Qui, tra le stelle.

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Ogni giorno andavo lì, invisibile, a guardarti.

Era una sorta di rito silenzioso, impossibile da trascurare.

Non potevo smettere di amarti.


Adempivo solo alla mia ultima promessa, quella promessa che ti feci prima di chiudere gli occhi, di entrare nel buio, prima ancora di vedere e sentire la Forza pervadere il mio corpo.
Beh, forse non era e non è tuttora esattamente il mio corpo, ma è ciò che mi permette di sfiorare le cose del mio mondo, quindi lo considero tale.


Il primo giorno è stato straziante: io non ero del tutto abituata alla mia nuova forma, era passata una sola notte. Deve sempre passare una sola notte prima di poter ritornare dove hai vissuto.


Non potei far altro che guardarti buttare via il mantello e gironzolare per la tua nuova casa. Ti sedesti sul letto e togliesti dalla cintura una spada laser, rigirandotela tra le mani. La mia vista era appannata, ma io conoscevo quella spada.


La mia spada.


Quanti ricordi, vaghi e confusi, che si affacciavano alla mia ancora debole mente. Avevo sognato? Stavo anche in quel momento solo sognando? Era tutto così strano in quel momento.


Provai a chiamare il tuo nome, ma sentii un sussurro appena percettibile uscire dalle mie labbra. Provai ancora, ancora e ancora. Ma nulla, tu non mi vedevi, io non potevo muovere un passo verso di te.


E non riuscivo a raccogliere più il fiato.


E non riuscivo più a modulare la mia voce nella gola per dire, per chiamare, per dimostrarti che ero lì, per attirare la tua attenzione, per farti vedere che sto bene e la mia promessa l'ho mantenuta.
Per dire e sentirmi dire il tuo nome ancora una volta, una maledetta volta. E ripetevo finché una mano sul braccio mi trascinava lontano da lì e finché non avevo la gola in fiamme, senza ottenere mai niente:


«Obi-Wan!»


Ti vidi, di notte, sdraiarti sul giaciglio e chiudere gli occhi. Avevo imparato che, per quanti sforzi facessi, i vivi non possono vedere i morti. A meno che non avessi seguito la lezione di mio padre a proposito di come racimolare la Forza che ci tiene prigionieri in quel mondo di anime, splendido eppur così... oppressivo.


Non potevo mostrarmi a te, ti avrei distrutto. Anche se era immensamente doloroso, preferivo rimanere in disparte a guardarti dormire in silenzio, seduta sul davanzale della tua unica finestra, finché non sentivo sul braccio la mano di Qui-Gon che mi allontanava da te.


Ti vidi di notte, sdraiarti sul giaciglio e chiudere gli occhi. Sì, ti vidi, ma non potei far altro che continuare a guardarti mentre scoppiavi in lacrime. Non ho mai visto un Jedi piangere, dubitavo perfino che potessero farlo prima che mio padre mi disse che, trent'anni fa, l'aveva fatto anche lui.
Sentii il mio nome sussurrato dalle tue labbra tremanti, una, due, dieci, cento volte, finché non ti addormentasti, stremato.

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