3. Il gioco comincia

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«Una cella frigorifera? Sicuro?» chiese Watson alzando un sopracciglio.

«L'ex cella frigorifera di un vecchio macellaio, venuto sfortunatamente a mancare qualche settimana fa, per essere precisi.»

«E da cosa hai dedotto il fatto che ci troviamo in una cella frigorifera di un vecchio macellaio ora deceduto?» chiese allora mimando il gesto delle virgolette. Il movimento delle braccia, seppur minimo, gli causò l'ennesima scarica di dolore che lo colpi come una pugnalata alla base della spina dorsale. Cercò di dissimulare la smorfia di dolore dietro un sorriso tirato, odiava vedere quella ruga di preoccupazione tra le rade sopracciglia di Sherlock.

«Semplice: c'è una serpentina che ricopre il soffitto dentro alla quale scorreva il del liquido refrigerante, quindi questo posto è stato concepito per rimanere al fresco. In secondo luogo ci sono quelle...» Sherlock sollevò la torcia illuminando due lunghe sbarre metalliche situate proprio sopra le loro teste, che attraversavano la cella da parte a parte. «Sono utilizzate per appendere grossi tagli di carne o carcasse di piccoli animali, grazie a dei ganci metallici. I ganci sono vecchi, sono stati utilizzati talmente tanto da aver quasi perso la loro forma uncinata per via del peso che dovevano reggere, e per il fatto che hanno dovuto farlo per molto tempo: ecco perché uno di essi ti ha trafitto la gamba quasi fosse un pugnale.» proseguì indugiando per qualche istante sulla ferita di John «Poi lui, il macellaio. Questa cella riparata manualmente in più punti, vedi quel nastro isolante sulla serpentina?»

John annuì.

«Bene, indica quanto ci tenesse al posto, ma gli mancavano i mezzi economici per poter comprare una cella frigorifera. Il che, già di per sé, potrebbe indicare una persona in età avanzata, probabilmente sola, ma la conferma mi arriva dal fatto che questo posto sia inutilizzato da almeno tre settimane, ma non è stata ripulito né sistemato, probabilmente è stato venduto all'asta. Un proprietario così scrupoloso non avrebbe mai venduto il posto in cui a lavorato per una vita senza nemmeno pulirla, quindi lo sfortunato titolare deve essere venuto a mancare senza lasciare eredi.» spiegò Sherlock, vomitando informazioni ad una velocità tale che persino John, nonostante tutto il tempo passato insieme, faticava a stargli dietro.

Il dottore schiuse leggermente le labbra. Erano cambiati tanto, lui e Sherlock, da quando erano diventati coinquilini: lui aveva imparato l'arte della Santa Pazienza e Sherlock aveva addirittura comprato un congelatore a parte per far si che le carote, di cui John andava ghiotto, non stessero vicini a parti di cadavere da utilizzare in esperimenti dalla dubbia scientificità. Aveva imparato ad apprezzare il suono del violino e Sherlock quello delle dita che scrivono a ritmi forsennati su una tastiera, eppure lo stupore che il Dottor Watson provava ogni qualvolta il suo migliore amico si cimentasse delle sue deduzioni era rimasto immutato.

«Fantastico? Lo so.» disse il genio trattenendo a stento un sorriso compiaciuto.

Una risata sommessa vibrò nel petto di Watson.

Cambiato sì, ma non troppo, pensò con dolcezza fraterna. Ancora non aveva finito di formulare quel pensiero quando notò l'espressione del suo migliore amico cambiare in maniera repentina. Lo vide affilare lo sguardo glaciale fino a ridurre i suoi a due sottili scorci di mare nordico.

«Che c'è?» gli chiese allora.

«C'è qualcosa su quella parete.» rispose impassibile.

«Qualcosa, tipo?»

Il genio ignorò completamente il suo amico e, sorpassandolo si diresse verso la parete di fondo.

«Sherlock, parlami!» esclamò il medico, frustrato.

«C'è una telecamera.» constatò il genio, parlando più per se stesso che non per rispondere alle richieste dell'amico.

«Una telecamera?!»

Sherlock illuminò l'apparecchio elettronico, fissato al muro con quattro viti, condividendo così la propria scoperta con John che, a fatica, riuscì a voltarsi. «Ci sta guardando.» disse infine.

«Che razza di psicopatico fu l'unica cosa che il medico riuscì a commentare.

« Credo che sia più corretto definirlo un sadico o un voyeur» precisò Sherlock abbassando la loro fonte di luce.

«Sherlock, per l'amor del cielo, non mi sembra il momento più adatto per discutere su quale strana malattia mentale abbia il bastardo che ci ha messo qui dentro! »

«Suppongo che tu abbia ragione» Sherlock fece per tornare al fianco di John, quando incespicò in un misterioso oggetto appoggiato a terra. Egli infilò allora la torcia sottobraccio e piegò le lunghe gambe, sollevando da terra una pesante busta in cartoncino spesso.

«Ma che diavolo è?» chiese il medico aggrottando le sopracciglia.

Sherlock prese posto accanto a John. Il tiepido contatto con la spalla dell'amico, innescò un piacevole contrasto con il freddo muro al quale poggiava la schiena, allentando per qualche istante la tensione muscolare del consulente investigativo. Per quel brave lasso di tempo la sua infallibile mente si ingannò, pensando di trovarsi altrove, tra le polverose e accoglienti pareti del 221B di Baker Street.

«Scopriamolo» sentenziò. Con le lunghe dita estrasse un tablet nuovo di zecca sul quale era appiccicato un post-it giallo, sul quale vi erano scritti i numeri "7-4-3-7". Sotto lo sguardo vigile del suo coinquilino, pigio il tasto di accensione e, insieme attesero.

Inserire codice di sblocco.

***7

Codice di sblocco corretto, benvenuto.

Sulla schermata iniziale vi era solo un file: un video.

Sherlock scambiò una breve occhiata con il suo migliore amico, il quale annui debolmente a mo' di incoraggiamento. Ancora faticava a capire perché, nonostante la sua mente capisse tutto nel giro di pochi attimi, egli ricercasse sempre approvazione di John. Gli dava sicurezza, come se un suo cenno del capo o una pacca sulla spalla potessero renderlo invincibile.

Senza ulteriori indugi, fecero partire il video. Sullo schermo vi era i profilo nero di un comune manichino, uno di quelli che si vedono nelle vetrine di quel genere di negozi che Sherlock evitava come la peste. Per qualche secondo vi fu solo un ronzio elettronico, poi una voce metallica, palesemente distorta, fuoriuscì dalle casse del tablet disperdendosi nello spazio circostante sottoforma di piccole vibrazioni.

"Sherlock Holmes, mio caro Sherlock.

Perdonami la confidenza, ma ormai ti ho studiato così tanto e so così tante cose su di che è come se ti conoscessi da una vita. Ma non divaghiamo, veniamo al dunque.

Sei in gabbia, Sherlock Holmes. Strano, vero? Essere quello che viene catturato.


Lo so, lo so penserai che io sia uno di quelli che ce l'ha a morte con te perché sbatti in gattabuia quelli cattivi come me, ma non è così Sherlock, io ti ammiro. E proprio perché ti ammiro, voglio darti la possibilità di farti venire a prendere da quell'incapace di Lestrade e da quel presuntuoso, pallone gonfiato di tuo fratello. Le regole sono semplici: se risolvi l'indovinello, capirai dove ti trovi e a quel punto io non impedirò a nessuno di venirti a recuperare.

L'indovinello è questo:


Ci sono due fratelli: uno mangia tanto quanto gli viene dato, ma non è mai sazio. Il secondo va via e non torna mai, e non sarebbe mai potuto esistere se non ci fosse stato l'altro. Il primo dei due distrusse la casa di Prospero e Miranda, di Otello e di Giulio Cesare. Ma è dove nacque il padre di questi personaggi che a noi interessa, un posto dove da sempre vive l'acerrimo nemico del fratello distruttore.


Spero sia degno di stuzzicare la tua brillante mente, ma ora ti devo lasciare. Se i miei calcoli sono esatti, non dovrebbero restarti più di 10 ore di aria, quindi sarà il caso che io ti lasci riflettere.


The game is on, Sherlock Holmes."

Locked In || Johnlock Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora