Capitolo 1

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1.

Un uomo – non sapeva chi, non credeva di averlo mai visto – buttò un pugno di terra nella fossa, poi l'ultima benedizione e una processione di persone vestite di nero lasciò un fiore bianco, mentre un vecchietto burbero seppelliva la bara. Laura non vi prese parte: era un caso che fosse lì e non riusciva a decifrare i propri sentimenti. Era triste, indifferente, avrebbe voluto piangere, forse ridere, le importava davvero della morta? Marlene Leanne si ricordava ancora di lei? Che ci faceva, veramente, lì? Domande a cui non sapeva rispondere e probabilmente neanche doveva. Era tutto troppo dannatamente ovvio e lei la solita stupida a non aver capito subito che quello era l'unico posto in cui non sarebbe dovuta essere. In fondo aveva lasciato la città quattordici anni prima, non vi aveva più volontariamente messo piede, aveva chiuso i contatti con tutti e si era rifatta una nuova vita. E, di certo, quella zia che la considerava solo un errore della natura, per cui lei nutriva un odio radicato dentro, se ne avesse avuto il tempo, avrebbe dato di certo disposizioni riguardo la sua presenza lì. Anzi, assenza. Ma tanto si erano rimosse a vicenda, appena avuta l'occasione. La gente continuava ad andare e venire, tutte figure austere, serie, le donne dai lunghi colli ossuti, gli uomini piccoli e con le spalle larghe, tutti impettiti, tutti ballerini. Laura li avrebbe riconosciuti ovunque quegli ometti troppo dritti, quelle streghe dalle gambe scheletriche, quegli sguardi presuntuosi, i nasini aquilini. No, non si sbagliava, quelle nere e sinuose figure da quadro espressionista non potevano altro che essere perfettissimi ballerini classici. E lei li detestava, odiava, disprezzava. Le davano il voltastomaco, falsi, ipocriti e senza ritegno; non erano altro che questo: dei tizi che, per il solo fatto di saper stare in equilibrio sulle punte, si sentivano i padroni del mondo. Laura si sistemò la sciarpa attorno al collo e si diresse verso la propria macchina, parcheggiata appena fuori dal cimitero. Non credeva che qualcuno l'avesse notata, di certo non l'avevano riconosciuta, al contrario di quanto aveva fatto lei con molti dei presenti. Cassandra Robson, la prediletta, era in prima fila, sfoggiando un attillatissimo completo di velluto; Edward Sancher, un paio di file indietro, gli occhioni tondi che tradivano la noia e uno spiegazzato fazzoletto giallo nel taschino; Meredith Talle, coricata sulla spalla di Gustave De Hopistal, entrambi a sbuffare e blaterare per tutta la cerimonia... Ed avrebbe potuto continuare, li conosceva tutti i rappresentanti delle maggiori famiglie di Londra, li aveva visti piccoli e insicuri entrare nelle grinfie di sua zia ed uscirne pronti per l'Opera Nazionale di Parigi, lo European Ballet, la Scala di Milano. Tutti uguali, il tutù nel cervello. La ragazza rise dentro di sé: a distanza di anni, anche quelli che non avevano che un paio d'anni più di lei, sembravano averne almeno dieci di più. La danza fa male alla salute alla lunga, lei l'aveva sempre sostenuto.

La sua macchina era parcheggiata proprio di fronte l'ingresso e già da qualche decina di metri di distanza si rese conto che era diventata la sede di un tentativo di abbordaggio. Sbuffò ed accelerò il passo, mentre le due figure si delineavano sempre più chiare. Lei era la classica bionda ossigenata ben assortita, lui... Laura s'immobilizzò quando lo riconobbe. Spalle larghe, più di un metro e ottantacinque d'altezza, movenze seducenti e sicure – anche troppo – voce ipnotica, occhi verdi sotto dei disordinati capelli castani, sguardo pieno di sé. Esisteva una sola persona così al mondo e lei non avrebbe mai potuto dimenticarla. In fondo, se esisteva qualcuno che avesse mai odiato più dei ballerini, quello di certo era lui.

Incrociò le braccia al petto e scosse la testa.

"Marc Anderson! Non cambi mai, eh? Rimorchiare persino ad un funerale...".

Lui si voltò di scatto, sorpreso, lasciando a metà il suo impegnativo lavoro, squadrandola dalla testa ai piedi senza capire chi fosse.

"Scusa, ci...". All'improvviso sgranò gli occhi, un'aria ebete gli si dipinse sul volto. "No! Non è possibile, non ci credo! Laura, Laura Bedingfield!".

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