Storia I: la narrazione di Jesmie

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Alle alte porte del popolo francese, il Sakren, il fulcro di tutto.
Re e regine riuniti per celebrare la vittoria, ci sono tutti, dai più poveri dei contadini ai più ricchi dei nobili.
Il discorso prende inizio rigogliosamente.
<<Ecco a voi il Sakren, unione dei popoli freddi del Nord con quegli del Sud.
Il centro,  il nostro punto di riferimento per quello che sarà il lungo periodo pacifico.>>
Un applauso si alzò gradevole al vento.
L'aria dell'aperto, la dimora francese, il grande castello, la bella principessa vestita dalla seta d'oro e argento.
<<Pace a voi!>>
Le mura del Sakren imponenti, massicce, fortificate, intorno al paese. Al suo interno la bellezza della rocca inalzata, dove sopra le immagine disegnate dei momenti di pace che presto sarebbero dovuti arrivare.
Una stretta di mano fra il nero e il bianco, un mondo dove il povero non è vinto.
Un mondo che non esiste tutt'ora,
un mondo perso, smarrito nella propria speranza.
Il suono della tromba ad accompagnare l'inalzata della bandiera.
<<Vivremo felici, una volta per tutte.>>
Ancora l'applauso, gli abbracci, i sorrisi leggermente arrossati dei giovani.
Il bacio dolce di lei e di lui.
Le guardie, dagli alti cappelli, come quelle britanniche.
<<Gloria alla regina! Vita eterna a tutti i nobili.>>
L'inchino di essi verso la ragazza, troppo giovane per la grande carica.
Alzò le mani muovendole delicatamente, i gioielli, l'anello di diamante sull'anulare.
<<Vi prego, no, io non sono il buon Dio, non merito questa gran accoglienza.>>
Il popolo si alzò, e lei riprese.
<<Siamo qua, uniti fra noi per celebrare il nostro Sakren. A cui ognuno di voi avrà accesso. Che ogni povero trovi riparo all'interno delle nostre mura fortificate.
Il denaro non influenzerà mai più la vita dell'uomo. Oggi è un grande giorno, è il ritorno di tutto il tempo passato, di quel giorno lontano, il ritorno della bellezza della natura.
Quando ancora non combattevamo fra di noi come la lepre va contro la tigre o come il topo contro il gatto. Oggi è il nostro giorno, il giorno di tutti noi,
dal più anziano al più piccolo.>>
Gli occhi azzurri cristallo, acqua marina, i capelli biondi platino, lunghi fino a mezza schiena, lisci con piccoli boccoli, come ondulati ma non del tutto.
Alta, bella, intelligente e dalle parole dette,
emesse dalle sue stesse corde vocali di certo buona.
Il vestito rosso, ripiegato decorazioni a rosa perfette, la vita stretta, i tacchi dello stesso colore a alzarla ancora di più di quanto lei fosse.
Un brindisi di gioia, un tutt'uno di emozione, un contrasto di sentimenti piacevoli assai.
Ma delusione, anime tristi, le solite lacrime dell'esasperazione eternamente infinita.
Il popolo asiatico, sbarcando lungo i confini aveva portato guerra. Il tempo pacifico non venne mai, la città fu rasa al suolo con le fiamme ardenti del fuoco incandescente. Le urla disperate. A secco. Le armi, la fuga di persone, che mai avrà vittoria, che mai avrà tranquillità. Il respiro irregolare, il grande respiro, la persecuzione dei nemici, fino ad arrivare al sangue. All'osso della situazione. I corpi dei cadaveri cadenti a terra, sul suolo bagnato da lacrime, il vuoto, la grande città al nulla. Le parole della regina che restarono espresse nel cuore di coloro che per pochi secondi in più che hanno vissuto rispetto agli altri.
<<Non riuscirete mai a ottenermi, mai a sfiorarmi, mai a deludermi assieme al mio popolo. Mai!>>
<<Il vostro popolo non esiste, è perso, è morto. Abbiamo ucciso tutti, tutti gli appartenenti in questa piccola provincia, i cittadini della Francia, la sua patria.>>
<<Io e gli altri siamo vivi e torneremo a gettare la vostre alme all'Ade.>>
<<Siete morte, vostra altezza.>>
Il sangue che usciva dalle vene, finendo il proprio corso della vita con lo sguardo d'odio, d'ira.
I suoi bei occhi azzurri cristalli...persi nell'orizzonte.
Il ghigno invadente degli asiatici. L'anno in cui varcò questa storia fu il 1020.
Nei secoli successivi gli asiatici restarono permanenti sul territorio, affacciato al mare, il famoso Golfo di Biscaglia.
La bella candida pelle reale, Sarah Jakeont I, la regina.
Gli splendidi occhi verdi smeraldo, la corona d'oro puro, la capigliatura arricciata.
Il castello nuovamente costruito, di cristallo riflettente la luce, il Sakren usato forse improprio secondo l'opinione del popolo precedente, o meglio quella che sarebbe stata.
Sono nata al caldo, cresciuta nel gelido freddo.
Sposata, non per volontà, obbligata, ho una figlia.
Si chiama Elena, la adoro, ma so che non ci potrei mai stare più di tanto.
Mio marito, è soltanto un pazzo, drogato probabilmente, alla maggior parte delle ragioni o possibilità.
Un pazzo che mi mise le mani addosso soltanto per il potere che la mia famiglia esercitava. Ma se fosse per me, in un mondo dove veramente io decidessi non avrei mai avuto questa gran stirpe, sarei stata una ragazza povera ma non codarda, ubbidiente. Senza soldi ma non ignorante, la vita che ho sempre desiderato possedere è fra quella gente dal basso rango. Avrei aiutato mia madre in qualche lavoro domestico, mi sarei innamorata di una persona che mi avrebbe tenuto al sicuro.
Le mie stanze sono grandi, larghe, abbellite e decorate in ogni più infimo angolo, al massimo lusso eppure così infinitamente banali.
Non sanno di niente, non sanno di fatica sudata, sanno soltanto di quel ridicolo gesto che mi serve per controllare e ottenere qualsiasi cosa.
Ma io non sono una governante, sono una regina, una madre che non avrà mai tempo di essere una madre.
Le sguattere assistono ogni giorno ad Elena. E nella sua stanza, ricca di tutto.
Di tutte le attenzioni così inutili... Una bambina ha bisogno di essere amata, non del potere. Il potere che tanto odio, e che un giorno le invaderà la mente.
E che forse un giorno, purtroppo la renderanno avara.
La mia principessina, gli occhi verdi, come me.
Le soffici guance, lo sguardo dolce, i capelli biondi come l'oro.
La culla, rosa, con un piccolo pupazzetto con qui lei gioca sempre.
<<Ciao.>> feci sorridendo.
Mi guardò, iniziò il suo pianto, le sue piccole lamentele.
Lei non sa che io sono sua madre, lei sa che sua madre non è più qui fra noi, che sua madre è morta.
<<È tutto apposto.>>
Cercai di tranquillizzarla, ma ancora quelle sue lacrime.
Accanto Madonna Bak,
l'unica mia amica in un luogo dove tutti sono concentrati sui soldi.
<<Non si preoccupi, mia signora.>>
Io sorrisi: <<Grazie, perché mi fido soltanto di lei, siete l'unica che possa davvero crescere Elena, come il avrei fatto. Come io avrei voluto.>> mi commossi.
I miei occhi lucidi,
addolorati per il grande distaccamento che presto avrei dovuto subire.
<<Lo farò, sua figlia diventerà rigogliosa di doti e magari un giorno sarà come la madre, regina.>>
Come sua madre...il mio peggior incubo.
Bak non aveva figli, né sposi era una cameriera, i capelli neri raccolti in una piccola coda da dietro. Il grembiule bianco sporco di cenere, le scarpe consumate, il viso sempre sorridente, ora che ci pensavo non l'avevo mai vista piangere.
<<Sarai te la sua madre perfetta.>>
<<Ne sarò grata, maestà. Ma lei resterà qui, vero?>> diventò preoccupata.
Rimasi immobile, scioccata a scena muta, senza sapere cosa rispondere.
<<Te ne andrai...>>
<<Me ne andrò.>>
<<Dove? E quando?>>
<<In un posto che non oso nominare, mentre un quando che è meglio non dire.>>
<<Mia signora, la prego, mi risponda.>>
<<Meglio non sapere.>>
<<Non credo in ciò che stiate cercando di accennare, io voglio sapere il quando e il dove. Non chiedo altro, per tua figlia, perché un giorno sappia che io non sono sua madre. La tua madre è altrove, le dirò io. E domande mi saranno fatte, e a quel punto cosa dovrò rispondere a degli occhi innocenti?>>
<<Il quando è domani, il dove lo ripeto che non lo dico e dirò, che sia chiaro non è bene che Elena lo sappia. È un particolare in più, questo, io la guiderò a distanza, con la forza dell'animo ma lei non deve sapere ciò.>>
<<Ma...signora...dove...>>
<<Non lo dirò.>>
Mi allontanai, senza voltarmi, ma in realtà piansi, quel giorno piansi fino ad esaurire le lacrime, finché nel vedere il nulla non provai più niente.
Bak insegnò tutto quello che sapeva alla piccola, diventando veramente una seconda madre. I ricordi dei tempi trascorsi...
Elena aveva sei anni, un ramoscello, un frutto in maturazione.
Era già bellissima.
Tornata dal suo primo giorno di scuola, un bellissimo college di altissimo livello dove avrebbe condotto i propri studi.
<<Mamma!>>
<<Tesoro, com'è stata la scuola?>>
<<Benissimo, sono tutti così simpatici, ho fatto tante di quelle amicizie.>>
Si abbracciarono, la voce della bambina era irresistibilmente docile e fremile.
Il sabato passavano tutto il tempo insieme, nel giardino, che Sarah fece costruire.
<<Voglio che un giorno sappia correre lungo questi prati.>>
Se lo ricordava ancora, si ricordava l'esatte parole dette.
E così fecero, la gioia della piccola era eterna.
<<È tutto così fantastico! Siete la madre migliore al mondo!>>
Si aggrappò al suo collo, stringendola forte a sé, la voleva vicino senza nemmeno rendersene conto del motivo.
Le rose dal più acceso del rosso al più spento del blu.
Le siepi tagliate in modo da rendere visibile un elegante forma, l'erba accurata.
Gli alberi di ciliegi colorati dai fiori, il periodo primaverile nel suo massimo splendore.
Poi si distaccò e iniziò a correre, buttandosi a terra, ridendo con un sorriso stampato in faccia.
Così si concluse un arco di molti anni.
Madonna Bak, prendendo il posto di regina, curò a lungo Elena, che crebbe e crebbe fino a diventare rigogliosa, come le aveva detto in un tempo passato.
Bak era al letto, ammalata, i tempi passati con lei si ridussero.
<<Madre.>>
<<Dimmi.>>
<<Voi state morendo?>> Le lacrime agli occhi, tristezza.
Elena aveva diciotto anni quando accadde...
<<Arriva il tempo di tutti prima o poi.>>
Si accasciò vicino a lei, piangendo.
Le lenzuola bagnate dal sudore, spiegate, il viso di Madonna Bak pallido, le occhiaia, il battito cardiaco irregolare, senza più rispettare il ritmo adeguato, la pelle rigonfia.
<<Non mi lascerete da sola>> singhiozzò.
<<C'è una cosa che dovete sapere.>>
<<Cosa?>>
<<Io non sono tua madre>> si fece mostruosamente seria, impassibile.
<<Se non siete voi, non può esserlo nessun altro.>>
<<Ascoltami>> disse, sorridendo.
Elena rimase senza parole, là in quella camera, sarebbe stato l'ultimo tempo, gli ultimi secondi passati a guardarla.
<<La vera tua mamma, non è più fra noi>> si interruppe.
Madonna Bak fece un grande respiro, forse, il suo ultimo,
poi riprese il discorso.
<<Ma non è morta, lo sappiamo. E soltanto in un dove che non si sa definire, che al tempo non osava dire, come lei disse.>>
Guardò il volto delicato di colei che aveva sempre cresciuto.
<<Eri piccola quando partì.>>
Non si udì altro che la sua voce rimbombante sulle pareti.
Lo sguardo fisso nel nulla, il battito d'improvviso smise, giacendo nel petto della deceduta.
Il ricordo terribile del cupo giorno.
Le mani congiunte della ragazza,
dolore. Le lacrime ardenti, la baciò sulla fronte, senza mai abbandonarla.
Avrebbe passato ogni suo più infimo giorno, accovacciata nel suo petto, prima caldo e rassicurante, ora freddo, come un pezzo di ghiaccio.
Se soltanto le fosse stato possibile,
se soltanto glielo avrebbero concesso.
Il rumore della porta d'entrata, i passi di due uomini, due maggiordomi.
Il bisbiglio di voci di sottofondo.
<<Sanno tutti che alla sua morte l'eredità sarebbe stata nelle sue mani.>>
<<Sarah non avrebbe voluto.>>
<<Sarah è morta, al quasi del tutto delle probabilità.>>
Elena udiva tutto.
Chi era colei di cui parlavano?
Si guardarono, pensierosi, e soltanto dopo si decederono di affrontare il loro ingresso.
<<Mia regina.>> disse uno, con il capo chino.
<<La regina è...>> Le lacrime le presero la gola.
<<Capisco, ma ora venga.>>
<<Non l'abbandonerei mai.>>
<<Non possiamo fare altrimenti>> incominciò l'altro, interrompendo il dialogo fra i due.
Ma la ragazza insisté, aggrappandosi al bordo delle coperte.
<<Mi spiace, ma devi affrontare che Bak è morta.>>
<<Non posso, non posso! Lei è mia mamma>> non ce la fece, cadde al cospetto del pianto, dell'angoscia.
<<In realtà no. Tua madre è meglio che non sai dove sia.>>
<<È accanto a me, ed è ancora viva. Smettetela nel negare le mie affermazioni, io so che non è così!>>
<<Le neghiamo per dirle la verità. Cerca nel tuo profondo, il profondo che per anni hai tenuto chiuso.>>
Chiuse gli occhi, fece un grosso respiro, inginocchiandosi, meditando sulla frase dell'uomo.
<<Non trovo niente.>>
<<Allora significa che non vuoi capire. Al mio mal cuore non possiamo metterci a discutere.>>
La presero per le braccia, trascinandola, portandola via da lì.
Le lacrime che le bagnavano fino alle vesti, un pianto a dirotto. I lunghi corridoi, decorati dal tappeto di morbida seta.
Morse le mani, spinte verso la sua bocca per non farla urlare.
I maggiordomi fecero un respiro rimorso, trattenendo la presa.
<<Elena, accettalo, accettalo!>>
<<Noi ti facciamo del bene, ti stiamo dicendo soltanto quello che è stato. Madonna Bak, "tua madre" come la definisci tu, era soltanto una misera sguattera della vera regina.>>
Lei pensò che la sovrana non fosse la persona di cui parlarono, avrebbe tanto desiderato urlare con foga, ma non poté.
Attraversarono perennemente quella strada all'interno del castello.
<<Accettate almeno di offrirle una cerimonia, a Bak,
e le consiglio di accettare la mia proposta.>>
Elena annuì tristemente.
<<Ora noi ti lasciamo andare, ma promettici di fare la brava ragazza>>
e finalmente ebbe la via libera.
L'ora che passò come se fosse eterna, il funerale.
La bara, i suoi occhi si fissarono, guardando un unico punto.
Gli occhi spenti che non poté vedere un'altra volta, c'era stata soltanto la volta del letto, quando la morte stessa la risucchiava dentro di te,
una prigione dove non c'è mai stato alcun evaso.
I vestiti neri dei famigliari, i conoscenti, quel sottofondo impassibile.
Il giorno seguente, la giovane precedentemente all'incoronazione effettuata tramite eredità, ebbe accesso a uno dei luoghi a lei tenuto più al coperto.
Se lo ricordava piuttosto bene,
le voci di Madonna Bak rimbombavano ancora nella sua mente.
<<Questa è stata la camera di una grande persona, dove non potrai mai entrare.
Finché, quando tutto sarà finito, quando arriverà il tempo che non soffrirai subito.>>
L'immagine di una bambina, capelli lunghi fini a mezza schiena, minuta, graziosa, snella, lei da piccola.
Rispose con un "sì", al passato così facile, oggi così difficile.
Credeva davvero che il "tempo" che le aveva accennato quando ancora era...in vita...
Aveva giunto ai suoi passi, che si erano sempre più accorciati,
almeno dal triste momento.
Ma lo doveva ammettere, soffriva e molto, ma non pianse, come se avesse terminato tutte le lacrime.
Toccò la maniglia, avendo gioia in un certo senso,
quell'enigma le era stato a lei appena svelato.
Spalancò la porta,
ai bordi decorati col prezioso oro. Una stanza, esattamente come le era stato detto.
Dei quadri sulle pareti, dove sarebbe quello che mi è stato sempre nascosto?
Si avvicinò ai dipinti. Due donne, una ragazza e una bambina, simili assai.
<<Madre e figlia>> disse, sospirando, ancora i ricordi a perseguitarla.
Ci lasciò l'occhio, le sue stesse caratteristiche.
<<Sono io.>>
Ma chi era la donna accanto? No, non Bak, di certo.
<<Se fosse realmente vero? Se fosse vero di quella madre, che a lei non si era mai mostrata?>>
Scrutò attentamente una lettera, la prese, iniziando a leggere.
<<Elena, so che mai ti ricorderai di me. Sono Sarah, non potrei definirmi colei di cui parlano. Non sono stata una brava madre, lo so, ti sono stata lontano a lungo.
Ti ricordo ancora quando eri così piccola, così tenera. Eri così felice nelle mani della sguattera, che mi commosse. Lasciai scorrere il destino, saresti dovuta nascere da lei.
Ti avrebbe curato, accudito, come io avrei voluto fatto.
Ho un viaggio da trascorrere, o meglio compiere, perché lo assicuro che non sarà niente di piacevole. Ti terrò sempre a mente, sarai la mia perla, perdonami.
E comunque, sì, se lo vuoi sapere, siamo noi quelle nel quadro.>>
Ripose l'occhio ancora sul dipinto...sua madre...
Era bella, dal volto docile, la grande corona sul capo, la sua così bella capigliatura.
Girò i tacchi, cercando di immaginare il viaggio,
il mistero che a lei ancora non le era stato chiarito.
Dopo aver camminato per ettari di distanza, sono arrivata finalmente nel luogo.
Era fra la foresta, fra gli alberi notturni, dove non arrivava nemmeno un raggio di sole. Defh, era il ragazzo con cui avevo preso accordo giorni prima.
Gli occhi azzurri inespressivi, il viso schiacciato, anormalmente alto, il naso appunta, le labbra secche.
Lo vidi uscire dalla cupa abitazione, regnante nell'oscuro.
Il mantello chino, ebbi i brividi, mi guardava fisso negli occhi, nelle pupille.
Le armi nascoste dalle vesti.
<<Ben arrivata.>>
Non risposi.
<<Impara a parlare, se sei muta ti dobbiamo subito eliminare. Ricorda che noi qua siamo i sovrani, non lo sei più te.>>
<<Me lo ricorderò.>>
<<Il nostro patto...>>
Sorrisi: <<Sono una donna di fiducia.>>
<<Mi avresti dato il gioiello e in cambio io ti avrei donato l'accesso.>>
Mi levai la corona dal capo, ponendogliela.
Defh espresse un ghigno nel suo massimo splendore.
<<Bene.>>
<<Ed ora posso entrare>> dissi io,
incrociando le dita sperando che non fosse un inganno.
<<Certamente, seguitemi.>>
Seguii a lungo il mantello svolazzante dell'uomo, gli alberi fitti, le rocce, il territorio privo di decorazioni. A volte si udivano urla, a volte al suolo c'erano le tracce di goccioline di sangue.
<<Cos'è?>>
<<Lo capirai in successione, non sono autorizzato a parlarti di altro.>>
<<Quando?>>
<<Impara, non fare domande agli assassini, è una regola.>>
Defh era di poche parole, di atteggiamenti freddi, di più di quanto io potessi immaginare.
Feci come mi aveva detto, ascoltai il canto rumoroso dei corvi neri.
Fin quando i suoi passi imponenti, d'un tratto si fermarono.
<<Siamo arrivati>> il timbro di voce alto.
Proseguii il cammino, una rocca...
<<Ecco a te il Sakren.>>
Ne avevo sentito parlare, probabilmente in qualche libro, che lessi quando ero ancora una studentessa.
<<Il nome ti avrà condotto a dubbi, non è così.>>
Annuii.
<<Sì, è lo stesso Sakren, costruito per lo scopo di un mondo pacifico. Ma quella terra fu conquistata e ora ci siamo noi. Sei stata regina, dovresti ricordarlo in qualche modo.>>
<<Quello di cui parli accadde prima della mia data di nascita.>>
<<Non importa, è qualcosa che sia nel sangue. Imparerai molto presto.>>
Si zittì, la condusse lungo un tunnel, dei sotterranei, una stanza.
<<Ti presente la tua insegnante d'armi, si chiama Selena.>>
Mi abbandonò nel mezzo del buio, una ragazza non più grande di me, gli occhi neri, i capelli liscissimi e rossi fiamme.
<<Come ti chiami?>>
<<Sarah.>>
<<Selena.>>
Niente mantello sul suo capo...strano...
<<Quando si è al sicuro non occorre coprirsi>> come se le avesse letto nel pensiero.
<<Esatto>> era successo una seconda volta.
<<Questo è anormale, non può essere vero.>>
<<Come pensi ci sia riuscita, allora?>>
<<Non so...scienza...probabilmente...matematica...qualcosa calcolato...>>
<<La matematica, la scienza fanno parte della teoria dell'uomo.
Questo è qualcosa di più, qualcosa che non si può esprimere né con un numero né con una formula specifica. Un qualcosa di paranormale, verificato e sperimentato in un mondo parallelo a quello che hai sempre conosciuto.>>
Mi stupì, mi bevvi alla grande le sue parole, ci sapeva fare quella donna.
<<Qual è il motivo per cui sei qua?>>
<<Sono cresciuta nella guerra, ho ucciso una volta, ero piccola...è stato tutto così...strano...affascinante...aveva un pugnale e...non so perché...ho colpito. Da quel giorno non mi distaccai più dalla mia sete di sangue...lo cercavo in ogni dove, come una droga...ma qualcosa di più. Mia figlia non potrebbe permettersi...una madre del genere, e quindi...>>
<<E così hai una figlia>> disse, facendomi perdere il filo del discorso.
<<Sì. È un male?>>
<<No, per il momento no.>>
<<Cosa vuol dire per il momento?>>
<<Niente di grave.>>
<<Voglio saperlo, subito.>>
Selena sorrise maligna: <<Non osare mai dare ordini, ricorda che stai vendendo la tua anima, ed è un grossa umiliazione.>>
Abbassai lo sguardo, sapendo di non potere controbattere.
<<Continua pure a continuare il discorso.>>
<<Io non sono degna di accudire una figlia.
Sono giunta fin qua...ho messo in chiaro la decisione nel vendere la mia anima...per seguire il mio destino.>>
<<Qua sarai addestrata, innanzitutto bisogna procedere all'iniziazione.>>
<<Cos'è?>>
<<Una cerimonia in onore dedicata ad ogni principiante appena a noi alleato.>>
Non riuscii a decifrare quella frase, non esprimeva nulla di buono.
<<L'omicidio non è un'arte da onorare né da ammirare. È un'arte oscura, l'arte che ho cercato di nascondere a mia figlia, il motivo della mia fuga.>>
<<È qui che ti sbagli, l'assassinio è molto di più di tutte le cose che hai alla peggio accennato. L'assassinio è la nostra energia, dove ricaviamo ogni forza vitale.
E soltanto i migliori in campo,
i migliori assassini sono in grado di crescerne la cultura.>>
Selena uscì dalla porta, portò alla testa il cappuccio, gli occhi scarlatti d'ira funesta per qualche lezione.
<<L'iniziazione si terrà domani.>>
Rimasi da sola, mi stesti sul letto, appoggiando la testa sul cuscino, chiudendo una alla volta gli occhi.
E soltanto dopo essermi rigirata e rigirata riuscii ad addormentarmi.
Il giorno seguente non ci fu nessun sole, nessun raggio di luce ad arrivarmi sugli occhi, ad accecarmi per poi svegliarmi. Era incredibile pensare a quanto ne sentissi sensibilmente la mancanza.
La porta ci riaprì, la ragazza di ieri.
Rimasi seduta sul letto, a guardare ogni suo movimento.
Mi scrutò con la coda dell'occhio acuto.
<<Prendi le tue cose, e sbrigati. Non abbiamo tempo da perdere, la cerimonia ti aspetta.>>
Presi il mantello che il giorno precedente mi avevano donato, assieme le armi.
<<Quelle non ti serviranno.>>
<<Ma...è per la sicurezza...non si sa mai...un nemico...>>
<<Non sarebbe compito tuo, le armi non ti servono.>>
<<Ma...>>
<<Ho detto che non ti servono, fossi in te non me lo farei  far ripetere ancora un'altra volta.>>
Le posai a terra, facendo la mia uscita dalla camera.
Perché non mi ha fatto portare le armi con me?
Dove mi sta portando.
Mi sentii una stretta al cuore, come una ferita, la serratura, uno strano odore...svenni...
Come? Cosa?
Una forte nausea, un colato di vomito, chiudendo gli occhi tornando al passato.
Era scappata dal suo villaggio, se lo ricordava bene.
Dietro di lei nessuno, da sola nel nulla.
I rumori della foresta, del sangue a terra, lo stesso odore che aveva sentito nel fulcro, un odore così pungente e da mettere i brividi.
E poi si ritrova in un tutt'uno di urla, strilla, e quelle che sono ancora le sue armi.
Un pugnale stretto con convinzione, sapeva già il punto vulnerabile dove avrebbe attaccato, avrebbe soltanto dovuto continuare per finire una volta per tutte.
Era tornata ai tempi del suo primo omicidio, lo stava rivivendo in prima persona, con orrore, la carne rotta in un'enorme crepa, ferita, usciva il liquido...
Il suo animo puro sembrava essere diventato come la selvaggina degli animali, c'era qualcosa che la comandava, sa che non l'avrebbe mai fatto per il suo vero istinto.
Nessuna immagine, nessuna pozione né maledizione.
Una frase gelida udita: <<Sei destinata a morire.>>
Subito dopo spalancò gli occhi, la fronte aggrottata, descritta in un'espressione estremamente concentrata.
La donna, Selena, davanti a me con fare minaccioso.
<<La morte, la dea oscura, ti aspetta.>>
Sarah fece una smorfia, con uno sguardo addolorato.
<<Mi hai ingannato...non mi avete mai voluto qua...tu...>>
Non feci in tempo a terminare la mia fra, quella ragazza.
I suoi occhi scarlatti d'ira al mio orizzonte, i suoi capelli, le labbra sporche dal sangue. La sua arma nel punto vulnerabile, dove presto avrebbe colpito.
Il mio respiro affannato, che per poco mancava del tutto, mi ha ingannato mi ha ingannato, ho gettato la mia alma senza alcun motivo.
Inutilmente, avrei ucciso o sarei stata uccisa, preferivo la prima, grazie alla mia pericolosissima sete, ma era accaduta la seconda.
Lasciò cadere il pugnale all'altezza del mio capo, lo spinse fino all'ultimo.
Vidi il sangue scorrere, ne sentii l'odore, lo percepivo in ogni modo,
a soltanto al sentirlo passare sul collo.
Il dolore, il terrificante dolore, le ossa indolenzite, il cuore fermo.
La lama infilata nel collo, al cospetto della grande sale, caddi a terra, guardando un'ultima cosa al mondo: Selena, un'assassina.
Dopo di che chiusi gli occhi, la catena penzolante stretta sull'estremità delle vene.
Il mio sacrifico fu del tutto inutile...
Elena è cresciuta, è una maggiorenne da tempo ormai, i capelli ancora più lunghi di quanto ce gli avesse prima, la corona d'argento decorata col nobile oro.
Il viso perfetto, ben proporzionato.
Era fuori, davanti al sole ardente, ogni raggio riflettente sulla sia fronte, ancora giovanile e priva di rughe.
Il cavallo bianco, dalla folta criniera lunga e accudita dalla sua padrona.
Il galoppo a un ritmo scandito di buon mattino, l'orizzonte sconfinato con l'azzurro chiaro infinito. I suoi occhi, il suo sguardo, il massimo di pace, di fine, di culto.
Le carezze sul dorso dell'animale, la coda da dietro svolazzante.
Il caldo secco, il sudore lungo la pelle liscia, candida, bianca come la neve, la neve d'inverno, il rinfresco, la gioia di ogni anno.
Diede un piccolo colpo al suo cavallo col piede, delicato e molto, come ogni suo gesto, i polsi stretti, fino a far diventare le nocche pallide.
Si lanciò in una corsa, all'interno della foresta, il fresco sconfinato.
Le cortecce cadenti, i pezzi di tronco giacenti a terra.
Il muschio, alle spalle di ogni albero, la strada indicata per procedere verso Nord.
Un precipizio...visibile in lontananza, frenò frettolosamente.
<<Fermo! Fermo>> il cavallo ubbidì.
La roccia scavata, i massi fuoriuscenti, un teschio, a colpo sicuro di un morto.
Un vero umano, a cui non si era verificato nulla di piacevole.
Quando lo vide...
Un cadavere, il sangue secco, la stessa donna...la stessa donna del quadro, sua madre.
<<Il suo viaggio...>>
I capelli raccolti in una coda, del sudore, l'espressione di collera ancora stranamente del tutto presente. Gridò, quelle urla...l'orribile sua scoperta, che avrebbe tanto voluto mai effettuare. Eppure era fatta, si trovava lì, ormai non sarebbe potuta andarsene, non avrebbe mai potuto dimenticarci ciò che aveva visto.
Spaventoso...
Non l'aveva mai conosciuta, forse, in qualche qual modo non le piaceva, eppure pianse.
Inginocchiandosi a terra, pregando il buon Dio.
I segni minacciosi sul collo, ferite non ancora rimarginate, i colpi di un'arma sicuri, avvincenti, tosti.
Come se tutto fosse stato pianificato, così tanto da conoscere il punto giusto dove agire.
Pugnali, senza alcun'ombra del dubbio e ciò conduceva a un'unica ipotesi.
<<Assassini...>>

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