Un cenno bastò a Sherlock per salutare l'ispettore, mentre John presentava Marina al resto di Scotland Yard.
-Come si chiamava?- chiese pragmatico Sherlock, già chino sul cadavere, col cervello che lavorava a pieno ritmo, ce se non lo facesse già da quando Lestrade l'aveva chiamato.
-Payne- mormorò una voce rotta, -Trevor Payne-.
-Marina...- John le si avvicinò, protettivo.
-Lo conoscevi?- disse leggermente interessato Sherlock, corazzandosi dietro la freddezza scientifica.
Lei annuì piano. Quando John le strinse un braccio, tremava.
-E'... Era un... Un amico. Un bravo soldato...- disse meccanicamente, quasi una formula apotropaica, con gli occhi lucidi.
-Che serviva la patria con onore, scommetto- ironizzò tagliente Sherlock, sbuffando, -non è questo che mi serve, Marina. Lo conoscevi davvero?- disse guardandola con gli occhi di ghiaccio, serio.
La donna lo fulminò sul posto.
-Non hai un minimo di rispetto, detective-.
-Consulente, prego- commentò.
Sherlock roteò gli occhi, infastidito.
-Non ti sei ancora arresa alla fatalità meccanicistica della morte, soldato?- disse alzandosi, fronteggiandola con il suo metro e ottanta abbondante di altezza.
Lei digrignò i denti.
-Sherlock, smettila- mormorò John.
Lui scosse la testa.
-Non la vedi? Su, forza, nessuno la vede?! Nessuno vede che stai mentendo, Marina, sei brava, lo ammetto, ma niente mi sfugge. Soprattutto in questi casi. E lo sai benissimo- concluse con un sorrisetto.
John la guardò, dubbioso; sapeva che Sherlock aveva praticamente sempre ragione, quindi aveva dei legittimi dubbi sulla donna.
-Non sono affari tuoi, detective-
-E' proprio questo il bello, Marina. Sono proprio affari miei- ghignò diabolico il consulente.
-Sei così viscido-
Sherlock sorrise e si mise a girare lentamente nella stanza.
John conosceva ogni singola conseguenza di quei gesti, quel sorriso da demone, estatico, a tratti sadico. Sapeva cosa stava per succedere e non era pronto. Non era affatto pronto, lo sapeva benissimo, ma non poteva fermarlo, non ora che Marina si stava mordendo un labbro, gli stava stringendo la mano sul braccio (lo stava facendo davvero?) così stretta che sentiva vagamente i battiti rapidi del suo cuore.
Sherlock aveva colto nel segno: era davvero bravo, dannazione.
-Non sono affari tuoi, Trevor era un brav'uomo, non ti permetterò di insultarne la memoria, solo per il tuo mero divertimento- lo minacciò sibilando la donna.
-Non credo ti sia chiara la proporzione di quello che io posso fare, Marina. Persino un soldato valoroso e pieno d'orgoglio e coraggio come John non si oppone, perciò... Non credo riuscirai ad impedirmi dal dire alla polizia che, beh, innanzitutto non era esattamente un bravo soldato. Aveva diversi contatti con terroristi di cellule dormienti qui a Londra.-
-Non ci crederò mai- replicò lei.
-Oh, ci crederai. Se annusi la sua giacca scoprirai l'intrigante odore tipico dei loro luoghi di culto e, indovina un po'...? Il suo cellulare era pieno di contatti di noti terroristi. Ops- ghignò lui.
Lei non replicò, le lacrime le scendevano piano.
-Ah, e se proprio vuoi saperlo...Tradiva la moglie- la scrutò per un attimo e poi fece un'espressione meravigliata, -oh... Ma tu lo sapevi già, vero...?-.
-Non ti permetto di parlare così di lui!- urlò lei.
Lui si limitò a sorridere serafico.
-E invece dovrebbe farlo ancora, purtroppo...- mormorò una voce dietro di loro.
Marina si voltò di scatto.
-Myc, no... Ti prego...- sussurrò lei.
Comparve Lestrade dietro di lui.
-Signora, mi dispiace, ma dobbiamo... Interrogarla. La prego di seguirci in commissariato- disse lui, piano.
Lei guardò Mycroft con gli occhi sgranati, e John le strinse il braccio.
-Andrà tutto bene, Marina...- le mormorò piano.
Sherlock guardava la scena senza parlare, chiuso nel suo ermetico silenzio.
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Una figlia inaspettata - Parte Seconda
Hayran KurguIl sequel di "Una figlia inaspettata". Sherlock Holmes e John Watson vivono nella Londra contemporanea e mandano avanti l'attività di consulenza investigativa per Scotland Yard. Le novità sono due: Marina e Siria, madre e figlia, italiane. Il colpo...