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Chloe.

Forse bastò semplicemente trovarmi per la prima volta dopo tanto tempo a venti centimetri da lui.

E tutto il resto - la pace nel cuore, l'indifferenza di quei mesi e le emozioni - tutto il resto scoppiò soltanto perché aspettava che si liberasse una fiamma per esplodere.

La fiamma di Davide. Diciannovenne duro e ribelle.

Aveva una chioma castana riccioluta che esaltava la sua aria da tipo forte.

Gli occhi erano ciò che preferivo di più di quel ragazzo; erano color cioccolato e diciamocelo, chi resiste al cioccolato? Io mi perdevo in quegli occhi ogni volta che li avevo davanti. E le sue labbra, mio Dio, quanto erano perfette. Di un rosa chiaro come lo zucchero filato e scommetto che fossero buone anche come esso. Servivano a completare il meraviglioso dipinto fatto da un autore sconosciuto ma che aveva svolto un bel lavoro.

La fiamma scoppiò al campo di tennis. Quando Edoardo, il mio coach biondino di venticinque anni, mi si presentò davanti con Davide dicendomi che avrei dovuto fargli da tutor. E lui mi sorrise, col sorriso innocente di chi non sospetta nulla. E il mio cuore riprese a battere forte, come se per tutti quei mesi si fosse addormentato. Ecco, proprio in quel momento capii che non era mai finito nulla ma che ingenuamente avevo solo creduto di aver messo da parte il suo ricordo.

Davide era il nipote di Massimiliano, il compagno di mia madre. Mi venne presentato all'età di dieci anni; sin da subito notai che tipo fosse. Si ribellava ai rimproveri del padre, non ascoltava gli adulti e faceva sempre di testa sua. E tutto questo ai miei occhi risultò speciale, era diverso dagli altri. Infatti era da quando avevo tredici anni che Davide mi entrò nel cuore, a causa soprattutto dei suoi grandi occhi color cioccolato che ogni volta mi stendevano al tappeto. Puntualmente ci ritrovavamo alle feste di famiglia e capitava di parlare, ridere o scherzare un po', ma ogni volta, mi sentivo invisibile. Anche perché per la famiglia eravamo una sorta di cugini quindi era come se su di me ci fosse un cartellone con la scritta off limits.

Mai un cenno, una parola, uno sguardo che mi desse un pizzico di speranza.

Ma comunque, in un modo o nell'altro, provavo ad andare avanti. Con un po' di ferite sul cuore, qualche lacrima sul cuscino e un paio di film mentali la sera prima di andare a dormire.

Decisi di accostare i miei pesanti pensieri e di concentrarmi su quello che amavo fare di più, presi fogli e matite e iniziai a disegnare. Amavo l'arte e ogni suo piccolo aspetto, sia positivo che negativo. Mi bastava fotografare il mondo con i miei occhi e riportare su un foglio attraverso una matita ciò che io avevo visto, che non era mai quello che vedevano gli altri. Disegnando capivo chi io fossi realmente, non solo Chloe Valli, la diciassettenne che amava disegnare. Mi sarebbe piaciuto essere ricordata come un'artista dai mille colori e con un magnifico mondo nel cuore..ma fino a quel momento riuscivo solo a riportare su un foglio chi fossi e chi volevo diventare. Ma un giorno, non troppo lontano, la gente mi avrebbe conosciuta per ciò che ero realmente. Di questo ne ero sicura.

Quello era sicuramente il momento che preferivo durante la giornata. Quando stavo nella scrivania a disegnare il mondo visto dai miei occhi verdi e tutto il resto in quel momento non esisteva più. Fino a quando non sentii una voce non sconosciuta.

«Ciao Chloe.» un semplice saluto seguito da mezza risata.

Quel tono forte e deciso poteva appartenere ad una sola persona.

Rimasi paralizzata, non sapevo cosa fare.

Mi girai di scatto e Davide era a poca distanza da me.

Spaventata? Felice? Terrorizzata? Non sapevo come stavo esattamente.

Sapevo solo che lo avevo davanti. Con i riccioli che gli sfioravano la fronte, gli occhi cioccolatosi, un giubbotto di pelle nero e un mazzo di fiori tra le braccia.

Pensai che avesse preso per me quei fiori. Ero felice. «Mi hai spaventata.»

«Scusami è che tua mamma mi ha fatto entrare, avrei dovuto bussare.» era imbarazzato. «Hai dimenticato questi al campo.» Me li porse con delicatezza.

«Oh, grazie. Me ne ero proprio dimenticata.»

Che idiota. Edoardo fu così gentile da regalarmi dei fiori quel pomeriggio ed io, non solo li dimenticai al campo di tennis, ma quando li vidi nelle mani di Davide mi convinsi che li avesse presi per me.

Mi guardò dalla testa ai piedi e sorrise. Oh sì, Davide, potevi ridere di come ero vestita. Se non mi fossi imbarazzata così tanto avrei riso anche io di me. La felpa rossa lunga che scopriva la mia spalla sinistra e che arrivava sopra al ginocchio accompagnata dai calzettoni gialli e i capelli biondi che non avevano una forma stabile.

«Stai bene anche così, cuginetta. Non preoccuparti.»

Cuginetta? Avevo sentito bene? Non eravamo cugini per nulla al mondo! Strinsi i pugni. «Sono impresentabile Davide!»

«No, io non direi.» mi fece l'occhiolino. «Adesso vado, ci sentiamo.» mi accarezzò una guancia e uscì dalla porta. Era sempre così tenero nei miei confronti. Il suo lato da ribelle e da duro che mi piaceva tanto con me non lo metteva mai in uso.

Chissà, forse mi vedeva davvero come una cugina. Aveva sempre avuto un occhio di riguardo nei miei confronti, protettivo come un fratello maggiore.

Mi ritoccai la guancia e chiusi gli occhi. Sentii la sua presenza. Come se Davide fosse ancora lì con me. Cosa mi stava succedendo?

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