2. Eroi

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Sherlock Holmes spalancò gli occhi verdi, spaesato.

Il buio che lo circondava era così fitto da sembrare un denso liquido nero, simile al petrolio.

Dove sono? Si chiese il genio senza ricevere la risposta immediata che si aspettava dalla sua fredda mente calcolatrice.

Cercò di mettersi seduto, ma non appena sollevò la testa dalla fredda superficie sulla quale era poggiata, una scossa di dolore gli attanagliò le tempie, come se una lancia gli stesse trafiggendo il cervello da parte a parte. Riadagiò il capo al suolo e, cercando di muoversi il meno possibile, allargò i palmi per sondare lo spazio che lo circondava. Le lunghe dita del genio tastarono un oggetto di forma cilindrica all'altezza del suo fianco destro e si avvolsero intorno a quest'ultimo, afferrandolo con cautela. Un volta sollevato, Sherlock chiuse il misterioso oggetto tra i due palmi capendo, finalmente di cosa si trattava. Era una torcia. Una volta individuato il tasto di accensione, lo premette senza ulteriori indugi.

Sherlock puntò il flebile fascio di luce verso destra, dove venne bloccato da una sagoma che riconobbe subito. Si trattava della manica di un cappotto nero, con un polsino in lana leggermente liso dal quale sbucava una piccola mano che giaceva immobile sul pavimento appiccicaticcio. John.

Il consulente investigativo, l'unico al mondo, lasciò cadere la torcia e, puntellandosi sui gomiti, sollevò la schiena da terra cercando di ignorare una seconda e violenta fitta alla testa. Si sporse verso destra ma un violento capogiro lo colpì inaspettatamente facendolo letteralmente ricadere sul corpo inerte del suo amico e coinquilino.

«John?» lo chiamo con un filo di voce, era così vicino al viso suo da riuscire a scompigliargli i sottili capelli biondi ad ogni respiro che faceva. «John, per l'amor del cielo, svegliati.» lo richiamò, quasi implorandolo, dopo qualche istante di preoccupante silenzio.

Non gli passo per la testa nemmeno un secondo che potesse essere morto, la sua geniale mente si rifiutò persino di prenderlo in considerazione. Afferrò il cappotto dell'amico e lo scosse con impeto.

John schiuse gli occhi, lentamente, come se le sue palpebre pesassero come macigni. Le iridi scure del dottore schizzavano a destra e a sinistra, annaspando alla ricerca di spiegazioni.

Il genio tirò involontariamente un sospiro di sollievo, per poi ricomporsi, assumendo la sua tipica espressione da uomo-robot.

«Sherlock, grazie al cielo sei viv...» la frase del dottor Watson fu bruscamente interrotta da un rantolo di dolore. «Dio! La gamba, mi fa un male infernale!» disse a denti stretti per evitare di liberare un urlo di dolore che, probabilmente, avrebbe potuto far crollare le pareti.

«John, non ho tempo per i tuoi dolori psicosomatici, sto cercando di capire dove diavolo siamo finiti.» lo rimproverò Sherlock, che nel frattempo si era messo seduto a gambe incrociate, pronto a mettere alla prova le sue capacità deduttive. Aveva appena scartato tre delle cinque ipotesi che aveva formulato da quando si era svegliato, quando fu di nuovo interrotto.

«No, no, Sherlock non è psicosomatico» si sentirono le unghie del dottore stridere contro il pavimento. «Io... io credo di avere qualcosa nella gamba.» disse infine cercando di fare respiri profondi.

Sherlock sentì lo stomaco stingersi in una morsa e, senza nemmeno rendersene conto, stava già strisciando sulle ginocchia per raggiungere l'amico. Impugnò la torcia e puntandola verso John.

«Dio santo...» le parole uscirono dalle labbra del genio come il sibilo di un serpente che si sente minacciato. C'era un lungo gancio metallico arrugginito impiantato nella coscia del suo migliore amico, l'unico amico che aveva, l'unica persona che aveva deciso di tenere al proprio fianco. Alla vista di quella tremenda ferita lo stomaco si strinse ulteriormente quasi volesse arrotolarsi su se stesso, ma non era senso i nausea, quello che provava. Era stato su decine e decine di scene del crimine, aveva esaminato cadaveri martoriati con le più macabre modalità, quindi al suo occhio esperto una ferita del genere equivaleva sì e no ad una sbucciatura al ginocchio dopo una caduta in bicicletta.

Era panico quello che sentiva, panico e impotenza. La scena che si trovava davanti era tutta sbagliata. Non era lui che si prendeva cura di John, era John che salvava la vita a lui, sempre. Era John che si preoccupava di ascoltare i suoi lamenti silenziosi, le sofferenze inespresse sapendo esattamente cosa fare per alleviarli. Era John l'eroe, non lui.

«Quanto è grave?» chiese allora John. Non aveva ancora avuto il coraggio di voltare il viso verso la fonte del suo dolore.

Sherlock sbatté le palpebre velocemente, cercando di scrollarsi di dosso l'ansia che tentava di celare dietro il viso pallido e che, di certo, non lo avrebbe aiutato a risolvere quella situazione. Non poteva essere un angelo custode come lo era John, ma decise che si sarebbe preso cura di lui. Sherlock non era un eroe, aveva giurato a se stesso che non lo sarebbe mai diventato, ma per John avrebbe fatto un'eccezione. John era sempre stata l'eccezione.

Si avvicinò alla ferita. Affilò lo sguardo, notando come la quantità di sangue fosse stranamente esigua per una lesione di tale entità: ciò poteva significare solo una cosa.

«Hai un corpo esterno conficcato nella gamba destra. Dall'assenza di una emorragia venosa, deduco che possa essere penetrato tanto da riuscire ad intaccare l'arteria femorale ed ora, ironia della sorte, quel corpo esterno è l'unica cosa che ti impedirà di morire dissanguato.» il genio si schiarì la voce. «Quindi John per nessuna ragione al mondo devi estrarlo, perderesti...»

«Per l'amor del cielo Sherlock, sono un medico. So cosa succede se si perfora la stramaledetta arteria femorale!» esclamò il dottor Watson sull'orlo di una crisi isterica.

Sherlock si sforzò di mantenere un'espressione neutra, nonostante fosse stato colto di sorpresa dalla reazione dell'amico. Tornò ad esaminare la ferita, stando attento a non avvinarsi troppo, come se avesse paura di poter provare lo stesso dolore dell'amico.

«Scusa Sherlock io non...» sopirò passandosi una mano sul volto. «Voglio solo uscire da qui.» disse esausto.

«Usciremo John.» sentenziò il più giovane della famiglia Holmes
«Giuro che ti porterò fuori da qui.»

Locked In || Johnlock Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora