Capitolo 14 - parte 2

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"Quando sono nata, i miei genitori erano sposati solo da pochi mesi e avevano grandi difficoltà economiche. Avevano deciso di andare a vivere insieme ancor prima di convolare a nozze, in un piccolo appartamento ad Arese, in provincia di Milano, ma dopo la mia nascita quella casa sembrava essersi rimpicciolita a dismisura. I soldi scarseggiavano perché in casa entrava un solo stipendio dal momento in cui mia mamma decise di chiedere l'aspettativa. I miei nonni materni morirono in un incidente aereo quando le loro uniche figlie, nonché gemelle, erano adolescenti ed io penso che sia proprio per quel motivo che mia madre si aggrappò a mio padre. Soffre ancora solo nel sentirli nominare quindi io evito di fare domande, ma Sofi è troppo curiosa per accorgersi del suo disagio. Mio padre, invece, chiuse i rapporti con i suoi genitori dal giorno in cui annunciò loro la decisione di sposare una donna che non era approvata per chissà quale motivo; se non sbaglio al matrimonio vennero i suoi due fratelli maggiori che io non ho mai visto. Giorno dopo giorno avevo sempre più esigenze, spesso facevo i capricci e la mamma iniziava a sentire la mancanza di papà che lavorava venti ore al giorno per riuscire ad arrivare almeno a fine mese. Faceva il muratore e a quei tempi era un lavoro ancora più duro e faticoso, e lui tornava a casa sempre stanco. Mia mamma si occupava di me e della casa, in tutto e per tutto. Abbiamo un sacco di foto insieme, io e lei. Fino ai dieci anni mi ha fotografata ogni giorno, almeno una volta al giorno, per ricordare tutti i momenti della mia vita, a suo dire. Ho migliaia di foto... i primi giorni in ospedale, quelli a seguire a casa, nel letto, sul divano, nella vasca da bagno piena di schiuma, al parco giochi, sulle giostre, al mare, all'asilo e a scuola... ma foto con mio padre o tutti e tre insieme non ne ho mai viste e a questo punto penso non esistano. Non so se la figura paterna mi mancasse ma sono sicura che mia madre soffrisse sia per la distanza che si era creata tra lei e suo marito sia per quella che era sorta inspiegabilmente tra me e lui. Tutto a un tratto, però, mio padre divenne più sereno: passava del tempo con noi, baciava la mamma ogni mattina prima di uscire e mi accompagnava a scuola. All'età di sette anni mi dissero che a breve la cicogna avrebbe portato una bimba all'interno della nostra casa passando dalla finestra, ed io mi ricordo di non esser mai stata tanto felice prima. Lo stesso giorno mio padre ci disse che aveva ottenuto un nuovo lavoro: sarebbe diventato capo cantiere in un quartiere rinomato di Roma. Così capimmo che ci saremmo trasferite presto. La mamma era al settimo cielo, sentiva arrivare la fortuna meritata e tanto attesa e, nonostante la vedessi felice, io non riuscivo ad esserlo. Avrei lasciato tutto: la mia casa, i miei amichetti, la mia scuola, la maestra Rosa, il mio parco... Tutto ciò che avevo mi bastava; d'altra parte, però, speravo mi attendesse qualcosa di ancora più bello.
Roma era troppo grande agli occhi di una bambina di sette anni, dispersiva e caotica. La nuova scuola era niente male e non tardai a farmi nuovi amici. Alcuni me li portai anche alle scuole medie e in questo modo fu più facile affrontarle. Ma la cosa che preferivo in assoluto era la nostra casa su due piani con il giardino. Io e la mamma dedicammo un sacco di energie nella scelta dell'arredamento ma Sofi era una piccola peste, rompeva e pitturava ogni cosa. E anche lei, come me, desiderava un animaletto peloso in giro per casa che non arrivò mai. Ogni giorno, dopo scuola, invece ci andare a casa, pranzavo con papà al cantiere ma le molteplici volte in cui lui era impegnato toccava a Marco farmi compagnia. Quando avevo tredici anni lui era un bellissimo ventiduenne, ambito da ogni ragazza della zona che sbavava solo a guardarlo. Passando molto tempo insieme ci avvicinammo pericolosamente. Io ero poco più di una bambina e lui... beh, pensavo di essere innamorata ma in realtà quella era solo una stupida cotta per il bel ragazzo più grande che non potevo avere. Il giorno del mio quattordicesimo compleanno mi portò un cup cake con sopra una candelina rosa. Ho soffiato esprimendo il mio desiderio ed ero intenzionata a morderne un pezzo, ma lui mi bloccò e me lo tolse dalle mani. Lo aprì in due e da esso estrasse un involucro contenente un preservativo per poi dirmi che ero piccola ma non tanto ingenua. Eravamo in una zona appartata del cantiere, perciò mi baciò e poco dopo fummo entrambi senza vestiti. Sdraiata sul cemento freddo, allungai le mani sopra la testa e lui mi legò i polsi con il nastro adesivo. Mi fidavo di lui quindi non dissi nulla, nemmeno una parola. Iniziò a toccarmi e provai piacere, tanto piacere. Dopo essersi messo il preservativo mi penetrò violentemente, ma, nonostante fossi consenziente, il piacere si trasformò in un dolore fortissimo che non voleva attenuarsi mischiato al bruciore che mi provocava il nastro. Marco continuava a ripetere che andava tutto bene, mi sussurrava parole dolci e, dopo un tempo che mi sembrò infinito, tutto finì ed io sussultai sentendomi immediatamente vuota. Mi slegò i polsi e mi ordinò di rivestirmi velocemente, come fece lui. Non lo rividi mai più. Non so dove sia adesso... so solo che dopo un po' capii di aver perso la verginità in modo poco dignitoso e la cosa che mi fa infuriare è non poterlo incolpare! Il mio scopo era arrivare a quello, lo desideravo quanto lui... il mio corpo non voleva altro. Dopo un paio di giorni mio padre diventò freddo e distaccato con me, esattamente come gli anni precedenti. Solo qualche mese dopo ne compresi il motivo.
Era il giorno di Natale ed eravamo riuniti a tavola con la zia Daniela, la gemella di mia mamma, suo marito e i suoi figli, e gli amici più intimi di papà. La mattina i miei genitori litigarono accusandosi reciprocamente di avere un aria cupa, in contrasto con l'armonia che deve esserci il giorno di Natale. Durante il pranzo mio padre rimase completamente in silenzio, assorto nei suoi pensieri, senza alzare la testa dal piatto. La tensione si tagliava con il coltello ma tutti preferimmo far finta di niente, sperando che il turbamento presente in lui lo abbandonasse presto. Dopo aver mangiato il dolce, non l'avessi mai fatto!, gli chiesi se c'era qualche problema facendogli presente che poteva parlarne persino con me perché se avessi potuto aiutarlo lo avrei fatto più che volentieri. Gli occhi e l'attenzione erano puntati su di noi mentre urlava quanto fosse schifosa la prima figlia che aveva messo al mondo, che gli aveva rovinato la vita. "È solo una poco di buono!", disse rivolto a tutti i presenti. Mostrò il video di cui io e Marco eravamo i protagonisti e solo in quel momento mi accorsi della mia espressione piena di rabbia e dolore che non credevo di avere. Disse che non valevo niente e che non mi considerava più sua figlia, sangue del suo sangue. In casa non volava una mosca e mi fece presente che Marco, il giorno dopo aver fatto sesso con me, si vantò della sua conquista con tutti gli operai del cantiere, rimarcando quanto fosse stretta la figlia del capo. Mio padre lo pagò profumatamente per non farsi più vedere e diede una somma di denaro inferiore ad ogni altro operaio per non raccontare ad anima viva ciò che aveva visto. Credevo lo avesse fatto per me, per non umiliarmi ulteriormente, ma considerato ciò che fece lui durante quel giorno di Natale, sono sicura che compì quel gesto solo per pararsi il culo, lasciando intatto quella briciola di dignità che gli era rimasta dopo che io l'avevo quasi annullata. La mamma si infuriò, mandò subito Sofi in camera sua e si scagliò contro mio padre sbattendogli in faccia le cose peggiori che un uomo possa sentirsi dire, soprattutto da sua moglie. E lui, capendo da che parte stava, non perse tempo nel farle pesare il suo ruolo di madre, accusandola di aver fatto la mantenuta per anni. Come sempre, non accettava essere dalla parte del torto ma soprattutto detestava l'idea che mia madre prendesse le mie difese. Avrebbe potuto tradirlo, accogliere nella nostra casa un barbone, un ubriaco, persino una prostituta, ma non poteva accettare che mia madre mi volesse bene esattamente come avrebbe dovuto volermene lui. Lo cacciò di casa, spalleggiata da tutti i presenti, e lui se ne andò quando si accorse che persino i suoi amici gli avevano voltato le spalle. Anche loro credevano di avere a che fare con una persona totalmente diversa... Immobile, mi dava le spalle e mi chiese se ero soddisfatta di aver distrutto una famiglia. Specificò che era la sua, non la mia, dopodiché andò via per sempre ma almeno ebbe la decenza di lasciarci tutto.
Mi chiusi in camera mia per due settimane senza vedere nessuno. Mangiavo e bevevo se mia madre o Sofi mi lasciavano il piatto sul pavimento, fuori la porta. Le uniche voci che sentivo erano le loro, seguite da quelle dei miei zii e dei miei cugini. A volte si aggiungevano anche quelle degli amici di papà, ormai diventati nostri, che mi ripetevano di uscire perché non avevo colpe. Andavo in bagno a lavarmi solo quando ero certa che in casa non ci fosse nessuno. Ma una cosa che non riuscivo a fare era dormire. Quando mi decisi a mettere piede fuori dalla stanza, a mia madre quasi venne un infarto. Avevo le occhiaie scure, il mio viso era sciupato e il colorito della mia pelle tendeva al grigio. Contro ogni mia aspettativa, il video non fu riprodotto fuori dalle mura di casa e del cantiere. A scuola finsi una terribile influenza a cui tutti credettero. Ripresi la mia vita regolarmente ma avevo sempre quella sensazione di sporco addosso. Ogni notte sognavo l'espressione che avevo durante il mio primo rapporto sessuale e mi svegliavo gridando... mia mamma iniziò a dormire con me, nel mio letto, ed era sempre pronta a calmarmi mentre io le ripetevo quanto fossi dispiaciuta per averle distrutto il matrimonio. Mi sento in debito con lei, in colpa, ogni giorno sempre di più. Grazie all'aiuto degli psicologi nel giro di un anno e mezzo risolvetti quasi tutti i miei problemi. Maria, Luca e Claudio erano gli unici del loro settore con cui volessi parlare e si alternavano per raggiungermi a casa ogni giorno per farmi sfogare. Se non ci fossero stati loro penso che a quest'ora non sarei qui, spensierata, a parlare con te, ma mi troverei chiusa nel mio guscio, spaventata e guardinga. L'unico ostacolo mi si presenta quando sono sola, soprattutto durante le ore di buio... e sai a cosa mi riferisco... ma sono certa che supererò anche questo e diventerò una persona nuova, felice e finalmente pulita."

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