Capitolo 6

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Ci mancava solo questa. Fortunatamente riuscii ad afferrare Bianca prima che volasse per terra come una pera cotta. Tutti nel locale mi guardavano: sembravano chiedermi se c'entrassi qualcosa con tutto ciò, se l'avessi portata fuori con una scusa per distrarla giusto il tempo che serviva per consentire ad un complice di scatenare quel putiferio. Riuscivo ancora a sentire i loro pensieri e a controllare le menti, come avevo fatto con la segretaria, ma nient'altro. La mia occupazione principale al distretto di polizia è verificare gli alibi, viaggiando indietro nel tempo coi ricordi, con occasionali azioni di telecinesi. Quando Bianca aveva incontrato Chad davanti a casa sua aveva letto nella sua mente, anche se probabilmente non se ne sarà neanche accorta: ho visto i suoi occhi accendersi proprio come facevano i miei. Questa cosa non può andare avanti. Non più.

-La riporto a casa- dissi alla fine, cercando di tranquillizzare la folla.

Suo fratello mi si avvicinò.

-Vengo con te.

Lo guardai: aveva lo stesso sguardo determinato che avevo avuto io quando divenni un poliziotto; volevo aiutare le persone in difficoltà, ma soprattutto indagare su quell'organizzazione che aveva rapito i miei genitori.

-Certo, vieni pure- gli dissi. Uscimmo dal locale con molte paia di occhi che ci fissavano. Phil si voltò verso il bancone.

-Ehi, Charleston! Coprimi le spalle, che torno subito.

Un suo collega, William Charleston, gli fece il segno di "ok" con le dita. Tenemmo stretto il corpo di Bianca e lo portammo via.




Mi svegliai nel mio letto, con un lungo giaccone blu steso sopra di me. Lo scostai delicatamente e mi accorsi di un certo peso in una delle tasche. Tirai fuori l'oggetto metallico e lo guardai attentamente, non credendo ai miei occhi. Oh, grandioso. Mi alzai, andai verso il soggiorno e lo vidi: il ragazzo continuava a perseguitarmi, ora era di fronte a una delle portefinestre (che era aperta) e si stava tranquillamente fumando una sigaretta. Aveva lasciato il suo giaccone a me come una coperta e intanto lui se ne stava tranquillo a farsi gli affari suoi, come se la casa fosse sua. Che gentile. Non mi aspettavo certo che stesse lì a vegliare su di me e mi svegliasse con un: "Ehi buongiorno, vuoi che ti prepari un caffé? Magari ci vuoi lo zucchero, dato che sei svenuta", ma comunque un po' più di galanteria da parte sua. Mi avvicinai.

-Non ti arrendi proprio mai, eh?

Lui si voltò, mi squadrò per qualche secondo e poi disse secco:-Ti sei svegliata.

-Noo, ma non mi dire!- risposi -Già che ci sei, perché non mi dici anche cosa ci fai qui, così puoi andartene a casa a cuor leggero e con un bel sorriso? O forse vorresti le mie chiavi di casa, così da poter tornare quando vuoi?

Lui continuò a fissarmi, poi gettò il mozzicone di sigaretta in mezzo al prato. Il mio prato.

-Spero che tu abbia intenzione di raccoglierla- puntualizzai.

-Forse dopo- disse lui beffardo -Come faccio ad essere sicuro che mi ascolterai senza ridermi in faccia?

-Non preoccuparti, te la do io una garanzia.

Per tutto quel tempo avevo tenuto le mani dietro la schiena, e per un buon motivo. Mi avvicinai con cautela, poi feci scattare il braccio e gli afferrai il polso.

-Ma che diavolo...

Con l'altra mano gli chiusi la sua sinistra con un cerchio delle sue manette. Lui guardò me, poi la mano, poi di nuovo me.

-Che diavolo hai fatto?

-Non dovresti lasciare i tuoi effetti in giro, sai?

Il ragazzo misterioso imprecò.

-E' vero, erano nella tasca!- disse poi.

-Ora mi devi una spiegazione. A meno che tu non voglia stare così per sempre. Paura?- sottolineai l'ultima parola con un sorrisetto.

-Quella non dovresti essere tu? E poi lo sai dove siano le chiavi, almeno?

Continuava a guardarsi il polso e a scuoterlo, come se sperasse di vederlo uscire per magia. Io feci spallucce.

-Forse; lo saprai solo quando avrai finito, comunque.

Lui sorrise a sua volta, guardandomi come se per lui fossi solo una nuova sfida.

-Okay, mi sembra giusto. Ma ti avverto: se non trovi le chiavi, dovrò staccarmi il polso a morsi. E non sarà un bello spettacolo.

-Tranquillo- dissi, pensando al finale della seconda stagione di Sherlock -Ho sopportato cose molto, molto peggiori.

Restammo così per un po', gli occhi fissi uno sull'altra, le mani con le manette alzate come per chiudere una promessa.


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