4 - Odiosi ricordi

237 13 0
                                    

NEI MEDIA - Un giovane Ian piangente

Fu molto deludente, sia per me che per l'intera casa di Ares. Ci ritrovavamo tra le mani una ragazzina che non aveva la minima idea di cosa fosse un combattimento a distanza di due giorni dalla caccia alla bandiera. L'unica cosa positiva di quella dimostrazione era che ormai ero sicuro che quella non poteva di certo rubarmi il posto, era troppo fragile, ma di certo non sarebbe rimasta fragile per sempre e io dovevo farle capire fin da subito chi ero e cosa volevo.

Le avevo fatto del male apposta nell'arena, lo ammetto. Ero stato violento e non avevo provato a mettermi al suo livello, usando tutta la mia abilità con la spada. Non le permisi di smettere di combattere fino a che il cielo non si tinse di rosso, il tramonto. Fra poco ci sarebbe stata la cena.

Tornammo insieme alla casa cinque, in gruppo, e io la osservai per tutto il percorso.

Aveva un'aria affranta, addolorata, camminava senza guardare in faccia nessuno, tenendosi con una mano il braccio su cui l'avevo colpita sia con la freccetta che con la spada di piatto. I capelli scuri, come i miei, scompigliati e un po' sporchi. Dovevo mandarla a fare una doccia... prima o poi. Le mani erano piene di graffi e secche, non avevano per niente l'aspetto di mani da combattente; erano piene di vesciche rotte, là dove noi avevamo i calli. Il passo era incerto, quindi mi misi a meno di un metro da lei, per sorreggerla nel caso rovinasse a terra. L'effetto sperato era quello in fondo... No?

Le aprii la porta della casa e le indicai il suo letto, nel mentre che gli altri avevano già buttato all'aria tutti i vestiti fregandosene che ci fosse una femmina. - Ti ho sistemato qui - le dissi spingendola sul letto. In fondo era l'unico modo per farle capire dove era "lì" poiché i letti erano tutti uguali. - Questa è la vostra parte, e quella è la mia! - le spiegai io indicando il mio letto. Si capiva bene quale era la mia parte: la linea degli scarponi dei miei fratelli arrivava fino ad un certo punto e poi si interrompeva bruscamente. - Se fai come ti dico io e rispetti le regole potremmo andare d'accordo. -

Mi diressi verso il mio letto e presi a spogliarmi anch'io. Naturalmente prima di levarmi i pantaloni da basket controllai che la striscia di cerotto fosse apposto, completamente ancorata alla mia pelle. Nessuno doveva vedere quella deturpazione del mio corpo, avrebbero pensato che ero debole. Aimi aveva fatto un buon lavoro, e continuava ad aiutarmi, nonostante io l'avessi fatta soffrire tanto.

Beatrice aveva cominciato a spogliarsi con titubanza, e io la guardai di sottecchi, mentre mi cambiavo. Come avevo immaginato aveva un po' di pancetta, ma era ritirata poiché aveva lo stomaco vuoto. O si era fatta la ceretta prima di venire al campo... o il gene di dio cominciava a fare effetto. Impossibile, era in contatto con noi solo da un giorno! Okay... doveva capire chi comandava prima che diventasse la preferita di papà. Della sua faccetta innocente me ne frega poco, la violento a sangue nel bosco se devo.

La guardai dopo che finì di vestirsi e spalancai gli occhi. Ma che cazz...? Pantaloncini cortissimi a canottiera a top nera? Chi le aveva dato quella borsa? Rocco Siffredi!?

Mi fermai davanti a lei guardandola con aria giudicatrice. Le diedi un piccolo pugno sulla testa e le dissi: - Pettinati, sei ridicola! -

Durante il percorso fino alla mensa stetti poco dietro dietro di lei. Senza sapere perché volevo controllarla. Poi capii perché: appena arrivati a mensa c'era il tavolo di Atena già stracolmo e Beatrice rivolse un caloroso saluto a Adrian dirigendosi verso di lui. Allungai le braccia e la sollevai con se niente fosse, portandola vicino al mio viso. - Tu mangi con noi, sempre. - La scaricai di peso all'ultimo posto del nostro tavolo, non prima di aver lanciato uno sguardo vuoto ad Adrian.

La vidi allungarsi sul tavolo con il piatto in una mano e la forchetta nell'altra, creando il panico per pigliare due pezzi di petto di pollo a fette. Stavo per urlarle di essere una cicciona, ma prima che potessi dire nulla lei si era alzata e stava andando verso il falò per buttarcene dentro il pezzo più grosso. La vidi anche mentre mormorava qualcosa nel mentre che le ceneri salivano al cielo. Molto presto avrebbe imparato che a nostro padre non frega nulla di noi.

Figlio di AresDove le storie prendono vita. Scoprilo ora