CAPITOLO SETTE

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Erano stati due giorni infernali al bar.

Un weekend lunghissimo. Pieno di lavoro e straordinari.

Non avevo ancora mandato la lettera di assunzione al bar francese, dovevo sbrigarmi prima di perdere anche quel treno.

Forse però il mio inconscio mi stava avvertendo. Forse il mio inconscio voleva farmi capire che io non volevo andare nella tranquillità parigina. Forse, in quel momento della mia vita avevo bisogno di divertirmi, svagarmi, e fare per una volta, la ragazza della mia età.

Cominciai a pensare a Barcellona. A come sarebbe stato lavorare in una pasticceria sulla spiaggia. Circondata da uomini semi nudi e surfisti. Non volevo diventare esattamente una ragazza facile. Non sarebbe propriamente da me. Ma una ragazza che si diverte si. Quello potevo farlo.

Ripensavo alla serata con Walter, a quanto in realtà avrei voluto saltargli addosso. A quanto potesse essere sexy il suo collo. A quanto bramavo il momento in cui mi avrebbe tirato giù la cerniera del vestito.

Stavo tornando a casa dal mio turno della domenica notte. Erano ormai le 5:00 quando arrivai a casa.

Mi diressi verso camera mia. Salivo le scale lentamente, entrai in camera, come d'abitudine accesi la luce.

"Elia cazzo." Steso sul mio letto c'era Elia. Mezzo dormiente. "Che problemi hai?" come potevo sempre dimenticare la finestra aperta? Perché ero così sbadata? "Rose stai tranquilla non ho rubato nulla!" si alzò dal letto, era palesemente ubriaco, lo rimisi a sedere, "Dormi. Ne parliamo domani." Sorrise, mi prese le mani e mi tirò verso di lui. Ero stesa sopra di lui, le nostre facce erano così vicine. Potevo sentire l'odore di Rum. Mi alzai a fatica, visto che lui continuava a stringermi, "Elia. Dormi." Chiusi la porta e andai a dormire di sotto sul divano.

La mattina dopo, cioè in realtà erano le 11, volevo delle spiegazioni. Andai di sopra. In condizioni a dir poco orrende. Indossavo la divisa del bar, puzzavo di sigaro e i miei capelli erano completamente in disordine. Entrata in camera mia Elia non c'era. Poi uscì dalla porta del mio bagno, con l'asciugamano attorno alla vita, e degli addominali invidiabili. "Rose, buongiorno. Mi sono permesso di usare il tuo bagno..." sembrava serio, sicuramente diverso dalla sera precedente. "Elia perché non ti vesti e poi parliamo?" sorrise, si asciugò i capelli con la mia asciugamano fucsia che teneva in mano, e si sedette alla sedia girevole che avevo dalla scrivania, "Oppure, potremmo parlare anche se sono nudo. Ti da così fastidio?" in realtà si. Il mio lato da maniaca si stava facendo sentire in quei giorni. Non avrei voluto tirare via l'asciugamano improvvisamente e fare cose di cui mi sarei pentita. Mi sedetti sul letto, "Okay. Se ci tieni così tanto a prendere la bronchite parliamo pure." Sorrise, io incrociai le braccia seria, "Perché ti ho trovato sul mio letto? Che hai?" ci pensò un attimo, "E' per la situazione di Karma. Io la darò a mia sorella Rose. Voglio che tu lo sappia. E voglio la tua benedizione." Stavo per parlare quando mi fermò con lo sguardo, "...Inoltre vorrei spiegarti che non sono un egoista. Io sarò sempre il papà di quella bambina. Ma non voglio essere infelice. Non posso. Per lei. E per il suo futuro non voglio che parli di me come 'suo padre ubriacone che passava giorni interi al bar.' Voglio evadere anche io da qui, proprio come te. Voglio un lavoro diverso. Vorrei aprire una biblioteca mia, anche al estero perché no. Piccola e accogliente. Una specie di bar, con la cioccolata calda, i libri e i computer. Vorrei questo. E Karma è troppo piccola. Non posso portarla con me. Ma lo farò. Quando sarà più grande e gestibile anche da un incapace come me. Lucy è sua zia. Lei non la chiamerà mamma, non è corretto. Ma almeno ho la certezza che sarà cresciuta con amore. E con una stabilità mentale oltre che economica. Oggi vado a firmare tutte le carte. Mia sorella la prenderà in affidamento. Non è una vera è propria adozione. Non diventa figlia sua. Gliela sto solo affidando." Sorrisi, una lacrima mi colorò il viso di nero, maledetto mascara. "Se tu pensi sia la scelta giusta, per te e per lei, allora ti do la mia benedizione. Voglio solo vedere entrambi felici." Lui sembrava triste. Ma anche sollevato dalle mie parole. Gli sorrisi, era quasi un sorriso materno, un po' malinconico. Mi alzai e lo abbracciai forte. Lui era seduto, il suo viso era sul mio collo, sentivo le sue lacrime su di me. Potevo solo consolarlo. Non volevo dargli contro. Ne dirgli che stava sbagliando, o che avrebbe dovuto rinunciare ai suoi sogni.

Rose's Dream 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora