Capitolo 4

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Osservai Bianca entrare in casa e rimasi nascosto anche quando la porta si chiuse dietro di lei. Lo sapevo: in qualche modo era riuscita ad avere i miei poteri. La scena con Chad poco prima me ne aveva dato la conferma; avrei aspettato il momento giusto per parlarle, non volevo spaventarla. Non perché provassi un qualche tipo di sentimento verso di lei, semplicemente non volevo rendere le cose più difficili di quanto già non fossero. Mi sarei presentato, lei mi avrebbe ascoltato e avremmo risolto la situazione, poi me ne sarei andato senza guardarmi indietro.






Posai le chiavi sul tavolino dell'ingresso e diedi un'occhiata davanti a me: le luci erano spente e c'era un silenzio di tomba. Non che questo mi stupisse, ma allora quegli elementi contribuirono a farmi sentire tesa. Cercai l'interruttore alla cieca e lo premetti. Subito la lampadina del salotto si accese e la stanza fu invasa da un boato.

-SORPRESA!

Ridussi gli occhi a due fessure mentre cercavo di mettere a fuoco la situazione: il salotto era letteralmente pieno di gente. Vidi alcune mie compagne di classe: Jenna, Diane, Maria e Wiktoria. C'erano anche mio fratello Phil e mia madre. Appeso al soffitto c'era uno striscione con una scritta fatta con la bomboletta che diceva: "Auguri Bianca!"
-E questo cosa dovrebbe essere?- chiesi.
Mia madre sembrava un po' spiazzata, ma continuò a sorridere.
-Ma come, te ne sei dimenticata? Oggi fai ventun'anni!
Mi si illuminò lo sguardo. -È vero, oggi è il mio compleanno!
Phil sorrise e si avvicinò a me. -Guarda la mia sorellona che fa la modesta- mi disse scherzosamente scompigliandomi i capelli, un gesto che odio sin da quando siamo piccoli. Decisi di lasciar perdere e di non ucciderlo, quella volta.
-Dov'è papà?- chiesi.
-Sta parcheggiando. A proposito- mia madre mise un braccio intorno alle spalle di Dani, che era comparsa in quel momento, probabilmente passando dalla porta sul retro -Dovresti ringraziare la tua amica. È stata lei a chiamarci qui.
Ci guardammo per qualche istante. -Ricordami di farmi ridare la copia della chiave.
Lei sorrise. -Scordatelo, cosetta. La tua casa è anche la mia anche se vivi da sola, quant'è vero che mi chiamo Danielle Jones!
Scoppiammo a ridere.
-Quindi immagino che l'uscita di prima servisse a tenermi occupata.
-Hai indovinato, anche se non mi dispiace fare un giro per i negozi. A proposito- mi guardò, improvvisamente seria -Mentre tornavo qui, ti ho vista con un tizio piuttosto sospetto. Sei sicura di stare bene? Non ti ha fatto del male?
Sorrisi. -Sta' tranquilla. Mi è bastato...guardarlo. So che sembra strano, ma sembrava terrorizzato.
-Beh, sarà stato impressionato dal tuo sguardo di ferro!- mi disse strizzandomi l'occhio.
Altre risate. -Comunque, come hai fatto ad entrare? Mi sembrava di averti visto andare via dalla parte opposta.
Dani inclinò la testa di lato, con un'espressione sbarazzina. -Beh, diciamo solo che conosco molti trucchi.
Sentii il campanello suonare dietro di me.
-Vado io.
Aprii la porta e mi ritrovai davanti la persona che stavo aspettando con ansia.
-Papà!- esclamai gettandomi tra le sue braccia. Lui mi accarezzò la schiena.
-Vacker, bellissima, come va?
Sorrisi. Lui è una delle poche persone che non cambiano mai. Ha ancora la stessa aria un po' dimessa con la quale l'ho visto per la prima volta, e il suo solito profumo di menta mi riempiva le narici. Mia madre si era trasferita con i nonni in Inghilterra quando aveva sei anni, poi, quattordici anni dopo, era tornata in Svezia per fare visita a degli amici. E lì conobbe papà.
Lo guardai negli occhi. -Benissimo. Non puoi immaginare quanto sia stressante avere ventun'anni.
Lui rise, vedendo la mia espressione da finta snob. -Sono contento che ti trovi bene.
-Non potrebbe andare meglio- mi alzai sulle punte dei piedi e gli diedi un bacio sulla guancia. Lui arrossì. Mia madre batté le mani.
-Bene, ora che siamo tutti si può davvero dare inizio alla festa. Vuoi aprire adesso i regali o lasciarli per ultimi?
La guardai sorridendo. Mi fa quella domanda ad ogni compleanno, anche se conosce già la risposta. -Tu che ne dici?
Lei ricambiò il sorriso. -Va bene, vado a prenderli.
-Grazie!- risposi con tono infantile.
Mi sedetti al tavolo del salotto e scartai i regali uno alla volta: ricevetti un cappello da Wiktoria (che misi subito, suscitando un coro di "Oooh"), uno dei vestiti che avevo provato al negozio da Dani ("Credevi che te lo avessi infilato addosso per niente?", io le diedi una piccola spinta come ringraziamento facendo ridere tutti), un cd dei Green Day da Jenna (che misi subito nello stereo, animando la serata), il dvd "Il castello errante di Howl" da Maria e Diane (erano mesi che dicevo di volerlo vedere) e un blocco da disegno da mio padre. Me lo consegnò con gli occhi che gli luccicavano.
-Tieni, così avrai qualcosa con cui cominciare.
Io lo abbracciai commossa. Dopo lunghe discussioni con mia madre che voleva che facessi un istituto professionale ("Così almeno sarai preparata a lavorare!") e dopo aver chiesto aiuto infinite volte a mio padre, che era dell'opinione che dovessi seguire i miei sogni (grazie papi), verso la fine dell'estate lei acconsentì a farmi iscrivere alla facoltà di disegno artistico. Il disegno è la mia vita: se anche non riuscissi a trasformarlo nella mia principale fonte di sussistenza, vorrei poter fare quello per il resto della mia vita. Da quando ho varcato la soglia dell'università ho adorato ogni lezione, ho stretto amicizia praticamente con tutti e i professori mi adorano. Almeno quando arriverà il momento dei colloqui mia madre avrà la conferma di aver fatto la cosa giusta.
-Anch'io ho un regalo per te- mi disse verso la fine della serata.
-Ah, sì? E cos'è?
-Sorpresa! Una bella cheesecake con i mirtilli, la tua preferita!
-C'è anche la panna?- dissi con l'acquolina in bocca, nonostante le tonnellate di pizza che avevo già mangiato.
-Ma certo!- trillò lei.
-Sei la migliore mamma del mondo!- esclamai abbracciandola.
-Beh, se avessi risposto semplicemente "la mia presenza" sarebbe stato un po' narcisista, non ti pare?
Scoppiammo a ridere insieme. Passammo l'ultima mezz'ora a ballare, scherzare e cantare. Phil sembrava leggermente imbarazzato alla presenza di tutte quelle ragazze, gli feci un video mentre cercava di attaccare bottone con Maria; scommetto che se lo scoprisse mi spezzerebbe le gambe. Non dimenticherò mai la scena in cui Dani stava facendo il karaoke di Stray Heart (è salita sul tavolinetto del caffé urlando "But I just can have youuuuu", è un miracolo che abbia retto il suo peso), poi fu il momento di congedare tutti. I miei furono gli ultimi ad andarsene.
-Piaciuta la festa?- chiese la mamma sulla porta.
-Fantastica. Grazie per essere venuti.
-Siamo contenti che ti sia divertita- disse mio padre mentre si metteva la giacca.
-E ricordati che per qualsiasi cosa, noi ci siamo- continuò lei sorridendo.
-Dai mamma, non sono più una bambina!
Ci lasciammo andare ad un abbraccio di gruppo, poi uscirono.
-Ciao, tesoro, ricordati di chiamare ogni tanto- si raccomandò di nuovo.
-Sì, d'accordo.
-Ci vediamo, piccola.
-Adjö, far.
Dopo averli salutati, andai al bagno e mi tolsi le lenti a contatto. Riuscii a trovare gli occhiali, una semplice montatura nera e tonda, e mi lasciai sprofondare sul divano. Guardai un episodio di Sherlock fino alla fine (sono fissata con quella serie, adoro quando John e Sherlock discutono per motivi assurdi) e salii di sopra quando sentii gli occhi farsi pesanti. Mi feci una doccia veloce, mi misi il pigiama e mi ficcai a letto. Mi addormentai con il sorriso sulle labbra, felice per la piega che aveva preso quella giornata, dimenticando l'episodio con quel tizio e la sgradevole sensazione di essere osservata.

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