*non editato, perché mi scocciavo*
Evan lo sta guardando con gli occhi scuri colmi di lacrime, illuminati solo dalla piccola abat-jour posta sul piccolo comodino di fianco al fasciatoio. Ha i suoi stessi occhi, gli stessi che Zayn vede ogni mattina guardandosi allo specchio - o forse quelli del bambino sono ancora più incredibili, con quelle pagliuzze argentate - e continua a piangere. Il ragazzo ha ormai perso il conto di quante volte si sia alzato nel cuore della notte sentendolo urlare - che fosse per la fame, per il pannolino sporco, per la solitudine o per chissà cos'altro. Ha perso il conto di quante volte l'abbia preso in braccio chiedendogli in un sussurro che c'era che non andava, e ha perso il conto dei pannolini cambiati, dei biberon riscaldati alle quattro del mattino o delle notti passate a camminare per la sua cameretta col piccolo in braccio, che se l'avesse rimesso a letto lui avrebbe ricominciato a piangere.
In un certo senso ormai ci aveva fatto l'abitudine. Tutti quei piccoli gesti erano diventati routine. Dal modo in cui il bambino voleva essere coperto dal lenzuolo o si sarebbe rotolato nel lettino tutta la notte, al modo in cui voleva essere tenuto in braccio, in modo da poter posare una manina sul suo collo e la testa di capelli ricci sul suo petto, poco sopra il cuore. Si era abituato a scendere dal letto al primo gemito, al primo singhiozzo, o al massimo nello stesso istante in cui Evan scoppiava in lacrime; Zayn si alzava e correva da lui, pur di far dormire la propria fidanzata, piuttosto di non dormire lui stesso - il che capitava spesso, tanto spesso. Si era abituato ad inventarsi qualche storia e raccontargliela con una voce da perfetto idiota, fregandosene perché era per suo figlio che lo faceva, e ne sarebbe sempre valsa la pena. E si era abituato ai pannolini, ai biberon, ad asciugargli le lacrime con le dita e a baciargli pianissimo il viso finché non lo vedeva scoppiare di nuovo a sorridere, come se niente fosse accaduto.
Aveva il sospetto, però, che non si sarebbe mai abituato a vederlo così. Con gli occhi sgranati dalla paura e colmi di lacrime, con le labbra schiuse che gli tremavano incontrollate e le manine un po' paffute che si stringevano inconsciamente sulla sua maglietta non appena lo tirava su dal letto e se lo stringeva contro - come a dirgli che ora che c'era lui a stringerlo non avrebbe più dovuto avere paura, perché passava tutto, tutto spariva, e che il suo papà avrebbe sempre combattuto contro i mostri.
«Va tutto bene, piccolo...», gli sussurrò, forzando un mezzo sorriso e passandogli un pollice sulla guancia per asciugarla dalle lacrime. «Era solo un brutto sogno, mh?», mormorò ancora, disegnando dei cerchi sulla sua tutina celeste, accarezzandogli delicatamente la schiena. Evan si strinse di più al suo papà, stringendo una mano sul suo collo e mugugnando qualcosa di incomprensibile.
Ma non c'era bisogno di capire cosa avesse detto. Zayn sapeva cosa voleva che facesse. Sapeva perfettamente che c'era una sola cosa che poteva calmarlo in situazioni del genere. E non era farlo mangiare, cambiarlo o rimetterlo a letto facendo finta di nulla. Evan non avrebbe dormito. Si sarebbe rimesso a piangere, chiamandolo... ed era straziante da sentire, faceva male al cuore. L'unica cosa che voleva suo figlio dopo un brutto sogno era sentirlo cantare; lo tranquillizzava, era come un balsamo, lo faceva scivolare di nuovo nel sonno come se nulla fosse.
Così Zayn sollevò leggermente la persiana per poter far entrare la luce della luna e spense la lampada, ritrovandosi nella penombra, con Evan tra le braccia che ancora lo guardava come se fosse sul punto di piangere, col labbro inferiore protruso all'infuori e gli occhi neri ancora sgranati dalla paura. Gli accarezzò i capelli dolcemente, prima di iniziare a canticchiare. A bocca chiusa, a voce bassissima, solo un sussurro. Cullando il bambino tra le braccia e camminando avanti e indietro per la stanza, dalla porta alla finestra e ritorno, fino a farsi sfuggire un sorriso quando lo sentì posare la guancia arrossata dal pianto sul proprio petto.
Funzionava sempre.
Prese a cantare appena un po' più forte, quando lo sentì mugugnare contro la propria maglietta, come fosse insoddisfatto. Proprio come sua madre, pensò il ragazzo dai capelli neri. Lo fece sorridere, quel pensiero, mentre continuava a canticchiare piano e a camminare lentamente, cullandolo, sentendo il suo respiro farsi a mano a mano più regolare, più tranquillo, segno che stava scivolando a poco a poco nel sonno.
E Zayn avrebbe potuto continuare a canticchiare mettendo di nuovo suo figlio nel lettino. C'era una buona possibilità, però, che si sarebbe svegliato di nuovo non appena posata la testa sul cuscino. Avrebbe potuto portarlo in camera con sé e farlo sdraiare tra sé e la sua mamma; ma anche in quel caso si sarebbe agitato per la distanza da quell'abbraccio e da quelle labbra soffici che gli sfioravano le testa mentre cantava.
Era come se Evan in un certo senso avesse un bisogno costante del contatto fisico. Era così fin da quando era più piccolo, muoveva le manine per aria finché qualcuno non gli avvicinava un dito da poter stringere... e ora che era più grande era la stessa cosa, cercava qualcosa da stringere, qualcosa a cui attaccarsi, non importava che fosse il collo del papà o i capelli ricci della mamma.
Quindi in un certo senso Zayn non se la sentiva di staccarsi da lui. Si sentiva in colpa a lasciarlo.
La soluzione era continuare a cullarlo. Tenerlo in braccio e stringerlo. Canticchiare con le labbra sulla sua testa e camminare avanti e indietro, fino a sentirlo respirare più pesantemente, più tranquillo. Lo guardò sbadigliare, sbuffare l'aria dalle guancia e accoccolarsi di più contro il proprio petto, strofinando i capelli sulla sua gola. E sorrise, sbadigliando con lui e passandosi una mano tra i capelli scompigliati dal sonno, riprendendo poi a cantare per lui e andando lentamente a sedersi sulla poltrona che di solito usava la sua ragazza quando si addormentava con Evan sulle gambe, abbracciato alla sua vita.
Si sedette, stiracchiandosi leggermente e sbadigliando ancora, sentendo Evan sospirare e mugugnare qualcosa, ancora nel dormiveglia. Zayn ridacchiò tra sé, stringendolo un po' di più e sussurrandogli qualche parola di conforto, abbassando le palpebre e massaggiandogli ancora la schiena.
Prese un altro respiro profondo, riprendendo a cantare fino al sentire Evan sospirare più tranquillo e addormentarsi... e quasi non se ne rese conto, ma si addormentò dopo qualche minuto, con la testa posata allo schiena della poltrona e la manina paffuta di Evan sul suo collo.
Quando qualche ora dopo Eveline aprì gli occhi ci mise un po' a rendersi conto di essere da sola, al buio. Si mise a sedere un po' stranita, passandosi una mano tra i lunghi ricci scuri e cercando di mettere a fuoco la situazione. C'era silenzio, il che era abbastanza innaturale - visto che secondo la sveglia erano già le otto passate. Non sentiva rumori provenire dalla cucina, o dal bagno, né dalla cameretta di Evan... ma qualcosa le diceva che non c'era nulla di sbagliato, nulla fuori posto.
Come se sapesse che avrebbe trovato tutto al proprio posto una volta scesa dal letto e mossi i primi passi sul parquet scuro.
Sbadigliò, sorridendo tra sé al pensiero di essere riuscita a dormire quanto bastava per non sentirsi più stanca di prima, per una volta. Posò i piedi sul pavimento freddo, rabbrividendo leggermente, prima di camminare fuori dalla propria stanza e lungo il corridoio, fino a fermarsi sulla porta della stanza di suo figlio, guardando all'interno e sentendo il cuore fermarsi dalla sorpresa, mentre un sorriso pieno di gioia le si apriva sul volto.
Zayn era sdraiato sulla poltrona, con uno dei giocattoli di Evan incastrato nel fianco e Evan stesso sdraiato su di lui - nella stessa posizione nella quale si era addormentato, ancora con la manina a toccargli il collo. Il bambino aveva il viso posato sulla clavicola del padre, le labbra schiuse in un eterno e placido sospiro e le guance arrossate dal caldo. Dormiva così tranquillo solo tra le braccia del padre, ed Eveline ne era invidiosa, ma poi finiva sempre che ci rideva sopra, perché erano davvero troppo belli da guardare mentre dormivano,
Non avrebbe smesso mai.
Soprattutto se Zayn aveva le labbra schiuse proprio come Evan. E le guance un po' arrossate. E le ciglia che proiettavano la propria ombra sugli zigomi, mentre il sole li illuminava come fossero appena usciti direttamente da un dipinto.
La ragazza si avvicinò al padre di suo figlio, continuando a sorridere e inginocchiandosi davanti a lui, posandogli una mano sul ginocchio e stringendo appena, fino a vederlo aumentare la presa sul bambino che teneva in braccio e sbattere più volte le palpebre, prima di metterla a fuoco.
«Ehi...», mormorò il moro, sorridendo al guardarla. «Buongiorno...», aggiunse, mentre lei ridacchiava e Evan si stirava leggermente, arrivando con la mano all'orecchio del ragazzo.
«'Giorno», gli sussurrò Eveline prendendogli una mano e intrecciandone le dita con le proprie, avvicinandosi per baciargli le dita una per una, senza smettere di sorridere. «Non l'ho nemmeno sentito piangere», ridacchiò la ragazza senza lasciare la presa sulla sua mano.
«Deve aver fatto un incubo, vero piccino?», aggiunse a voce bassa, baciando la fronte di Evan e accarezzandogli una guancia rosa in punta di dita. «Ti sei persa il concerto delle tre però...».
Eveline sorrise, mordendosi il labbro e arrossendo appena sul naso e sulle guance, senza smettere nemmeno per un istante di guardarli e sentirsi tanto orgogliosa, sia dell'uomo che amava, sia del bambino che aveva riempito le loro vite.
«Grazie, Zay».
«Di cosa?».
Di amarmi così tanto da svegliarti ogni notte quando nostro figlio piange, o da dormire con lui sulla più scomoda delle poltrone. Di amare lui così tanto da volerlo proteggere tutta la notte tenendolo stretto. Di sacrificare il tuo sonno per il mio. E di così tante altre cose che un anno intero non basterebbe mai per elencarle tutte.
Ma Eveline in realtà non disse niente, aveva ognuna di quelle cose dipinta negli occhi e Zayn sapeva leggerle più quanto non sapesse chiunque altro. Gli bastava uno sguardo, uno e basta. E capiva ogni sua parola non detta, ogni suo segreto. Non c'era bisogno che dicesse nulla, quindi.
Bastava che lo guardasse.
Bastava che si sollevasse da terra e gli stampasse un bacio sulle labbra, perché Zayn capisse.
Così Eveline lo baciò.
E Zayn capì di amarla più di qualunque altra cosa al mondo.
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Lullaby [zayn malik one shot]
Hayran Kurgu«Grazie, Zay». «Di cosa?». Di amarmi così tanto da svegliarti ogni notte quando nostro figlio piange, o da dormire con lui sulla più scomoda delle poltrone. Di amare lui così tanto da volerlo proteggere tutta la notte tenendolo stretto. Di sacrifica...