Jaspar - End(less)ed Paradise

104 15 31
                                    

For Him.

*Joe*
Sapete riconoscere la felicità?
Non è sempre quella voglia euforica di buttare tutto giú, di dare sfogo ai propri sogni non importandotene nulla, perché sei contento e nessuno puó rovinarti quel momento.
Per me essere felici significa stare bene, avere gli occhi lucidi, sorridere senza un apparente motivo, guardare il mondo con una prospettiva diversa, dire un "ti amo" attraverso uno sguardo.
La felicità è un momento perfetto che speri che non finisca mai, qualcosa che puoi ricordare per tirarti sù quando stai male, qualcosa che solo il tempo puó portarti via.
Già, il tempo.
Perché è sempre una questione di tempo. Il mio peggior nemico.
Sono su un aereo di ritorno a L.A. e mi sento cosí vuoto. Ho lasciato Caspar sull'uscio della porta mentre stava piangendo, non ho visto fisicamente le lacrime, ma conoscendolo appena ha chiuso la porta si è sfogato.
È stato il giorno piú bello della mia vita, eppure è finito cosí in fretta.
Perché la felicità dura cosí poco, e la tristezza cosí tanto?
Me lo chiedo sempre.

*flashback*

"Grazie a tutti di essere venuti ragazzi, vi adoro, riprenderó presto a fare video, ve lo prometto, torneró il Caspar Lee di prima, solo un po' piú forte!" annuncia il biondo alla folla di fans.
Gli prendo la mano, fiero, la stringo, e lui, con le lacrime agli occhi, mi sorride.
Saluta tutti ringraziandoli ancora e noi ci dirigiamo verso China Town, Friday sta davanti all'uscita Sud di quella piccola Cina in miniatura. Arriviamo davanti all'enorme ristorante nero con la scritta led rossa ed entriamo. Non c'è molta gente ancora, è presto, forse  arriverá fra qualche ora. Ci accomodiamo ad un tavolo da due e ci portano i menu, ma in realtà io e Caspar sappiamo perfettamente cosa avremmo ordinato. Nessuno dei due tocca il menu, ci guardiamo e sorridiamo.
"Pensi quello che penso io?" mi chiede Cas sorridendo.
"Dipende, tu cosa pensi?" chiedo beffardo.
"Ho pensato che non c'è bisogno di leggere i piatti perché sappiamo già cosa scegliere, e penso tu abbia fatto lo stesso" pronuncia, sempre sorridente.
"Mi sei mancato, Caspar Lee" mi limito a rispondere.
"Anche tu, Suggy" dice prendendomi la mano sotto il tavolo.
Arriva da noi una cameriera bionda, di bassa statura, con un sorriso ammaliante, dei grandi occhi azzurri ed un entusiasmo contaggioso.
"Allora guys, che prendete?" chiede sorridente.
"Costolette!" gridiamo entusiasti in coro io ed il biondo cenere. In quel momento ci guardiamo e sorridiamo.
"Wow, vi vedo molto decisi! Perfetto, mi piacciono i clienti cosí, torno appena i vostri piatti sono pronti! A fra poco" così dicendo gira i tacchi e sculettando arriva in cucina.
Caspar ride alla visione e la sua risata fà ridere anche me. Mi mette di buon umore. Ad un certo punto si ricorda che tiene ancora la mia mano, allora comincia ad accarezzarla, con piccoli movimenti circolari.
Arrossisco, so che non ha senso dopo... avete capito.
"Hey Sugg, perché sei cosí rosso?" chiede Caspar ridacchiando.
"Non ti sentirai in imbarazzo! Dopo quello che è successo nella limo..." cerca di continuare ma lo fermo "Oh non andare avanti, si, non sono abituato a tutto questo contatto con te, non sono abituato più a provare qualcosa per ragazzo..." dico evitando il suo sguardo e guardando basso.
"V-vuol dire che dopo di me non hai avuto nessun altro?" chiede lui, quasi incredulo.
"Nessuno. Nessuno avrebbe potuto rimpiazzarti comunque Cas..." dico con voce spezzata.
"Nemmeno una ragazza?"
Ma la domanda rimane sospesa perché ci portano l'ordine; lascio andare istintivamente la mano di Caspar, e mi sento come se mi avessero strappato un pezzo di anima. Lui assume un'espressione di cipiglio, ma poi si addolcisce.
"Buon appetito!" conclude.
Dopo aver saziato entrambi i nostri stomachi usciamo dal ristorante e ci dirigiamo verso Trafalgar Square. A piedi è un bel tratto da fare, quindi decidiamo di prendere un taxi per fare prima.
Arrivati al centro ci dirigiamo verso la metro e ci fermiamo ad un negozio di dolci, che Caspar adorava tantissimo, per prendere i chinnamon rolls.
Prendo la busta in mano e ne porgo uno a Cas.
"Vuoi?" lo invito, ma lui mi guarda a mala pena.
"Che hai?" domando perplesso.
"Mi chiedo cosa farò quando te ne andrai, quando tutto questo finirà, e tu tornerai alla tua vita normale, alla vita senza me" pronuncia quasi piangendo.
"Hey hey hey, abbiamo ancora tutta la notte, il mio volo è domani, non pensare al futuro, pensa ad ora" dico prendendogli la mano.
In realtà ci pensavo anche io, cos'avrei fatto senza Caspar, come avrei fatto a dimenticare quella serata, come avrei fatto a lasciarmelo alle spalle e proseguire con la mia vita normale? Non potevo. Era questa l'unica risposta che sapevo darmi. Non potevo. Avevo Caspar dinuovo con me dopo anni, non avrei lasciato andare tutto questo, o forse si.

- -

"È bello essere a casa" dico girando la mia chiave nella serratura e aprendo la porta.
"Non ci sei mai venuto dopo il mio incidente?" domanda Caspar perplesso.
Rimango impietrito, non pensavo che potesse parlare di quei due anni di coma come un "incidente", ma lo aveva appena fatto.
"Sono stato un anno con te in ospedale. Quando ho deciso di... lasciarti, sono tornato qui solo per prendere le ultime cose da portare. Non riuscivo a starci comunque, qualsiasi cosa mi ricordava te, e inevitabilmente finivo per piangere e addormenarmi a causa del pianto" dico sinceramente.
"Wow, quindi questo è il nostro primo rientro a casa?" chiede entusiasta.
"Esatto" dico sorridendo.
Caspar spinge la porta ed entriamo, la casa è diversa da come la ricordavo. Era più grande, vuota, silenziosa, triste. Un po' mi mancava.

Vado in camera da letto e comincio a preparare le lenzuola. Caspar si aggira per casa come un fantasma e di tanto in tanto se ne esce con "Oddio Joe qui abbiamo..." "Joe ti ricordi quando è successo questo?" "Oddio Joe, questo è il posto dove amavo..."
Sembrava un bambino felice, tornato alla sua casa d'infanzia. O forse era solo tornato nel luogo in cui aveva imparato ad essere se stesso e a conviverci.
"Joe?" mi chiama, cercando di capire dove mi trovi.
"Di sotto" gli urlo dalla camera.
Lo sento scendere le scale, e aspettare sull'uscio.
"Che fai?" mi chiede curioso.
"Preparo il letto, il tuo è già pronto in camera tua" dico, aspettando una sua reazione.
"Il mio? Aspetta non dormiamo insieme?" domanda perplesso.
"È quello che vuoi?" chiedo.
"Sí" risponde lui serio.
"Avevo già preparato un cuscino anche per te" ammetto sorridendo.
"Ecco perché ti amo Joe" dice baciandomi.
Non rispondo.
"Non hai bisogno di dire ti amo per dirlo, lo sai, vero Joe?" mi domanda il biondo.
"Lo so, so anche che mi conosci talmente bene che riesci a capire la mia risposta dal mio viso" ammetto.
"Esatto, e so che mi ami anche tu, anche se non riesco a capire perché tu non lo voglia ammettere..." dice sospettoso.
"È... complicato" dico sospirando.
"Okay, mi è bastato questo. Non voglio sentire la parola complicato in queste poche ore che ci rimangono da trascorrere insieme" dice lui.
"Neanche io" dico abbracciandolo.
"Mettiamoci a dormire Joe" pronuncia lentamente.
"Forse è meglio, si" dico sbadigliando.

Dormiamo uno abbracciato all'alto, io con la schiena appoggiata al petto di Caspar, e circondato dalle sue braccia.

- -

La sveglia suona, mi alzo senza svegliare Caspar, e apparentemente ci riesco.
Mi prepato velocemente, e quando finisco torno in camera per "salutare" Caspar. Non ce la facevo a dirgli addio, quindi decido di non svegliarlo, e di lasciarlo svegliare senza di me al suo fianco.
Lo guardo dormire per un po', poi prendo le valigie e le porto di sopra senza fare rumore. Apro la porta, ma prima che potessi uscire una voce, la sua voce, mi ferma.
"Joe? Parti senza salutarmi?" chiede Caspar a pochi passi da me.
"Non volevo salutarti, sarebbe stato peggio per entrambi" dico, sentendo le lacrime formarsi.
"Dimmi la verità, non mi hai svegliato per paura che potessi chiederti di restare, ma ancora di più perché temevi che avresti potuto accettare" dice con una punta di disprezzo.
Forse aveva ragione. Anzi no, senza forse. Aveva ragione. Perché se lo avesse chiesto, io sarei rimasto.
"Addio, ti amo Caspar, perdonami" dico, chiudendomi il portone alle spalle.
"JOE!" sento urlare dall'interno. Ma non posso restare, devo andare. Mi dirigo verso l'uscita e comincio a correre, proprio come le lacrime facevano sul mio viso.

Suggspar 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora