Capitolo 1

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Sua zia la osserva con disprezzo, attorno ci sono dieci ragazzini poco più grandi di lei che la deridono.

Fallita, inutile, errore le urlano, e ridono, la tengono accerchiata e lei non può far altro che restare lì, inerme, non ha la forza di reagire.

"Tu non dovevi nascere" le dice Marlene Leanne, non combi­nerai nulla nella tua vita."

"No..." mormora lei a voce strozzata, non vorrebbe farlo, ma inizia a pian­gere, i suoi singhiozzi risuonano nella stanza.

Lei ha fatto tanto nella sua vita; no, lei è solo una bambina, troppo piccola per sopportare quelle parole, per trovare la forza di reagire.

Tiene il viso nascosto tra le mani per non guardarli, non vuole vedere l'espressione carica di disgusto di sua zia, non vuole incrociare gli sguardi di tutti quei manichini perfetti, tutti così uguali, tutti come lei non sarebbe stata mai.

"Guardati!" le ordina la donna, ma lei resta immobile, non vuole.

"Guardati!" ripete l'altra a denti stretti e allora lei lo fa, apre gli occhi sulle sue manine paffute e alza il capo verso lo specchio.

"Fai orrore" commenta la zia, osservando con lei il suo volto rigato, il dop­pio mento esagerato, il maglioncino rosa che mette in evidenza due rotoli di ciccia.

Ma a lei non importa, osserva con terrore i dieci ragazzi che ridono, ri­dono, ridono, ridono, ridono, ridono, ridono...

Laura si svegliò di soprassalto, il cuore le batteva a mille, respi­rava così velocemente che temeva di rimanere senza ossigeno nella stanza: non era la prima volta che aveva incubi su sua zia, ma ra­ramente Cassandra Robson o Edward Sancher – con vent'anni di meno e nessuna traccia di botox sulla fronte – avevano la faccia di Schuyler, Logan, Kristen o di qualsiasi altro dei ragazzi che frequentavano la Leanne Arts Academy.

La cosa la inquietava parecchio.

Si stropicciò gli occhi: c'era decisamente troppa luce in quella stanza. Perché sua madre odiava così tanto le tende?

Portò le ginocchia al petto e strinse le coperte, non si sarebbe mai abituata a quella stanza: di fronte a lei c'era il suo vecchio arma­dio, che sua madre aveva fatto rilucidare e a cui era stata aggiu­stata una delle due ante. Era semplice, in legno scuro; ai due lati del letto, due comodini in vecchio stile inglese – che Laura tro­vava troppo grandi – erano occupati da piante tropicali in pla­stica (guai a chiamarlo cattivo gusto di fronte a sua madre!) e due abat-jour alte mezzo metro; il letto era quello che, un tempo, era stato dei suoi genitori, ma veniva completamente nascosto dalle lenzuola e dal piumone, che erano rossi come le pareti della stanza. Ma anche queste erano appena visibili, coperte da specchi e quadri bordati d'oro troppo, troppo vecchi; e, infine, proprio accanto alla finestra, c'era lei: la toeletta di Marlene Leanne, sal­vata da sua madre un attimo prima che Marc la mandasse in di­scarica. Laura aveva persino timore a specchiarvisi, sedersi e truccarsi era fuori discussione.

Si alzò dal letto, indossò le pantofole e la vestaglia e imboccò il lungo corridoio verso la cucina, da cui proveniva un dolce odore di caffè e pancake.

Sua madre l'accolse con un gran sorriso.

"Ben svegliata!"

"Ciao, ma'" biascicò Laura, sedendosi su uno degli sgabelli di fronte al bancone in marmo. Ciao, ma', si ripeté tra sé e sé: forse uno dei suoi ragazzi aveva appena salutato la propria madre nello stesso modo. Magari lei avrebbe dovuto tro­varne uno più adulto, come Buon mattino mamma.

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