Capitolo2: È soltanto l'inizio

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Le lacrime degli occhi lucidi scorrevano sul viso pallido dei cadaveri a terra.
Uno a uno, con violenza furono portati in una piccola stanza.
Persone e persone in una minuscola cella. Dafne era fra quelle, dietro le sbarre, cercandosi di ribellarsi.
Le porte arrugginite, l'odore pungente lungo la camera, stracci mal ridotti, distrutti durante il viaggio.
Era sporca, era a terra, piangeva, non aveva niente da fare che il pianto.
Niente da perdere ormai, niente più sogni, soltanto le imponenti sbarre che non permettevano la libertà.
Una diciassettenne, come tutte le altre, conducente di una vita cupa, che a lei aveva serrato ogni più infima porta.
Vide volti di bambini, volti di ragazzi, volti di adulti e persino di anziani.
Molti erano i dolori, ma niente più grave della fame, la miseria.
Ormai era una settima, sette lunghi giorni di digiuno assoluto. Né il minimo pezzo di pane né la minima goccia d'acqua.
Discendevano da famiglie, famiglie come le altre, che si guadagnavano i propri beni spezzandosi entrambe le arti, sia inferiori, sia superiori.
Ma allo stesso tempo erano più miseri dei poveri. Era appoggiata con la schiena dritta lungo la lugubre mura distrutta, pezzi di marmo fuoriuscenti dalla parete.
La vernice secca, ridotta in mille pezzettini sul pavimento.
E che pavimento...pensò, senza ironia, senza alcun sorriso. Non c'era più da ridere, non si scherzava, bisognava soltanto temere, temere e attendere la fine di tutto.
Soltanto i neonati non si erano accorti di ciò che era tristemente accaduto, di ciò che avrebbero subito con totale e pura ingiustizia.
A mezzogiorno in punto passò per lì una guardia.
Simile ai soldati che avevano incontrato prima: imponente, con i tratti del viso marcati.
Prese una chiave, la infilò nella serratura e dopo di che aprì.
Tutti stettero a guardare con occhi fiduciosi, Dafne si girò, guardò anche ella.
É uno come tutti gli altri, non ci vorrà liberare, pensò sbruffando.
Ma poi la cella si aprì, era davvero aperta, si aprì sotto agli occhi di tutta la gente.
E uscirono, dai più giovani ai più anziani.
<<E tu ragazzina non esci?>>disse l'uomo dalla pesante arma.
Dafne fece una smorfia, si avvicinò e uscì.
<<Ebree...tutte uguali.>>sussurrò.
<<Tedeschi...>>disse Dafne a tono superiore dimostrando coraggio.
<<Cammina prima che ti uccida.>>
<<Nessuno e niente mi ucciderà.>> disse trionfante e nella folla scomparve sotto agli occhi d'ira del germanico.
Si accostarono verso un corridoio, una sala ma stavolta più grande. Furono di nuovo costretti a entrate, e ubbidienti è quello che fecero tutti.
Dafne col suo occhio acuto scrutò più soldati in lontananza, si fermò ma fu presa per i capelli da dietro...
E tirata, tirata bruscamente fino a farla piangere.
Era il soldato, ancora lui, di nuovo lui, evidentemente non dimostrava grande simpatia per la ragazza.
E quando tutti, tutti gli ebrei erano finalmente entrati, misteriosamente le porte d'acciaio si chiusero con qualche meccanismo da dietro.
<<Giovani, bambini, adulti e tutti coloro di tutte le età questo è per voi, per voi che siete infinitamente inferiori alle menti della sacra terra: la Germania.
Bambini e anziani morirete. Non ci servirete in nessun modo a lavorare, ma non ci prenderemo la responsabilità del non avervi uccisi. Anche a voi come tutti sarà concessa una dolorosa e lenta morte.>>
Ci fu un altro ingresso in un'altra stanza soltanto per le persone nominate, e poi urla...urla secche, acide urla.
Pianti, e un forte rumore ...gas, doveva essere gas.
L'intuito della ragazza non sbagliò, gas, era gas.
Continuarono i numerosi pianti, lacrime, numerose lacrime versate. Lacrime pesanti, dolorose, soffocante.
Un pianto uno sopra l'altro.
Un tutt'uno di grida, urla e sofferenza di tutte, tutte le vittime.
Dafne si tappò le orecchie, non avrebbe ascoltato di più, non avrebbe assistito a nessuna altra morte.
Quella di Jesmie, di Fred, di James le erano bastate e avanzate.
E poi, senza conoscerne la ragione, tutti i rumori terminarono. E un grande silenzio cominciò a regnare divinamente.
<<Per tutti voi altri, uomini alla mia destra, donne alla mia sinistra.>>
Per un attimo Dafne si chiese quanta prepotenza giaceva nelle sue veni, ma poi il pensiero fu interrotto e bloccato per sempre da una grande preoccupazione che iniziava a esprimere paura sul suo volto.
Sentì un altro rumore, diverso dagli altri... Una macchinetta da barba, probabilmente. E poi una massa di folti peli a terra, capelli. Aveva visto fin troppo, voleva andarsene. Le bastava, le bastava.
Ma i tedeschi incitavano, costringevano. E così anche il suo turno arrivò, e l'accessorio fu acceso.
Chiuse gli occhi, ma non ci riuscì. Una forza dentro di lei le diceva di guardare, di assistere. Incominciò a essere pallida, incominciò a piangere, toccò un ultima volta i suoi bei capelli neri. Neri come le notti, come le notti sbirciate dalla finestra del Montin Express, il vecchio vagone, come le notti che non avrebbe mai più voluto ricordare.
Erano soffici come nuvole, mossi, lunghi, lunghissimi.
E in disgrazia le belle ciocche curate e percepite tramite il tatto, caddero una a una, piano piano, accompagnate sul pavimento dal dolore soffocante della diciassettenne.
Il mio vanto...pensò, guardando ancora una volta, trovandosi con gli occhi serrati, sentendo soltanto un'unica voce...
<<Questo è soltanto l'inizio...>>

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