2. Troppo tardi

1.6K 156 10
                                    

È da una settimana che non vedo il cosiddetto "Nessuno". Comincio a pensare che lo abbiano ucciso, date le circostanze. Ma una mattina lo vedo passare per il corridoio. Non porta più il suo vestito nero, ma ha dei vestiti bianchi addosso, come tutti noi. Entra durante un'ora di esperimenti fisici, nei quali ci fanno combattere corpo a corpo fino a che uno dei due non muore o resta, comunque, gravemente ferito. Tutti mi evitano, come al solito, sono un'arma letale. Quando entra lo riconosco a malapena, vestito com'è. Eppure il suo sguardo, freddo ed egoista, è inconfondibile. Il nostro supervisore di turno è Thomas Garten, un omaccione di origine tedesca, che si diverte a vederci uccidere a vicenda, uno dopo l'altro. Mi indica con un sorriso maligno in volto, dicendo a Nessuno che sarei stata la sua avversaria. Si avvicina a me senza far trasparire nessuna emozione, e si ferma proprio ad un metro di distanza. È più alto di me di almeno dieci centimetri, ed è molto muscoloso. Non un facile avversario.

— Non credere che ti risparmierò solo perché sei una ragazza e sei più piccola di me. — afferma con fare autoritario, ma allo stesso tempo annoiato. Lo guardo e gli sorrido.

— Neanche io ti risparmierò, anche se sembri molto femmina, "Nessuno".— rispondo, ironica dopo tanto tempo. Non parlavo da quasi un anno con nessuno, questa volta nel vero senso della parola.
Sembra seccato dalla mia risposta, perciò si avventato su di me senza preavviso, facendomi cadere a terra sotto il suo peso. Capisco subito che non è debole, ma ho fiducia nelle mie capacità. Mi libero dal peso del suo corpo, mentre sento lo sguardo di Thomas fisso su di noi. Non posso che sentirmi lusingata e nervosa allo stesso tempo. Non voglio che lui gioisca per una mia sconfitta, ma voglio dimostrargli che mi deve temere anche, come sua eventuale nemica.
Mi concentro sul mio avversario, che adesso non stacca gli occhi da me, segue ogni mio movimento, ed io faccio lo stesso, naturalmente.

— Sei veloce. — ansima, ma senza alcun sorriso, solo l'esposizione di un pensiero oggettivo.
Sorrido.

— Troppo tardi per i complimenti. — rispondo, passando, con uno scatto fulmineo, alle sue spalle e buttandolo a terra. Si rialza subito, feroce, accanito. Per quanto non si tratti di un semplice combattimento, - ne va della nostra vita - sembriamo esistere solo io e lui da soli. Nessuno dei due ha paura, è questo che attira l'attenzione di Thomas. Io non ho intenzione di risparmiarlo, come lui non ha alcuna intenzione di risparmiare me. Mi tira un pugno, facendomi rotolare diversi metri più in là. Io, con il fiato corto mi rialzo per restituirgli il colpo, ma qualcuno mi tira i capelli da dietro con forza, ributtandomi a terra. Mi volto per vedere chi è. Thomas Garten mi osserva severo e pieno di disapprovazione.

— Tu. Seguimi. — non protesto, e lo seguo con diligenza per i corridoi tutti uguali incredibilmente illuminati, abbandonando il ragazzo in mezzo alla stanza. Non guardo la sua espressione, ma sono quasi convinta che abbia una buffa espressione di sorpresa in viso.
Dopo diversi corridoi e scale, arriviamo davanti ad una grande porta, che sembra essere particolarmente importante. Il mio accompagnatore mi fa segno di entrare e così faccio. Non temo cosa possa contenere, ho imparato a non temere nulla in quel posto, una tortura disumana.
In fondo alla stanza c'è un'enorme e candida scrivania, dietro alla quale siede la persona che mi ha trascinata lì. Che mi ha torturata e strappata alla mia famiglia, facendole dimenticare di me, di tutto quello che è successo mentre io ero nelle loro vite. Prendo un respiro, e mi avvicino lentamente alla sua postazione, cercando di controllare la rabbia e il nervosismo.

— Kimberly, quanto tempo. Sai, continuo a domandarmi perché i tuoi genitori non ti abbiano dato un nome italiano, ma inglese. È curioso, no? — stringo le labbra e i pugni, per fargli capire che sono lì solo perché devo, non certo per fare conversazione. L'uomo sulla trentina dietro alla scrivania mi guarda divertito, come se la mia sia proprio la reazione che si aspettava da me. Aspetto, prima di rispondere. Aspetto, cercando di reprimere tutti i pensieri negativi e gli insulti che potrei farmi scappare. Inspiro profondamente e butto fuori l'aria per calmarmi.

— Perché sono qui? — domando di rimando, ignorando le sue parole. Sorride. So bene di non poter fare un passo falso al suo cospetto, ma ogni vota mi viene impossibile.

— Lo sapevo, che non mi avresti lasciato temporeggiare. Mi disprezzi, ma dopotutto è il mio scopo. L'odio rende più forti. E tu hai molto odio dentro di te, Kimberly. Sei la più forte, la più temuta. Non vorrai essere rimpiazzata da uno qualunque, che arriva all'improvviso e riesce addirittura a scaraventarti a terra, mi auguro. — Allora è per questo che mi ha chiamata, perché temeva il ragazzo potesse battermi. Lo guardo, nel modo più impassibile che riesco, anche se so di far trasparire comunque le uniche emozioni che mi suscita: odio e rabbia, solo un mucchio di brutti e nitidi ricordi nella mia testa.

— Se ho intenzione di morire lo farò, e questo non riguarderà né te né questo mondo di robot e macchine al vostro cospetto. La mia vita non ha senso in queste quattro mura, e molti mi domandano perché io non mi sia ancora uccisa. Tu lo sai, perché sono qui a parlare con te? — sbatto un pugno sulla scrivania bianca, e lui mi rivolge un sorriso malizioso e canzonatorio.

— Perché te l'ho ordinato io. —

—NO! — grido, spingendo la testa sempre più vicina a lui, mentre le guardie mi tengono da dietro con forza. — Perché in questo mondo di pazzi, non ci sarà mai tregua. Senza la gente che lotta contro quelli come te, il mondo sarebbe già finito da anni. Per quanto io possa essere considerata pazza, ho solo capito una cosa: voi, senza noi, senza quello che chiamate pericolo, non siete nulla. Cadrete in basso, in un posto, se esiste, peggiore di questa terra. — le guardie cominciano a trascinarmi via, ma lui le blocca con un gesto della mano. Sorride ancora, io lo so, perché è pazzo.

—Finché detengo io il potere, però, la tua sorte è nelle mie mani. — fa una pausa per allargare - se possibile - ancora di più gli angoli della bocca. — Chiudetela nella sala del corpo a corpo da sola con il ragazzo. Finché uno dei due non raggiunge la morte. —

***

Dopo venti minuti è di nuovo di fronte a me, con lo sguardo impassibile e senza emozioni,come sempre.
Ovviamente, per ordini superiori, nella stanza ci siamo solo io e lui. Ci sono telecamere ovunque, che ci osservano seguendo ogni nostro movimento.
Appena provo ad attaccarlo, lui è più veloce di me e mi scansa facendomi cadere a terra con un colpo sul collo. Dolorante, ci metto un po' a rialzarmi, e per fortuna lui non se ne approfitta. Una vota in piedi, cerco di fargli un mezzo sorriso.

— Sei veloce — dico tra gli ansimi e i respiri affannati, citando le sue parole di qualche ora prima.

—Troppo tardi per i complimenti.— risponde, lanciandosi contro di me. Io mi scanso appena in tempo, ma lui riesce comunque a colpirmi una guancia, cose se sapesse già che mi sarei spostata da quel lato in quel preciso momento.

Sei un'ingenua.

Sento la sua voce rimbombarmi nella testa, e spalanco gli occhi, ricordando mi di quando mi ha salvato la vita. Sembrava che fosse riuscito a leggere nella mente dell'uomo.

Esatto: posso prevedere ogni tua mossa, non hai possibilità di vittoria, contro di me.

Sento ancora, non capisco più quali sono i miei pensieri e qual'è la sua voce, sapendo che ho una fervida immaginazione.
Comincio a pensare - benché sappia che lui può ascoltare tutto - a quello che posso fare.

Libera la mente.

Mi ordino da sola, chiudendo gli occhi e concentrandomi il più possibile.

Non lasciare che le emozioni ti sopraffaggano.

Continuo, facendo respiri lunghi e lenti, alzando e abbassando il petto in modo regolare e calmo.
Spalanco gli occhi di colpo, e tutto, nella stanza, si ferma, lui compreso. Mi volto versa la telecamera di fronte a me e ringhio, arrabbiata e soddisfatta, nonostante sia debole e sappia di non poter resistere molto.

— Non riuscirai mai a domarmi. Sono due anni che ci provi, sarebbe anche l'ora di arrendersi, no? — sono sicura che dietro la sua scrivania, lui stia sorridendo. Ma io non resisto più, e cado a terra, dolorante, sapendo che non avrebbe mai il coraggio di uccidermi. O di farmi uccidere. Perché nonostante io lo odi, resto sempre la sua preferita.

D I F F E R E N TDove le storie prendono vita. Scoprilo ora