Iniziò a recuperare le forze, sgranò gli occhi, preoccupandosi di ciò che era accaduto il minuto prima.
Perché sono svenuta? Cosa stava succedendo? Cosa, come, in quale modo? Non trovò risposte, non fece altro che ripetersi le parole una dopo le altre. Una cella... Delle sbarre, uno specchio. Si avvicinò all'oggetto, con paura nel veder riflettere la propria immagine, non riconoscendosi. Gli occhi neri, la testa calva, una tuta...una tuta a righe, bianche e azzurre, una serie di righe verticali. E una grande targa: T143, il suo nuovo nome. Solo lei, era rimasta solo lei persino oltre le sbarre, aveva iniziato ad agitarsi, a esasperarsi. Non doveva essere là, non era quello il suo luogo, non era la sua casa. Iniziò a sbattere, a urlare, nel tentativo della ribellione. Emise rumore, e poi pianse.
<<Voglio uscire! Voglio uscire!>>
<<Non vedo il motivo di preoccuparsi.>>disse una guardia con un'espressione malefica in volto.
<<Dimmi soltanto il perché. Dimmi il motivo di ogni pianto, di ogni morte, dell'esistenza di te e i tuoi simili.>>
<<Il fatto è che te ci appartieni, ci appartieni da sempre. Noi esistiamo per il bene del mondo, noi siamo i sovrani, i legittimi. E te sei la nostra giovane schiava, che ti piaccia o meno.>>
<<E allora dimmi perché si nasce schiavi e legittimi.>>
<<Non aprirò mai bocca, se davvero hai sentito parlare di noi, lo dovresti sapere. Non ti hanno detto abbastanza i tuoi nonni? I Samers, se non mi sbaglio.>>
<<Loro sono morti prima che io nascessi.>>
<<Ah che peccato, peccato che non abbiamo avuto abbastanza pietà per loro. Mi spiace sai, altre vittime, direi che non c'è ne sono mai abbastanza.>>
L'occhio della ragazza divenne scarlatto d'ira, scrutò l'uomo guardandolo come se non ci fosse, interiormente. Iniziò a prendere a calci il cancello.
<<E inutile, sai? È d'acciaio, nessuno riuscirebbe a romperlo, e tanto meno una ragazzina dalla tua età.>>
<<Non sottovalutarmi.>>
<<Mi piacerebbe, ma sono le tue origini a essere sottovalutate.>>
Non aggiunse una parola in più e non rifletté nemmeno una volta nel dire di aver esagerato. Nonostante le parole gelide dell'uomo non smise di torturare la serratura.
Strinse i pugni fino a fargli diventare bianchi, tirò con tutta la forza che aveva fino a diventare rossa.
E quando si accorse di esserci riuscita non fece il minimo rumore.
Aspettò la notte, il buio della notte. E quando il tramonto nuoceva all'orizzonte, uscì silenziosamente, camminando in punta di piedi. Avvicinandosi via via all'uscita, cercando in ogni modo possibile la libertà. Così strusciò lungo le pareti e nelle ombre della notte cupa si dissolve.
<<Ci sono.>>sussurrò.
Rimase immobile, vide un lungo sentiero che conduceva a una rete dove dietro c'era una casa e una foresta.
Una fitta foresta d'alberi che andava verso la vetta crescendo.
Fece un enorme balzo, accovacciandosi nell'erba della via. Era alta e per poco non riuscì a vedere, continuò.
Ogni tanto da zolle di terra sbucavano qualche simpatico animaletto, come quello che era rimasta a fissare. All'oscurità le sembrava un bruco, affidandosi al suo sguardo uno scarabeo. Non aveva mai avuto una vista allenata per vedere a certi livelli inferiori di luminosità, ma dopo aver visto ciò che accadeva in circolazione poteva affrontare di peggio.
Proseguì l'andata e nell'arrivare si scontrò contro la rete che precedentemente aveva visto in lontananza.
Il buio era così immenso che rendeva la sua vista acuta ottusa.
Si alzò di scatto in piedi e vide una strana figura, un uomo con certezza. E ne ebbe terrore, la paura aveva incominciato nuovamente a germogliare nelle sue vene. Rimase immobile, senza provare a fare il più infimo rumore in più.
La vedeva avvicinarsi, era a un braccio da lei.
Dafne strinse i denti senza respirare, la figura anonima iniziò a parlare.
<<Non ti farò del male. Non sono dell'esercito.>>
Una voce giovanile, un ragazzo, probabilmente della sua età, un suo coetaneo. Ripreso d'un tratto a respirare.
<<Mi chiamo Lucas.>> Del ragazzo non riusciva a farne un immagine lo vedeva totalmente buio, sicuro nettamente distinto da come doveva essere alla luce del sole.
Le mancava il fiato, la lingua era come scomparsa. Le sarebbe piaciuto parlargli ma a quanto pare doveva prima recuperare il fiato. Rendere di un respiro regolare, il respiro affannato.
<<Capisco che tu non voglia parlare, ecco tieni è per te. Si chiama giglio.>>
Dafne apparse spaventata, non riconobbe la forma, l'aspetto era totalmente sconosciuto come l'uomo che le stava dialogando interrottamente.
<<Guarda non ti fa niente.>>
<<Mi hanno gettato tante di quelle spine che non riesco a riconoscere i buon gesti, è questione di principio, è questione di abitudine.>>disse duramente, facendo in modo che la propria voce sia irriconoscibile.
Prese il giglio dalla mano del ragazzo, Lucas, così aveva detto di chiamarsi, se ancora il suo udito non l'aveva tradita.
E fu quella l'azione azzardata, l'azione di troppo...un grande rumore assordante, una luce rossa che si rifletteva sull'erba.
<<Scappa!>>
L'allarme...e stringendo i denti cercò di scomparire fra le ombre, schivando la luce della luna che l'avrebbe resa vulnerabile...
STAI LEGGENDO
The Killer
FantasiDafne è un'orfana, una prigioniera, un'evasa dai campi di concentramento. Ci troviamo in un passato remoto, le ferite di qualcosa che continua a bruciare sulla pelle. Gli anni dal 1940 in poi, sono tornati in terra nuovamente. Le urla disperate, se...