Capitolo3 Il sogno

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La notte regnava, il colpo di luce illuminava le piccole zone. S'accovacciò, facendo in modo che nulla di essa sia visibile.
Passi di soldati scanditi in marcia, un fruscio di vento gelido sulle spalle.
Si morse le labbra, era tornato il suo respiro affannato. Ci sono, pensa Dafne. Tra quelle ombre sfumate trovò nascondiglio, ma sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe rischiato. Sapeva bene che se soltanto avessero udito il minimo rumore sarebbe stata dichiarata morte sul colpo. Sentì spari, e una massa d'esplosione, restò lì priva d'aria, mentre gli spari continuarono uno dopo l'altro.
Un passo maestoso si avvicinò, guardarono in alto, guardarono a destra, a sinistra. Ma del basso non se ne fecero alcun problema. Probabile, molto probabile per la semplice logica della misura. Certamente nessun essere umano prima d'ora si sarebbe riuscito a nascondere tra l'ombra dell'erba fitta. Dafne alzò lo sguardo, scrutando attentamente ciò che accadeva. Vide un paio di occhi aperti, uno sguardo acceso, rimasto vigile dell'area. E in successione due altri paia di occhi, e ancora due. Poi sangue, degli occhi sgranati completamente bianchi che la fissavano dritto per dritto.
Ebbe un colato di vomito, svenendo lì durante l'arco della mezza notte. E non seppe più cosa accadeva intorno, continuava soltanto a vedere quegli occhi spenti, che nella propria mente si era immaginata. Un naso imponente, dei tratti marcati, i soldati, senza alcun dubbio. Un rumore udito soltanto dalla foresta, che secondo i piani di Dafne si sarebbe trovata oltre la rete che le impediva la via libera. Un vento lieve sugli alti pini, i sempreverde, e lo stesso paio di occhi, gli occhi vigili sul campo, vennero abbassati. Si abbassò la guardia, e fu quello l'errore più grande, l'errore che nessun uomo si sarebbe mai dovuto concedere, il corpo dell'evasa si trovava ancora al riparo dall'esercito. Si guardarono ancora una volta, niente, si incrociarono gli sguardi comunicando fra loro nel cupo silenzio. Ma il fatto era che per qualche stramba ragione l'allarme si era verificata, non sbagliava mai... Era l'ingegno del popolo nordico, del popolo nordico dall'alte truppe da guerra. L'errato bruciava, avrebbe costato fatica sia alla terra germanica sia agli uomini dal sangue freddo, dalle vene ghiacciate. Un corpo con il solo obbiettivo di uccidere ogni creatura vivente, una macchina dell'omicidio progettata e gestita da Satana.
<<Mi sembra che qui non ci sia niente.>>
<<Ma l'allarme...>>
<<Non c'è niente.>> Il protesto chiamava, soltanto i passi dei militari, tornati alla base.
Il sonno era ciò che giaceva permanente nell'aerea.
L'espressione di Dafne si fece seria, un incubo. Un corpo giacente nel sottoterra degli Inferi, gli occhi spenti. La indicavano, l'accusavano. Cosa? Non era mai stata più che una ragazza, non aveva mai compiuto atti di omicidio. Ma continuavano a fissarla e a puntarla. D'un tratto i cadaveri scomparvero, presero il posto due porte, due porte chiuse da un lucchetto d'acciaio, d'acciaio come la serratura della cella. Si aprirono, davanti a lei giacevano due strade.
Guardò nella prima... Urla, strilla, un aiuto soffocante, ancora quel gas, di nuovo rumori soffocanti. Aiuto...e un buco di silenzio...le sue urla, la sua morte. E una tomba, una grande tomba, un corpo, il suo corpo, il proprio cadavere. Con gli occhi spenti, spenti come le figure con cui era iniziato il sogno, o meglio l'incubo. Dafne fece una smorfia, si spaventò e indietreggiò di un passo lieve.
<<Non scappare, non scappare dal tuo futuro.
Guarda!
Intravedi il tuo destino!>>comparvero voci, voci dal nulla, ovunque. Un tono di voce sussurrato, l'alito caldo che arrivava fino alla guancia della diciassettenne. Chiuse gli occhi tappandosi le orecchie con le mani. Basta, basta! Ma con quel assillo non c'era concorrenza, una cantilena, una cantilena all'interno della mente.
<<Non spaventarti, è il tuo destino. Guarda!>> e poi il rumore di una risata. Riaprì gli occhi, indietreggiando ancora di una volta della stessa misura del passo: una figura, ben diversa dalle altre. Era misteriosamente oscura, con un paio di occhi maligni neri, neri come gli Inferi, una bocca...su cui era espresso con tutto il massimo un ghigno, una ferita sull'occhio sinistro, si dissolve.
<<Dafne, Dafne, riesci a sentirmi?>>
Comparve da dietro le spalle, un'urla, un altro passo indietro, e ancora un altro... Ma la figura continuava a seguirla come un cane, le parlava ancora.
<<Rispondimi!>>
Il quarto passo era compiuto...
<<Ti avverto, sta ferma,
dannazione!>> Ma non riuscì in nessun modo a evitarlo...cadde... Precipitò in un burrone, e sentì una risata, ancora lei, era lei e Dafne aveva paura, aveva paura come non mai.
<<Da oggi mi chiamerai con il mio nome.>> e ancora la sua frase terrificante, il suo destino.
<<Mai!>> Aveva il tono affannato, il battito del cuore irregolare, iniziava a esprimere ira col suo solo sguardo.
Odio scorreva nelle sue vene.
<<Devo ammetterlo, sei stata brava. Lascia che il tuo odio mi annienti. Sprigiona tutta la tua ira, la tua sete di sangue, la rabbia che conservi dentro fin da bambina per questi dannati germanici!>>
<<Non ho mai tenuto all'interno di me niente di tutto ciò.>>
<<Dici sul serio? E i tuoi genitori, sono stati loro a dargli la morte. E pensa a James, lui era un ragazzo tanto dolce...>> Dafne toccò terreno con la pianta dei piedi nuovamente, fece ancora un altro passo.
<<Lascia che io ti guidi nella fuga.>>
Dafne avrebbe voluto parlare, ma restò muta. Un'altra porta si aprì e sprigionò ciò che conteneva, un'altra via per la nostra giovane protagonista.
Ci guardò all'interno. Ancora quegli occhi serrati, la perseguitavano. Si intravide la lama di un coltello infilato con forza nel petto dei corpi. Un'altra ragazza, vestita con un vecchio mantello nero. Strappava carne, sangue con i suoi stessi denti, una belva, un uragano in tempesta. Prese il collo uno a uno, urla, ma lei continuava a emergere il coltello fino all'elsa, finché il taglio non divenne ben proporzionato. La lama era sporca del sangue ardente ottenuto dall'omicidio, lo pulì con la propria bava, succhiando ogni più infima goccia di sangue.
<<E ora dimmi,
chi era quella bestia?>> disse Dafne.
<<Te.>> Rimase pietrificata, immobile davanti a quei corpi, gli orribili cadaveri, le sue predi.
Ci fu una colata di sangue, molto sangue.
Bestia, si era data dell'animale, del più malefico animale, sete di sangue, odio dovevano essere quegli i sentimenti che probabilmente stava vivendo.
Sono nata per essere cattiva, io, ora che non sono più legata a niente.
Sono un'assassina, una di quelle spaventose ombre che vegliano nella notte.
Sono un'assassina, sono un'assassina!
<<Vedo che assapori bene il tuo destino...>>
<<No! Quella non sono io! Non posso essere io!>>
Non sono io...io non uccido, io non sono una belva dal cuore di ghiaccio, non è il mio destino, no , non può essere...
<<E invece sì.>>
Non rispose, tacque nell'ombra del cupo silenzio.
<<Sei nata per questo, Dafne ascoltami bene te sei, sarai solo questo.>>
Ma no, non parlò, pianse. I lucidi occhi, gli occhi scarlatti, gli occhi vigili. Piangeva, piangeva come il tempo della morte dei suoi genitori, e questo le diede fastidio. No, i tempi passati alla finestra oscura, al coperto, non sarebbero mai tornati.
<<È inutile ignorarmi.>>
<<Io non ero lei, io non sono cattiva. Non mi riconosco nel suo perfido sguardo.>>
<<Te non sei perfida, non sei inferiore rispetto alle altre mentalità. Te sei nata per conoscere le pratiche degli assassini. E l'unica tua possibilità è accettare la mia offerta.>>
<<In alternativa?>>
<<In alternativa moriresti. Ma non sarà una morte rapida, sarà lenta e dolorosa. E nessuna lama, nessun arma potrà porre fine a la tua vita. Pensaci, Dafne, pensaci bene. O meglio dovrei chiamarti T143, non è questo il nome a te dato? Guardati, una ragazza prodigiosa ridotta come uno straccio. Lascia che ti conceda un mondo che ti meriti.>> No, non avrebbe preso alcuna decisione. Sarebbe uscita da lì come sempre, non ci sarebbe stata nessuna vittima e nessuna morte.
<<E ora, spirito, dimmi chi sei tu.>>
<<Davvero? Non riesci a riconoscermi...>>scomparve, con un ghigno malefico espresso dall'oscuro volto...

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