Capitolo 6

29 6 2
                                    

"Che profumino!", esclama mentre mi siedo su un lettino, accanto al suo.
"Incontrarmi stanotte è stata la tua fortuna. A quest'ora cosa staresti mangiando? Un'insalata, un panino col prosciutto? E invece puoi goderti questi meravigliosi spaghetti!", dico sorridendo.
"Sì, fortuna direi che è la parola giusta", risponde con una nota di entusiasmo nella voce.
Non ho impiegato molto tempo per tornare al residence e poi di nuovo qui con le mani piene. Non sapevo come giustificarmi con mia mamma e Sofi di certo non mi ha aiutata. Così ho optato per dire loro la verità, una mezza verità. "Mamma io vorrei mangiare in spiaggia. Dove sono i contenitori?" Ce l'avevo quasi fatta, dovevo solo mettere le posate nella borsa e correre di nuovo in spiaggia. "Beh Mia, tu sei sempre a dieta ma oggi mangi proprio tanto. Guarda mamma, ci ha rubato quasi metà della pasta!" Cazzo! Mia mamma fortunatamente non va a fondo della questione ed io mi ritrovo a sorridere ricordando i suoi occhi pieni di un sentimento che mi sembrava nostalgia.
"A cosa pensi?"
"A niente, mangiamo!"
La pasta è davvero niente male ma la persona che ho accanto a me emana talmente tanta bellezza che la rende ridicola. Non so se sarebbe contento di sapere che lo sto paragonando ad un piatto di spaghetti ma, a mio favore, bisogna dire che questo è uno dei piatti più buoni che mia mamma abbia mai cucinato. E ne ha fatti tanti!
"Mi hai salvata, mi hai aiutata ed io sono persino riuscita a non trattarti nel migliore dei modi oltre che ad ignorarti, ma ancora non so come ti chiami", dico tenendo lo sguardo fisso davanti a me.
"Mi chiamo Alex."
"È il diminutivo di Alessandro?"
"No è solo Alex", risponde con voce colma di tristezza, "tu invece sei Mia." Non ho il tempo di ribattere. "Grazie al tuo nome non ti sarà difficile ricordarlo." All'inizio non noto il collegamento tra il mio nome e la sua ultima frase, ma appena me ne rendo conto cerco di nascondere il viso, che sembra possa prendere fuoco da un momento all'altro, come non mi era mai successo prima.
Finiamo il pranzo in silenzio e allo stesso modo passano altri dieci minuti che sembrano interminabili.
"Vieni spesso qui?"
"No, è la prima volta. Solitamente andiamo a Peschici. Ma sai... le montagne..."
Dopo una leggera risata dice "Certo... molto bella Peschici. Ma personalmente preferisco Vieste."
"Io no. Peschici è un paese più piccolo, tranquillo e riservato."
"Appunto."
E con questa affermazione capisco che, per ora, non abbiamo proprio niente in comune. È il tipico ragazzo a cui piace stare insieme a più persone possibili, ciò che io non sopporto.
"Quanti anni hai?", gli chiedo pentendomene subito dopo. Avrei potuto chiedergli qualsiasi altra cosa.
"Abbiamo un po' di anni di differenza", risponde accennando un sorriso.
Il nome sono riuscita a tirarglielo fuori facendo meno fatica del previsto, adesso il problema è l'età.
"Quanti?", chiedo.
"Abbastanza".
Ma che risposta è? Abbastanza per essere troppi? Percepisco il suo scetticismo. Sarà sicuramente uno di quei ragazzi che, dopo aver superato la soglia dei vent'anni, non è minimamente interessato alle ragazzine.
Mi alzo buttando via le posate e i piatti sporchi, ripongo l'acqua e il contenitore nella borsa e a grandi passi mi avvio verso il mio ombrellone, lasciandogli la sua bottiglietta.
Sento il sole bruciarmi la schiena. Non ricordo di essermi girata a pancia in giù e nemmeno di essermi addormentata.
"Che ore sono, mamma?", chiedo vedendola accanto a me.
"Quasi le 17 tesoro."
Oh cazzo! È un miracolo se non mi sono ustionata. Ho avuto la brillante idea di espormi al sole nelle ore più cocenti della giornata, quelle ovviamente sconsigliate. Mi alzo andando a pucciare i piedi a riva.
"Metti questo dappertutto."
"Che cos'è?", chiedo osservando il barattolo di vetro contenente un liquido rosso.
"Un olio fatto in casa che serve per le scottature dovute all'esposizione al sole. Per ora hai solo la pelle arrossata", dice guardandomi, "ma, fidati, è meglio prevenire", dice in modo serio.
"Grazie Alex.", dico afferrando il barattolo, sfiorandogli le dita. Lo vedo sussultare, colto alla sprovvista, e solo ora mi rendo conto di aver pronunciato per la prima volta il suo nome e di come suonino bene quelle quattro lettere messe insieme.
Decido che è ora di andare via. Inizio a sentire la pelle tirare.
"Ti aspetto stanotte?"
"Sei pronto a salvarmi ancora una volta?"
"Anche a conoscerti meglio."
E con questa speranza, dopo aver salutato mia mamma e Sofi, vado via. 

Conto alla rovescia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora