7. Anime belle, anime coraggiose

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"Yesterday all my troubles seemed so
far away.
Now it looks as though they're here to stay.
Oh, I believe in yesterday.

Suddenly I'm not half the man I used to be.
There's a shadow hanging over me.
Oh, yesterday came suddenly".

- Yesterday, by The Beatles

Le palpebre pesavano come macigni e calavano sugli occhi grigi del dottor Watson ogni qualvolta i brividi della febbre, partendo dalla base della colonna vertebrale, lo attraversavano facendolo tremare fino alle viscere.

Il suo capo ciondolava a destra e a sinistra come se il collo, nonostante la massiccia muscolatura forgiata dall'addestramento e dall'esperienza militare, non fosse abbastanza forte per sostenerne in peso. Rimanere completamente lucido stava diventando sempre più difficile, tanto che, in alcuni momenti, si trovava a fissare il buio mentre nel suo cervello le immagini reali, i ricordi passati, gli eventi mai verificatisi iniziavano a mescolarsi tra di loro, diventando uno parte dell'altro, formando un concentrato di confusione affascinante e terribile allo stesso tempo.

Sherlock si piegò sulle ginocchia, aveva perso il conto di quante volte lo aveva fatto da quando i sintomi della febbre avevano iniziato ad acutizzarsi. Allungò la mano umida di sudore e raddrizzò il capo dell'amico sorreggendolo dalla nuca, quel gesto gli ricordò quello delle infermiere nel reparto maternità del Bart's quando prendevano in braccio i neonati. Nella sua mente il paragone suonò quasi divertente, ma la tenerezza di quell'immagine si dissolse lentamente fino a trasformarsi in un'immagine tanto angosciosa quanto la realtà che stava vivendo. La verità lo colpì come un treno in corsa.

Si trovava poi in una situazione tanto differente?

Il suo sguardo sostò sull'espressione vacua dell'amico rendendosi conto di quanto fosse indifeso, inerme, come un bambino, incapace di affrontare da solo gli ostacoli e i pericoli che il mondo riserva solo alle anime belle e a quelle coraggiose.

«John, cerca di stare sveglio» lo richiamò Sherlock con un'aspettata dolcezza.

«Sono sveglio, sono sveglio» farfugliò John.

«I tuoi lettori impazziranno quando racconterai questa storia sul quel tuo blog.» Sherlock cercava di comportarsi normalmente, cercando in tutti i modi di mantenere vigile l'amico.

«I nostri lettori» lo corresse John «sei tu la star.» l'angolo sinistro delle sue labbra si tese leggermente.

«Ogni Batman ha il suo Robin»

«Sherlock Holmes, hai per caso rubato i miei fumetti dal cassetto del mio comodino?»

«Oh, John. Davvero non te ne sei mai accorto?» disse Sherlock con una leggera risata.

«E tutte quelle volte che mi prendevi in giro perché dicevi che i supereroi erano "una stupida invenzione per creduloni"?» chiese attonito il medico.

«Ehm... potrei aver mentito. Sapevo che non te ne saresti accorto.»

«Oh, ecco le tue frecciatine, Sherlock, iniziavano a mancarmi.»

Un lampo di senso di colpa fece sobbalzare lo stomaco di Sherlock, ma, dopo pochi istanti, si rese conto di come lui, se si fosse trovato nella stessa situazione di John, avrebbe voluto che chiunque si trovasse al suo capezzale si fosse comportato nella maniera più naturale possibile. Gli sarebbe stato più facile credere che tutto si sarebbe sistemato, che tutto sarebbe tornato al suo posto.

Sentì la mano di Watson strisciare sul ruvido pavimento con un rumore lento, simile ad un rantolo silenzioso. Sherlock rimase immobile, anche quando la mano di John raggiunse la sua. Percepì la debole stretta ancorarsi al suo mignolo e al suo anulare con tutta l'energia che gli era rimasta.

«Comunque hai ragione Sherlock, penso che questa avventura riscuoterà persino più successo di quella base militare di Baskerville.» la poca convinzione con cui il medico pronunciò quelle parole fu disarmante per Sherlock.

Per qualche attimo di sorprese a pensare a come fosse la sua vita prima di conoscere John, ma i suoi ricordi erano così sfocati e oscuri che quasi dubitò di aver avuto una vita prima di quel fatidico incontro in quel laboratorio del Bart's, che puzzava costantemente di cloro e naftalina. Eppure tra quella nebbia scura egli riconobbe il mostro che era stato e che sarebbe tornato ad essere senza di Lui: un'accozzaglia di pensieri negativi avvolti in un involucro di pelle dalle fattezze umane.

«Vero» lo assecondò Holmes «anche se penso che la storia di quella volta in cui abbiamo inseguito quel ladro a King's Cross ma siamo saliti sul treno sbagliato invece che su quello su cui era salito il delinquente»

«Oh si, quella è stata davvero divertente. Abbiamo anche preso la multa per non aver fatto il biglietto.»

«Dio quando avrei voluto tirare un pugno in faccia a quel controllore»

John si schiarì la voce, trattenendo una risata.

«In realtà lo hai fatto, Sherlock. Due volte» precisò il medico.

«Oh beh era un insopportabile scorbutico» disse Sherlock facendo spallucce.

Le loro risa iniziarono a spargersi nell'aria densa fino a quando non si trasformarono in violenti colpi di tosse. Non gli rimaneva molto ossigeno, per un ora e mezza, forse anche meno.

«Ancora fatico a capire come abbiamo fatto a confondere un intercity per Liverpool con un treno locale tutto cigolante diretto a Birmingham.» Watson, con un filo di voce, ruppe il silenzio.

«Non lo so, ma hai avuto una bella idea quando hai proposto di a Stratford Upon Avon nel ritorno, non avevo mai visto la villa di Shakespear...» non appena terminò di pronunciare il nome del famoso artista, trasformatosi in attore di quella terribile vicenda, il cuore del consulente investigativo si fermò.

La sua mente fu scossa da un'improvvisa scarica di adrenalina, aveva appena completato il puzzle. Strinse la mano fredda i John e, spalancando quegli occhi che avrebbero fatto invidia a quelli di una tigre siberiana, si voltò di scatto verso di Lui.

Lo udì tossire di nuovo.

"Non ti arrendere John" pensò Sherlock "ho capito dove siamo".

Locked In || Johnlock Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora