Capitolo 11

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Non potevo perdere tempo. Avevo cercato di nuovo quella fabbrica su Internet e mi ero ripetuto a mente l'indirizzo fino ad impararlo a memoria. Ero in sella alla mia moto, una Guzzi Nevada 750 nera, e sfrecciavo a tutta velocità per le strade; la segnaletica risaliva a trent'anni prima e nessuno ci faceva più caso, anche perché quelle poche case intorno alla mia erano state abbandonate dopo ciò che era successo ai miei genitori. La casa in cui vivevo era proprio quella in cui era avvenuta la tragedia: ci ero cresciuto e non me la sentivo di abbandonarla. Arrivai finalmente davanti al vecchio edificio, smontai dalla moto e mi avvicinai: sembrava proprio abbandonato, se non fosse stato per una videocamera e una targa con su scritto "S.C.A.G." all'ingresso aggiunte da poco. Non appena entrai nel campo visivo dell'obiettivo suonò un allarme e sul display comparve la scritta 'INTRUSIONE SOSPETTA'. La feci a pezzi con un pugno, stanco di tutti quei giochetti. In quel momento qualcosa nell'edificio cambiò: la fabbrica abbandonata lasciò il posto a un grattacielo di circa venti piani, molto moderno. Un sistema di occultamento esterno, ecco cosa mi aveva scoraggiato in tutti quegli anni ad entrare. Mi era sembrato impossibile che i miei genitori potessero essere rinchiusi lì e, soprattutto, che fossero ancora vivi.

Un sistema piuttosto fragile, se basta una manciata di bacche a farlo crollare, ricordavo di aver letto in un libro, ma in quel momento non potei concentrarmi su quale fosse. Avevo cose più importanti da fare. Oltrepassai il cancello. "A noi due" pensai.







Mentre seguivo Marine nel corridoio, capii all'incirca come fosse strutturato l'edificio: c'erano quindici piani più due sotterranei; in ognuno dei piani superiori c'erano due celle (con spazio fino a due soggetti), un ufficio di sorveglianza e i dormitori delle guardie. Dov'erano le guardie? Ah, già: quelle giacevano a terra grazie all'azione combinata dei mie poteri e quelli di Marine; svenuti, ricoperti di una sostanza verde e appiccicosa e alcuni persino trasformati in soprammobili. La guardia di nome Wilson aveva mantenuto la promessa, era pure uscito dall'edificio usando una scala di sicurezza di cui solo le guardie sapevano la posizione. Era davvero un tipo simpatico. Scoprii di essere anche molto potente, tralaltro.

-Hai un talento naturale!- mi disse quando finimmo.

Ora ci dirigevamo verso l'altra cella presente in quel piano. Dopo qualche minuto di silenzio, la ragazza si voltò verso di me.

-Senti...tu che musica ascolti?- mi chiese.

Rimasi un po' basita all'inizio, ma poi mi decisi a rispondere.

-Uhm...adoro i Green Day.

Lei sorrise. -Forti, vero?

-Già- dissi animata -E' in loro onore che mi sono tagliata i capelli così, hanno fatto un concerto la settimana scorsa- non avevo idea del perché stessi chiacchierando amabilmente con una sconosciuta, anche se si trattava della sorella della mia migliore amica, ma era un buon modo per distrarmi da quella situazione assurda -La mia canzone preferita è Boulevard of Broken Dreams.

-Sì, anche a me piace molto. Aspetta, ho un'idea.

Si mise le dita sulle tempie, quel gesto mi ricordò molto Noir.

"Dove sei?" pensai disperata.

In quel momento, però, accadde qualcosa che mi tranquillizzò: nelle nostre menti, come se stessimo indossando delle cuffie invisibili, iniziarono a risuonare le note di Boulevard of Broken Dreams. Mi voltai verso di lei sorridendo con gratitudine, lei fece spallucce.

-Che c'è? Bisogna sempre dare ascolto alla musica che hai dentro per avere la forza di affrontare la vita.

Risi. -Direi proprio di sì.

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