Eravamo mano nella mano su una collina con un prato verdissimo baciato dal sole proprio davanti a noi, con cespugli altrettanto verdi da cui spuntavano degli splendidi fiori rosa. C'era una veduta bellissima. Dal lato destro della collina su cui eravamo, sorgevano altre colline man mano più piccole e nitide andando sempre più lontano con lo sguardo. Il sole batteva fortissimo sui salici mentre vidi delle farfalle colorate passarmi davanti e andare verso una specie di castello. Sembrava enorme da dove ero messa io; si intravedeva un grande portone e il disegno del rombo blu sopra. A destra dei miei piedi procedeva una discesa ripida e profondissima, dalla quale non vedevo il fondo. Invece davanti a me c'era una staradina distinta dal prato che portava presuribilmente a quel castello.
Loris mi lasciò la mano dopo aver aspettato che finissi di guardare con tanto stupore quel panorama mai visto prima.
-Dobbiamo arrivare laggiù.- disse mettendomi una mano su una spalla mentre con l'altra indicava il castello.
-Quanto ci metteremo?- gli chiesi.
-Cinque minuti.- rispose mettendosi a braccia conserte. Accennò un sorrisetto.
-Ma è lontanissimo da qui!- gli feci notare, anche se sembrò inutile dato che aveva lo sguardo abbastanza convinto.
-Non andremo a piedi.-
Mi sorrise e guardò il cielo. Io guardai lui senza capire, come era successo finora, d'altronde. Poi avvertì un rumore che aumentava sempre di più e del vento sempre più forte mi alzò la maglietta del pigiama e scoprì la mia pancia. I pantaloncini azzurro chiaro rimasero lì, per fortuna. Le foglie verdi e giallastre del prato si alzarono, finendo nei miei e nei capelli di Loris. Mettemmo entrambi gli avambracci davanti alla faccia, per coprirci da quell'aria tagliente come vetro.
Mi fece indietreggiare di un paio di metri e in pochi secondi atterrò una specie di navicella bianca. Non grandissima, ma moderna capace di contenere due persone davanti e altre tre dietro, con dei sedili rossi.Io e Loris ci guardammo e sorridemmo entrambi.
-Un piccolo passaggio!- disse sorridendo e facendo un paio di passi verso il veicolo.
Si aprì lo sportello dall'altra parte mentre io allungai il collo per vedere chi fosse il "pilota".
-Ci hai messo un po' ad arrivare, eh Grace?- disse Loris alzando la voce.
Da dietro lo sportello sentii la voce di una ragazza.
-Scusami, avevo delle cose da sistemare al campo.-
Si tolse il casco dello stesso colore della navicella. Da esso comparvero dei ricci lunghi e rosso sangue, che sventolarono qua e là quando alla fine si posarono alcuni sulle sue spalle e tutti gli altri dietro. A primo impatto mi sembrò una ragazza molto bella, con degli occhi grandi marroni e le labbra carnose, tinte di un rosso leggero. Indossava una tuta bianca e degli stivaletti neri di pelle e una cintura grigia senza oggetti né armi come quella di Loris.
Mi pose la mano davanti e mi disse sorridendo:-Ciao, mi chiamo Grace e sono la responsabile dei trasporti del campo. Tu devi essere una "chiamata".- disse stringendomi la mano.
-Una..??- Alzai un sopracciglio e nello stesso tempo mi sentii una perfetta idiota che non sapeva nemmeno dove metter piede.
-È il nome con cui vengono definiti gli umani "chiamati", appunto, dai vari istruttori del campo. Comunque lei è Jennifer.- intervenne Loris guardandomi.
-Piacere. Ora dobbiamo andare, devi sistemarti un po'.- disse Grace guardandomi dall'alto verso il basso.
Salimmo a bordo con dei caschi protettivi come quello che indossava Grace. Appena entrai sentii un profumo di freschezza e di pino, che mi fece arricciare il naso.
Rivolsi lo sguardo al finestrino e pian piano vedevo il prato allontanarsi sempre di più, quando accelerammo in avanti. Ero praticamente appiccicata a Loris, e durante il viaggio ci scambiammo uno sguardo sorridendo. Non avevo idea di cosa mi aspettasse e sinceramente in me c'era un senso di timore e di debolezza. Infondo ero una perfetta sconosciuta che non sa una ceppa nè del campo, nè del castello, nè addirittura di ciò che doveva fare. Mi fidavo soltanto di Loris e dipendevo praticamente da lui. Infondo in cinque mintui mi salvò la vita mille volte. In pochi minuti atterrammo a pochi metri dal campo, ci togliemmo velocemente i caschi e cominciammo a camminare.
All'entrata del campo, a destra, c'era una specie di reparto recintato con muri di rete metallica, con dentro delle navicelle, areoplani e anche qualche motocicletta. A primo impatto mi sembrò di vedere macchine del futuro, dato che erano molto moderne, limitate ma come avevo potuto capire molto efficaci e velocissime.
Presto cominciai a sentire dei rumori provenire da più infondo, rumori di spade e voci di persone. Andando più avanti invece, vidi persone, ragazzi giovani più che altro combattere con altri o con dei manichini di gomma e di legno. Alcuni erano seguiti dal loro istruttore, altri erano soli. Si allenavano e combattevano tutti con grande impegno, usando le spade, i coltelli, le fionde, le lancie e gli archi come se fossero davvero in battaglia. Alcuni combattevano senza armi, facendo capriole, ruote e altre figure di cui non so il nome. C'erano anche degli attrezzi che servivano per allenarsi, come tronchi di legno per allenarsi a scalare, degli specie di mulini messi in verticale con le eliche rivolte verso l'alto a forma di tronco che giravano velocemente, superati uno ad uno da ragazzi e ragazze, saltando in aria come se ai piedi avessero delle molle. Tutto era dinamico, tutti in movimento senza fermarsi a respirare. Io non mi ci vedevo proprio a saltare in quel modo o a fare capriole al fine di rompermi il collo.
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OLTRE LA PORTA: La Spada del Paradiso
FantasyPRIMO LIBRO DELLA TRILOGIA. La vita di Jennifer Johnson, una ragazza di 16 anni con genitori indifferenti e pochi amici, sta per cambiare completamente, quando lavorando come cameriera all' "Every Food" scopre un passaggio che la porterà direttamen...