Sono ormai quattro ore che aspetto.
Quattro ore che fisso la parete bianca di fronte a me e sto in silenzio, con la testa fra le mani e gli occhi rossi, per il sonno e per il pianto. Non riesco a fare altro.
La gente passa e spassa di continuo, alcuni con accanto ragazzi ingessati, anziani che trascinano il loro carrellino, donne dai capelli bianchi su sedie a rotelle e bambine con gli occhi azzurri e la testa calva.
Ad ogni medico che esce dalla terapia intensiva, corrisponde una mia disperata domanda, un devastante bisogno di vederlo.
Ma ho smesso di scagliarmi contro i dottori la prima volta che uno di loro mi ha detto che avrei fatto meglio ad andare a casa e riposare.
Allora ho capito che non avrei ottenuto niente.
È la solita cosa che si dice, quando vedi i film, quando leggi i libri, quando cerchi di sviare le conversazioni, si fa sempre così.
Ormai è un'abitudine di tutti, pensano che non dicendoti subito quello che comunque prima o poi dovrai scoprire, tu possa sentire meno dolore.
O peggio ancora, sono così professionalmente distaccati da non volersi prendere l'obbligo di comunicarti ció che sanno, nel bene o nel male, per evitare di vederti piangere sul loro petto.
O, ultima spiaggia, come mi sento ripetere da quando sono arrivata, non sono tenuti o autorizzati a dirmi l'evoluzione della situazione e il suo stato, dal momento che sono solo la sua fidanzata.
E se ci penso, sono quattro ore che sto seduta su questa sedia, sei che non chiudo occhio e che piango, 12 da quando gli ho inviato il messaggio e 14 dall'ultima volta che ci siamo sfiorati, che ho toccato la sua pelle, che ho sentito le sue labbra contro le mie, che ho rimuginato sul nostro passato mentre fissavo i suoi occhi brillanti.
Sono passate già 14 lunghissime ore, ma è come se non avvertissi la stanchezza, la fame, il freddo, l'intorpidimento.
Probabilmente sto messa ancora peggio di quando sono arrivata, probabilmente se vedessi il mio riflesso rimarrei atterrita, ma lui si merita che io stia qui, senza preoccuparmi di nient'altro.
Mentre mi stringo nel mio cappotto e mi dimeno sulla sedia di plastica, una donna vestita di verde mi viene incontro.
Mi alzo con un balzo dalla mia postazione e la raggiungo in due falcate, vedendo in lei un briciolo di speranza.
Ha i capelli raccolti in una retina e prima di parlare si scosta la mascherina chirurgica dalla bocca.
"Come sta? Posso vederlo?"
La mia voce stata troppo tempo in pausa, affluisce con la stessa intensità di un fiume in piena.
"Dire che sta bene sarebbe un'utopia. Ha da poco superato un'immane sfiancamento, che non tutti i ventenni sono capaci di sopportare. Le sue condizioni sono stabili al momento, ma come lei ha potuto costatare la situazione è imprevedibile. Non è ancora fuori pericolo"
Mi piacerebbe risponderle che si, lui ce la farà, ma so che sarebbe una risposta sospesa tra un'illusione e una speranza, che sarebbe solo una mia supposizione.
"Posso vederlo?"
Ho la voce che trema, quasi forte come le prime volte che stavo vicina a Matt, quelle volte che si dimenticava del rancore che serbava nei miei confronti.
Lo sento talmente tanto lontano che mi mancano anche i ricordi dolorosi che la nostra relazione si è lasciata alle spalle, mi manca tutto ció che è scaturito da lui.
"Si, ma per poco, è ancora troppo debole per rischiare una qualsiasi altra ricaduta"
Le sorrido fiaccamente e con mia sorpresa quanto sua, mi sento in dovere di stringerla tra le braccia.
Il suo sorriso riaccende in me quella piccola speranza che si stava diradando lentamente.
Quando spingo la porta ed entro, i miei occhi corrono immediatamente al suo corpo che freme ogni volta che il petto gli si alza e gli si abbassa.
Vorrei corrergli incontro e dirgli che lo amo, che sono qui, sono vicina, che voglio convivere con lui, che mi manca da morire.
Per un attimo penso di poterlo fare veramente, ma poi ricordo che è in coma.
Questa volta ho anche paura a sfiorargli la pelle nuda,
A stringergli la mano tra le mie, a fissarlo,
sembra peggiorato da quando sono entrata qua la prima volta.La sua vulnerabilità si riesce a percepire nell'aria, che puzza di disinfettante e medicinali.
"Mi manchi, Matt ti prego, non voglio che tu te ne vada, non riesco a sopportare l'idea di vivere senza di te, non riesco a vedere la mia vita dopo di te, non sono pronta, non lo saró mai.
Mi avevi promesso che nulla e nessuno ci avrebbe mai divisi, che avresti fatto a pezzi ogni ostacolo che si fosse interposto tra di noi, ricordi? ti scongiuro, mantieni la promessa, io non ce la faró da sola"
La voce, o quel che ne resta, si rompe sotto i miei singhiozzi sommessi, mentre sento già il colletto della maglia inumidirsi nuovamente.
Nascondo il volto tra le mani e cerco di liberarmi del peso dei miei pensieri, ma invano.
Dopo una pausa che sembra non finire mai, ritrovo il coraggio e la forza di continuare questo estenuante discorso.
"Ricordi Jordan? Il ragazzo della caffetteria di Boston? Quello che tu fulminavi con lo sguardo perchè pensavi flirtasse con me ogni volta che trovava una scusa per servire il nostro tavolo?
Poverino, ricordo ancora che non appena gli hai puntato il dito contro con quei tuoi occhi rabbiosi si è scrollato il vassoio di dosso e lo ha ceduto l'ordine alla sua collega"
Un sorrisino appena accennato mi spunta all'improvviso sulle labbra.
Sono sicura che non dimenticheró mai questi ricordi."O quando ho conosciuto per la prima volta Kaleb, alla presentazione dello stage?
Quando si è seduto accanto a me dopo avermi sorriso, percepivo la rabbia sormontarti nel petto. Avevo paura che saresti potuto esplodere da un momento all'altro.Ti stringevo la mano per stemperare la tua rabbia ma tu continuavi a mandargli sguardi truci"
Mi sentirei di dirgli che lo amo, e che lo ringrazio per amarmi cosí tanto da proteggermi come qualcosa da custodire gelosamente.
Non mi piaceva molto quando il suo primo istinto era quello di allontanare la gente che mi circondava in ogni ambito, ma ora so come si ci sente quando si ha paura di perdere qualcosa.
Lui non mi avrebbe mai persa e mai lo farà, non vedo come io potró mai amare cosí qualcun altro che non sia Matt.
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Tutto Quello Che Non Sai
CasualeNon è forse proprio quando ci si sente fieri e orgogliosi di ciò che si ha, che si rischia di perdere tutto?