7. Presagi

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-Greg, sono John-, disse l'ex medico militare.

Seguì un attimo di silenzio, in cui tutti lo stavano fissando mentre sgranava leggermente gli occhi e socchiudeva le labbra, lo sguardo diventava torbido, acceso solo da un'unica scintilla.

-Ok, arriviamo, abbiamo delle novità, ve le comunicheremo di persona-, disse, chiudendo la chiamata.

Sherlock era scattato in piedi, col solito sorriso trionfante ed euforico.

-Ne hanno trovato un altro,-, annunciò laconicamente, -ci aspettano lì-.

Il gruppo si mise in moto e, venti minuti e una corsa in taxi dopo, arrivarono sulla scena del crimine, un parco quasi alla periferia di Londra. Venne loro incontro Lestrade, che guardava Siria con aria preoccupata.

-Credo sia opportuno che la ragazza non veda-, disse fermo.

-Ormai le scene di omicidio non sono un problema-, disse Siria.

Lestrade prese John e sussurrò al suo orecchio:- E'... E' che le vittime hanno... John, diversi agenti si sono sentiti male. Non voglio esporre una ragazzina a questo, non posso permetterlo. Tantomeno tua figlia.-.

-Va bene,-, disse, inquietato dalla preoccupazione dell'ispettore, -Siria, tu resterai qui-.

-Non ho intenzione di farlo-, disse, fissandoli.

-Lei viene.-, disse risoluto Sherlock, con un tono che non ammetteva repliche di alcun genere.

-No, Sherlock-, si impose Lestrade, -lei è fuori. Le riporteremo ciò che deve tradurre. Fine. Entrate.-, concluse, mentre Sherlock socchiuse la bocca per protestare, poi si fermò ed entrò, silenzioso.

Siria si sedette fuori, senza opporre resistenza; aveva capito che era qualcosa fuori dalla sua portata dal pallore dell'uomo, sempre così sicuro. John si fidava di lui, e Siria del padre, quindi era fuori.

Appena dentro, il gruppo venne assalito dal nauseante odore del sangue rappreso. Sherlock e John si scambiarono un'occhiata. Lo scenario che si aprì nell'ampio salone era raccapricciante: un uomo era incatenato al muro, accasciato su se stesso, su un pavimento interamente ricoperto di sangue, insieme ad altri due cadaveri, orribilmente dilaniati.

Sul muro appena sopra l'uomo incatenato, campeggiava la ricorrente scritta:

  « La bocca sollevò dal fiero pasto

quel peccator, forbendola a' capelli

del capo ch'elli avea di retro guasto. »


Marina impallidì, scossa da un brivido profondo: conosceva il necessario per capire ciò che aveva davanti agli occhi.

-Marina...?-, fece John, con tono caldo.

-S-sì, ci sono, John.-, disse respirando lentamente, -Quello è il conte Ugolino. C'era una leggenda che racconta che lo imprigionarono in una torre con i figli e che... Ne abbia mangiato le carni, una volta che questi erano morti di fame.-, concluse, mormorando appena.

Sherlock era immobile, perso nel proprio mind palace, pensava a pieno ritmo. Non capiva. Non capiva la ferocia, non riusciva a catalogarla come mera follia, c'era un piano sotto, e Marina e Siria ne erano parte. Si avvicinò quasi automaticamente ai due cadaveri, dopo aver indossato un paio di copriscarpe.

-Sappiamo chi sono?-, disse John.

Lestrade scosse la testa, replicando che ci stavano lavorando, ma avrebbero fatto sapere le identità.

L'atmosfera era immobile, pesante, sembrava che l'inferno stesso fosse entrato in quell'anonimo salotto tinto di rosso sangue, che Lucifero in persona fosse salito dagli Inferi e avesse commesso quel macabro delitto.

-Come se Lucifero in persona fosse salito dagli Inferi...-, mormorò Sherlock.

John lo guardò interrogativo.

-Sherlock, ma...-, osò dire, prima di essere interrotto.

-La violenza aumenta. Stiamo scendendo nel suo regno. O meglio, sta portando il suo regno sulla Terra... Quest'uomo crede di essere il diavolo, John. Prima lo fermiamo e prima il picco di violenza cesserà-.

John percepì una tensione mai avvertita prima nella sua voce. Era insolita, instabile, quasi come se intuisse quanto fosse importante fermare l'assassino, ma non ne capisse il perché, la ragione più profonda, oltre quella della sicurezza pubblica; e questo destabilizzava John.

Una figlia inaspettata - Parte Seconda Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora