Capitolo 1

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Correre.

Tutto quello che dovevo fare era continuare a correre.

Continuavo a ripetermi di non fare caso al dolore ai muscoli, alla testa pulsante e alla fame che mi consumava da dentro, come una bestia famelica che aspetta di essere liberata dalla gabbia in cui è rinchiusa.

"Corri".

"Corri e non fermarti". Questo era il pensiero fisso che mi turbinava in testa.

Intorno a me tutto era immobile e silenzioso. L'unico suono che si udiva era lo scricchiolio delle foglie ormai morte calpestate dai miei piedi e il mio respiro che si faceva sempre più pesante, affaticato e irregolare. Intanto il buio avanzava e si portava via con sé i colori del bosco autunnale, e portandosi, invece, dietro ombre cupe che rendevano tutto più tenebroso, assieme ad un vento gelido che annunciava l'arrivo dell'imminente notte.

"Devo farcela, devo trovarlo".

Quello era il mio scopo, trovare il vero Alpha. Ben presto le ombre presero il sopravvento e i miei occhi, non ancora ben abituati al buio della notte, non videro il grosso ramo caduto che si trovava ad ormai pochi passi da me.

Inciampai.

Caddi.

Cercai di rialzarmi ma fallii miseramente.

Ormai al limite delle forze mi arresi e rimasi distesa a terra, con le foglie che mi pizzicavano la guancia e l'odore di muschio che si insinuava nelle mie narici.

"Non posso arrendermi, non ora che sono così vicino. Non posso. Non devo permetterlo".

La stanchezza però prese il sopravvento e gli occhi cominciarono a chiudersi.

"Complimenti, ha fallito ancora una volta. Ma guardati, lì così distesa a terra ad autocommiserarti ancora una volta. Sei patetica. Non sai fare altro che scappare, piagnucolare e fallire." Questo era quello che la vocina nella mia testa disse. E la cosa peggiore era che aveva ragione. Ogni volta che succedeva qualcosa di brutto scappavo, correvo il più lontano possibile, mi rintanavo in un angolino e piagnucolavo, dicendomi che era colpa mia, ma non cercavo mai di risolvere la situazione.

Beh, non questa volta.

Magari fallirò, ma almeno saprò che ci ho provato, che non mi sono arresa, che sono caduta ma ho reagito e mi sono rialzata.

E quello feci. Mi rialzai.

Puntai le mani a terra e feci forza nelle braccia.

Tutti i muscoli cominciarono a dolermi, a bruciare come se d'improvviso avessero preso fuoco, ma non mollai e riuscii a mettermi in ginocchio. Appoggiai una mano ad un albero lì accanto e mi tirai su in piedi. In quel momento tutta la mia concentrazione era dedicata alle mie gambe, in modo da non farle cedere e ritrovarmi di nuovo a terra, perciò mi concentrai e, con le ultime energie rimaste, ricominciai a camminare. Ogni passo era una tortura e ogni volta che facevo anche un piccolo movimento, un immenso dolore mi si irradiava per tutto il corpo.

Continuai così, passo dopo passo, per una ventina di metri fino a che non vidi a poca distanza da me delle luci. Rosse,blu e bianche, poi di nuovo rosse e di nuovo blu e di nuovo bianche. Si ripetevano così, ad intermittenza, ad intervalli regolari ed intanto delle voci facevano da sottofondo.

Il primo pensiero che mi passò per la testa fu "cacciatori!" ma poi mi resi conto che era stupido. Nessun cacciatore, neanche i novellini si sarebbe esposto così tanto. Ascoltando meglio le voci, e soprattutto i termini usati nei discorsi,degli uomini posti attorno alle autovetture, capii che quelle che stavano davanti a me ad una decina di metri erano un'ambulanza e tre macchine della polizia.

"Se c'è un'ambulanza e la polizia, qua vicino deve esserci per forza una città" pensai.

Ancora più motivata da quella vista ripresi a camminare cercando di ignorare il dolore che si stava irradiando in tutto il mio corpo e in pochi minuti arrivai al margine del bosco, ritrovandomi a poca distanza dalla prima auto.

Nessuno si accorse di me in un primo momento perché erano tutti concentrati ad osservare il corpo dilaniato di un uomo. Doveva avere intorno ai quarantacinque anni circa ma nessuno avrebbe potuto  esserne certo al cento per cento, neanche il più bravo dei medici legali. Gli occhi erano infossati, la pelle cadente e secca e il volto in generale era scavato, come se qualcuno avesse tolto le parti in eccesso e avesse lasciato soltanto il minimo indispensabile sulla faccia dell'uomo. Per non parlare inoltre del fatto che dalla ferita che partiva dal basso ventre e arrivava più o meno all'altezza del cuore non usciva tutto il sangue che dovrebbe uscire da una ferita normale, ma soltanto qualche goccia. Il mio primo pensiero fu che probabilmente quel corpo si trovava lì da settimane e aveva già cominciato a decomporsi, ma quel poco sangue rimasto che ancora gocciolava mi diceva il contrario. Quell'uomo era stato ucciso da poche ore, massimo due, e forse il suo assassino si trovava ancora lì sulla scena del crimine.

D'un tratto un rumore alle mie spalle mi fece voltare allarmata, come se qualcuno o qualcosa fosse appena passato in un cespuglio e poi un sibilo, come quello di un serpente. Mi guardai attorno allarmata, con i nervi a fior di pelle e con lo sguardo che vagava in tutte le direzioni alla ricerca dell'origine di quel suono.

Improvvisamente, davanti a me, dalla più totale oscurità, comparvero due grandi occhi di un verde brillante. Un ringhio fuoriuscì dalla mia gola mentre zanne e artigli cominciarono a spuntare. Il ringhio diventava sempre più forte ad ogni secondo che passava ma d'un tratto la creatura alla quale appartenevano i brillanti occhi verdi fuggì via verso l'interno del bosco. Rimasi lì a fissare l'oscurità più totale ancora per un po', confusa e spaesata da quello che era accaduto.

"Quello che ho appena visto era tutto fuorchè normale" pensai, ma prima che potessi formulare altri pensieri un forte fischio acuto mi sorprese, e di certo i sensi ultra sviluppati non aiutarono in quel momento. Non potei fare altro che coprirmi le orecchie finché il fischio acuto dei freni della macchina appena arrivata non cessò completamente, ma il gesto di portarmi le mani in avanti per coprire le orecchie mi fece sbilanciare e caddi di nuovo sulle ginocchia. Prima di svenire, per colpa della stanchezza e di quello che era successo in quei pochi ultimi attimi, mi voltai e davanti alla luce proveniente dai fari ancora accesi dell'auto si stagliò una figura che si stava avvicinando a me. Non riuscii a scorgere i tratti del viso, ma dalla statura e dalla corporatura capii che quello che mi si stava avvicinando non era un adulto, ma un adolescente.

Si stava avvicinando velocemente e quando si trovò a poca distanza da me si inginocchiò.

Probabilmente mi chiese qualcosa ma ormai non riuscivo più a sentire niente e la vista cominciava ad offuscarsi. Provai a sbattere le palpebre per migliorare la mia situazione, almeno per vedere in faccia il ragazzo accanto a me, ma non servì a niente. L'unica cosa che riuscivo a sentire era il forte odore di ambra e muschio di quercia che mi inondava le narici.

Ormai riversa a terra, tentai ancora di rialzarmi e allungai una mano, ma proprio in quel momento le forze abbandonarono il mio corpo e mi abbandonai a terra, stremata.

Prima di perdere del tutto la coscienza riuscii a sussurrare "L'Alpha..." ma dalle mie labbra non fuoriuscì altro che un lieve soffio che nessuno sentì, neanche colui che incombeva su di me.

Quest'ultimo, però, vedendo le mie labbra muoversi, portò la sua mano avanti e mi sfiorò il braccio, poi lo ritrasse velocemente, si rialzò in piedi e cominciò a correre verso il luogo dove si trovavano i poliziotti e i medici, continuando ad urlare qualcosa di cui riuscii a cogliere soltanto poche parole ovattate.

"...ragazza...svenuta...bollente...febbre..."

Dopo avere udito queste poche parole le forze mi abbandonarono completamente, perciò chiusi gli occhi e mi lasciai andare al buio, ma almeno avevo la certezza che questa volta avevo fatto tutto il possibile per arrivare al mio scopo.

E ancora non lo sapevo, ma c'ero riuscita.

Ero riuscita a trovarlo. L'Alpha.

Ma non soltanto lui.

Cry Wolf // S. StilinskiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora