Capitolo 1 - Preparativi

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Mi getto di lato per schivare un colpo di lancia, sentendo crepitare delle piccole saette sulla sua punta quando questa mi passa accanto alla testa. Sollevo lo sguardo verso il mio avversario prima di colpire: la sua maschera da leone mi fissa con la solita espressione impassibile, mentre l'armatura dorata riflette i raggi del sole che entrano con prepotenza dalle grandi vetrate sulle pareti, ferendomi gli occhi nonostante io indossi l'elmo; il mio avversario è leggermente più basso di me, ma ciò non gli impedisce di apparire minaccioso, con quel lungo cimiero rosso sventolante e quella lancia perennemente circondata da fulmini. Avrei seriamente paura di lui, se non sapessi che ci stiamo solo allenando: dopotutto, quello che mi ritrovo davanti è il combattente più abile di tutta Lordran, l'unico che sia riuscito a sconfiggermi, finora.

Si è sbilanciato in avanti, cercando di colpirmi: senza esitare, approfitto di questo istante per sollevare il mio spadone e menare un fendente verso il suo braccio. Non ho intenzione di colpirlo, arresterò il colpo un attimo prima che la spada venga a contatto con la sua armatura: devo solo dimostrargli che sono in grado di batterlo. Questa mia intenzione viene stroncata da quello che succede un momento dopo: scattando ad una velocità innaturale, il mio bersaglio scompare dalla mia vista, e la punta crepitante di una lancia compare a pochi centimetri dal mio viso mentre qualcosa alle mie spalle mi afferra il braccio sinistro, libero.

«Niente male» commenta una voce dietro di me, e la stretta sul braccio si allenta improvvisamente.

«Già, ma mi hai battuto. Come al solito» rispondo, voltandomi appena lo spostamento della lancia me lo permette.

«Per poco, però» puntualizza il mio interlocutore, togliendosi l'elmo a forma di leone e rivelando il suo viso. Una chioma di lunghi capelli dorati incornicia un volto dai tratti duri ma dall'espressione gioviale, punteggiato da due occhi color nocciola che mi fissano sorridenti. Non sono in molti ad aver visto in faccia Ornstein l'Ammazzadraghi, capo dei Quattro Cavalieri di Gwyn: in pubblico si presenta sempre con quell'elmo, così gli unici a conoscerne il viso, oltre me, sono gli altri due Cavalieri e gli abitanti di questo castello, tra cui la famiglia di Lord Gwyn e ovviamente Gwyn stesso.

«Sai» cambio discorso, sfilandomi l'elmo e guardandomi intorno, ammirando la maestosità dell'enorme salone in cui ci troviamo, con decine e decine di armi appese alle pareti e gigantesche vetrate decorate che, più in alto, lasciano entrare la luce del sole colorandola in mille modi diversi, «mi mancherà questo posto».

«Perchè dici questo, Artorias?» domanda Ornstein, corrucciato.

«Lo sai, il perchè. Quello che mi appresto a fare...non ho mai tentato niente del genere. Ti confesso, Ornstein, che non sono sicuro di farcela» sospiro, chinando la testa.

«Permettimi di venire con te, allora. Siamo i due guerrieri più forti di tutta Lordran, niente potrebbe fermarci» si offre, avvicinandosi e posandomi una mano sulla spalla.

«No» rispondo immediatamente io, sollevando di scatto lo sguardo su di lui, «ne abbiamo già parlato. Tu devi restare qui, ad Anor Londo: la città è rimasta quasi completamente sguarnita da quando Lord Gwyn e i suoi cavalieri d'argento sono partiti per scacciare indietro i demoni. Se te ne andassi anche tu, questo posto sarebbe abbandonato e sprofonderebbe nel caos: i figli di Gwyn, seppur animati da buone intenzioni, non sono ancora pronti per governare una città. Non lasciare Anor Londo a se stessa, amico mio».

Ornstein mi guarda a lungo, senza dire niente. Sa che ho già deciso di fare questa cosa da solo, non si opporrà oltre. Ufficialmente, in quanto capo dei Quattro Cavalieri, potrebbe impedirmi di partire, costringermi a restare ad Anor Londo, ma so che non lo farà: non gli piace sfruttare la sua posizione di superiorità per impartire ordini, dato che non si considera affatto il nostro capo; è più un primo tra i pari, una persona che io e gli altri due Cavalieri vediamo come un punto di riferimento a causa della sua esperienza, superiore alla nostra in praticamente ogni campo, grazie alla sua età plurisecolare, anche se lui non apprezza molto la cosa. Prima di essere tutto questo, Ornstein è un amico, una persona che mi conosce come pochi altri, e sa che non c'è modo di fermarmi: se mi costringesse a restare ad Anor Londo, fuggirei; se venisse con me, troverei il modo di seminarlo e proseguire da solo.

«Non cambierai mai idea, vero? Lo farai, qualunque cosa succeda?» dice Ornstein. Suona come una domanda, ma in realtà è una constatazione: conosce già la risposta.

«Qualcuno deve farlo» sono le parole che escono dalle mie labbra.

«Allora permettimi di dirti che è un onore essere tuo amico, e che quando tornerai festeggeremo per giorni, e tutta la città acclamerà come un eroe Artorias, il Cavaliere del Lupo» sorride Ornstein, porgendomi il braccio destro.

«L'onore è mio, Ornstein» rispondo, riponendo la spada nel fodero e imitando il suo gesto. Appena i nostri avambracci si toccano, Ornstein mi tira a sé, stringendomi in un abbraccio.

«Buona fortuna, fratello» mormora, prima di sferrarmi una poderosa pacca sulla schiena e lasciarmi andare. Poi, senza aggiungere una parola, raccoglie l'elmo e lo indossa, rivolgendomi un breve inchino prima di voltarsi e dirigersi verso il grande portone di legno che delimita l'ingresso della sala.

É meglio che anche io vada, tra non molto dovrò partire. Dopo aver raccolto l'elmo, esco dalla sala e mi dirigo verso le mie stanze, non incontrando nessuno durante il tragitto: sono tutti fuori dal castello, nella strada principale di Anor Londo, a prepararsi per la mia partenza; riesco a sentire un vociare confuso anche da questa altezza, mentre spingo una porta di legno davanti a me ed entro nelle mie stanze. Il mio ingresso è accolto da un susseguirsi di passi affrettati, e dopo qualche secondo mi si para davanti un lupo, un grande lupo dal pelo argenteo che abbaia e scodinzola.

«Ciao, Sif» sorrido, chinandomi e accarezzandogli la schiena.

Sif. È a causa sua che sono conosciuto come il Cavaliere del Lupo. Ricordo ancora quando lo trovai, tantissimi anni fa, sperduto nei boschi incantati intorno alla contea di Oolacile; era diverso dagli altri animali: era intelligente. Non so se questo fosse dovuto a qualche influsso magico di quei boschi, ma lui riusciva a capirmi quando parlavo, nonostante non fosse in grado di rispondere. E ci riesce ancora, in realtà: per quanto possa sembrare strano dirlo, infatti, considero anche lui un mio amico, alla pari di Ornstein.

«Tra poco dobbiamo partire, sei pronto?» gli chiedo mentre le mie mani, rivestite dal metallo scuro dell'armatura, scivolano in mezzo al suo lungo manto grigio. Sif abbaia in risposta, provocandomi una risata: la sua compagnia è proprio quello che mi ci vuole per alleggerire la tensione della partenza imminente.

«Bene, allora. Prendo lo scudo, e poi possiamo andare: ci aspettano tutti nella via principale» dico, alzandomi e dirigendomi verso il grande scudo scuro, dello stesso colore della mia armatura, appeso al muro. Rimango qualche secondo ad ammirare le intricate incisioni che ne ornano la superficie, frutto del lavoro del miglior fabbro di Anor Londo, e sto per afferrarlo quando un suono alle mie spalle mi interrompe.

«Artorias».

È una voce femminile.

No, è quella voce femminile. Quindi è arrivato il momento. Negli ultimi giorni sono stato così impegnato con i preparativi che non ho avuto modo di pensare a come l'avrei affrontata.


Inspiro profondamente prima di voltarmi.



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