccia! Di sicuro non stava fingendo quando, stretta a me, sussurrava TI AMO! MI HAI DONATO GLI ATTIMI PIÙ INTENSI DELLA MIA VITA..... Poi, amareggiato, parlò ad alta voce: " ricordi... sono solo ricordi, forse già dimenticati!", e nell'oscurità della notte si lasciò cullare da quei momenti di infinita dolcezza, carichi di tanto sentimento, per sentirsi ancora vivo e aggrapparsi a quel sottile filo di speranza che non voleva morire.
L'alba, con il suo chiarore, rischiarò tutto l'interno e Joseph, stremato dai dubbi, ritrovò un po' di pace abbandonandosi ad un riposo ristoratore. Dormiva, ma il suo sonno era un dormiveglia agitato da incubi ricorrenti in cui i soliti fantasmi del passato ritornavano a ferirgli la coscienza. "Dov'è tua sorella, Joseph?! L'hai lasciata morire tra le fiamme! E ora cerchi di distruggere la vita di un'altra donna, ormai legata al suo destino?! Che futuro le potrai offrire?! Vediamo... una vita fatta di stenti, una casa sugli alberi poco rassicurante, il vagabondaggio sulle strade insieme a te e ad altri barboni disperati. Oppure le potresti far seguire la stessa strada del tuo amico Pietro, morto di freddo tra le tue braccia! Non t'illudere, vecchio mio, anche il tuo bastardino ti ha lasciato, preferendo la sua vita da cani alla tua, incivile e balorda!". Joseph sognava parole dure che gli laceravano l'anima, parole taglienti dettate da una coscienza troppo rigida legata ad un passato tormentato e pieno di sensi di colpa, da dimenticare. Era ormai mattino inoltrato quando si svegliò e, dopo aver tracciato il bilancio della situazione, si convinse che avrebbe dovuto attendere pazientemente e, quasi sicuramente con poche speranze, la scelta di Jana. Non aveva voglia di nulla, tutto gli sembrava inutile e banale e anche la casa che stava ricostruendo ormai non aveva più senso. Se Jana fosse tornata con suo marito, si sarebbe sentito perduto, finito e ferito. Inoltre alla sua età la vita non gli avrebbe serbato più niente se non un grande vuoto che nessuno sarebbe stato in grado di colmare. Di fronte a questa angosciante prospettiva, Joseph scese al pianoro dei tre abeti e, con malinconica nostalgia, osservò la sua casa di nuovo in costruzione. Il suo animo era privo di volontà e il desiderio di vederla finalmente finita si era spento, lasciando soltanto un'insana rabbia che gli suggeriva di distruggere per sempre il sogno di una vita. Salì sulla scala appoggiata al tronco di un abete e raggiunse la piattaforma del pavimento: vi sostò alcuni attimi guardandosi attorno, poi si appoggiò ad una parete e la scosse violentemente con l'intenzione di strapparla. In preda ad un raptus di follia, continuava a colpire e strattonare le assi che oscillavano paurosamente, senza però staccarsi dai legami a cui erano saldamente legati. Dati che la costruzione non cedeva, capì che avrebbe dovuto arrampicarsi più in alto e slegare la fune che, attorcigliata ai tronchi, teneva unita saldamente tutta l'impalcatura. Attaccandosi tra un ramo e l'altro, Joseph salì con facilità raggiungendo la cima, all'altezza di circa sette metri, dove la fune teneva legati fra loro i tronchi degli alberi, su cui vi erano sospese le pareti della casa. A quell'altezza i rami erano più sottili e, sotto il suo peso, uno di essi cedette e si spezzò. Joseph precipitò nel vuoto e cadde pesantemente sul pavimento della casa che non resse all'impatto del suo corpo: la piattaforma si ruppe e Joseph continuò la sua caduta trascinando con sé anche le assi rotte e la scala che era appoggiata al tronco. Infine si fermò con un gran botto sul terreno sottostante. Rimase steso per terra, coperto dalle tavole spezzate e dalla scala che gli cadde pesantemente sopra. Il colpo ricevuto fu violentissimo al punto da fargli perdere completamente i sensi.
Erano le due del pomeriggio quando Joseph si riprese e si accorse di essere steso a terra, intriso in una pozza di sangue, sommerso dalla scala e dalle assi che si erano rotte in mille pezzi. Fece per rialzarsi, ma i forti dolori alla schiena e alla gamba lo tennero inchiodato al terreno. Faticosamente tentò di liberarsi dal materiale che gli era caduto addosso e, facendosi forza, cercò di rialzarsi in piedi senza ottenere alcun risultato: la gamba destra restava immobile e dolorante e la schiena sembrava trafitta da tante schegge che lo infilzavano al più piccolo movimento. Fiotti di sangue colavano dalla sua fronte e ciò lo fece spaventare. "Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi aiuti!", ma il silenzio che lo circondava era terribile e agghiacciante. Il viso e la barba erano sporchi di sangue che, copioso, sgorgava dalla ferita che partiva dall'attaccatura dei capelli e terminava nel punto dove si trovava l'arco sopraccigliare destro. Toccò con la mano la ferita e le dita gli si colorarono subito di rosso, bagnate dal suo sangue. " Devo fermare l'emorragia altrimenti rischio di morire dissanguato! ". Joseph, in preda al panico, pensava ad un modo per arginare il sangue, intanto cercava nelle tasche un qualcosa di utile al suo scopo. Trovo' uno straccio che riuscì ad estrarre a fatica dai pantaloni, ma si accorse che era troppo corto per fasciare il capo, così lo appoggiò sulla fronte insanguinata e premette stretto. " Devo trovare la maniera di fasciarmi, poi tentero' di alzarmi e di scendere sulla Statale a chiedere aiuto. ", disse fra sé con coraggio, tentando di non pensare alla gravità della situazione. " La camicia! Certo... la camicia! Come ho fatto a non pensarci prima! ". Si levò di dosso con grandissima fatica il maglione pesante, poi slacciò il polsino della camicia e strappò dal braccio un lembo di tessuto ottenendo, così, una lunga fascia di tela grigia. Con quel pezzo di tela si asciugò l'occhio che ormai era coperto di sangue un po' coagulato e tamponò anche quello che gli scendeva sul viso, sulla barba e sul torace, macchiandolo completamente. Con le mani tremanti dalla paura, cercava in qualche modo di fasciare la testa, stringendo i denti per sopportare le atroci fitte che avvertiva alla schiena e alle vertebre. Riuscì a fasciare il capo ben stretto e, fortunatamente, sembrava che quel profondo taglio avesse smesso di sanguinare. Poi si lasciò andare, appoggiando la testa sopra un ciuffo d'erba e stese le braccia adiacenti al corpo, rimanendo fermo un po' di tempo per riprendersi dallo sforzo. Trascorse all'incirca un'ora in quella posizione: immobile e imperterrito, come se stesse attendendo qualcosa o qualcuno che lo aiutasse e lo portasse via lontano, per non fargli più sentire sofferenza, paura e rancore verso quella vita ingiusta che gli stava scivolando lenta tra le mani. Ad un tratto si svegliò di soprassalto: era ancora vivo e avvertì che il dolore per la forte botta ricevuta si era leggermente attenuato e che l'emorragia si era arrestata. "Ma è mai possibile che nessuno passi di qui?!", pensò Joseph, " non ho mai visto anima viva passare da questo maledetto pianoro! Non posso certo pretendere che qualcuno, per sbaglio, capiti da queste parti proprio ora! Devo assolutamente spostarmi da qui... almeno potessi arrivare al sentiero! ". Sempre steso per terra, alzò gli occhi e vide sopra di sé i tre splendidi abeti che sembravano dei maestosi giganti. " Avreste dovuto essere il mio rifugio, la mia dimora, la mia futura casa! Invece temo che sarete la mia tomba! ". Joseph pianse e le sue lacrime rigarono il viso sporco di sangue, dall'espressione sconfitta e angosciata a causa di un crudele destino che stava spegnendo la sua vita. Ma lui non era ancora pronto a morire! Non voleva arrendersi, doveva reagire perché sentiva che non era ancora giunta la fine. Joseph sapeva che la sua vita non poteva concludersi in quel modo ridicolo e spietato. Non era giusto lasciar vincere il fato è morire senza avere lottato. Non era giusto andarsene in quel modo e non avere più la sua ragione di vita, il suo stimolo per andare avanti, il suo grande tesoro, la sua dolce e bella Jana. Scacciò dalla mente il pensiero della morte, mosse braccia e mani tastando le sue doloranti membra. " Per adesso sono ancora vivo! Ma domani?! Chissà! Sicuramente se non mi allontano da qui, di speranze ne avrò poche!". Si fece forza e strisciò all'indietro appoggiandosi sui gomiti. Riuscì con grande fatica a spostarsi di qualche metro, poi dovette desistere. La gamba destra, che trascinava sull'erba, sembrava gli si staccasse dal corpo talmente era flaccida e molle. Non poteva sollevare la schiena e le costole, che appoggiate al suolo, sembrava volessero uscire dalla pelle talmente pungevano. "Probabilmente ho la gamba destra rotta e le costole mi fanno male da morire!", disse Joseph demoralizzato, lasciandosi cadere completamente sull'erba. La ferita al capì si riaprì di nuovo e il sangue fuoriusciva dalla fasciatura formando dei rivoli che scorrevano lungo l'occhio destro e scendevano lungo la guancia, disperdendosi tra la folta barba. Sforzandosi di rimanere calmo, afferrò il maglione e lo premette contro la testa con l'intento di fermare l'inizio di quella nuova emorragia. Rimase così per un po' caricando la mente di pensieri positivi, nonostante la tragica situazione lasciasse poche speranze. Cercò di avere fiducia. Fiducia nel destino, nel domani e in sé stesso. Il suo fisico era forte, temprato dal freddo e dalle intemperie del tempo, perciò contava di resistere e di attendere, prima del sopraggiungere della notte, l'aiuto di qualcuno.

Sotto Il cielo Grigio Di MilanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora