Capitolo 11

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- Porca puttana – mormoro stropicciandomi gli occhi e soffocando uno sbadiglio.
Mi guardo attorno individuando subito la figura del biondo ancora addormentata, è girato sul fianco con il volto rivolto verso il mio ma- non so se fortunatamente o meno- ad una certa distanza, le labbra piene socchiuse e il petto che si muove piano – sei talmente carino che ti farei una foto – sussurro picchiettando l'indice sulla sua guancia, non dà segni di vita purtroppo quindi suppongo che me starò da sola a rimuginare su quanto la mia vita sia precipitata in un buco nero senza fondo negli ultimi tempi.
Non riesco a credere che mia madre mi abbia voltato le spalle così, senza nemmeno pensarci due volte, capisco che perdere in un attimo tutto ciò che hai costruito in vent'anni di matrimonio debba essere devastante, ma anche sentirsi obbligati a mantenere un segreto come quello di mio padre per più di un anno e mezzo non è stata proprio una passeggiata al parco.
Mi sento così sola, come se nulla di ciò che mi è rimasto bastasse a colmare ciò che la mia famiglia si è portata via, ho uno strano presentimento, forse sono più i sensi di colpa a farmi parlare, ma magari, e solo magari, dovrei cercare di rimettere insieme i pezzi, tornarmene a casa e salvare il salvabile intendo.
Immersa nei miei pensieri non mi accorgo di Justin che svegliatosi bruscamente mi affianca poggiando la schiena alla testiera del letto – ehi – biascica con la voce ancora impastata dal sonno e i capelli spettinati – come ti senti? –
- Non lo so – rispondo facendo spallucce – ci sono momenti, e credimi sono molti, in cui ho la sensazione che qualcuno mi abbia presa a pugni nello stomaco e altri in cui mi sento liberata da un peso enorme oppure in colpa –
- Non hai nulla per cui sentirti in colpa – dichiara passandosi le mani tra i capelli – hai fatto la cosa giusta –
- Non ne sono poi così certa – mormoro abbassando lo sguardo.
- Avresti preferito continuare a mentire a tua madre in modo che tuo padre potesse giocare alla famigliola felice con la sua amante? –
- Beh no –
- allora non hai niente per cui preoccuparti – sospira – che ore sono? –
- E' l'una del mattino, abbiamo persino saltato la cena –
- Hai fame? – chiede apprensivo – potrei chiamare il servizio in camera e farci portare qualcosa –
- A quest'ora della notte? No, grazie – rispondo portandomi il viso tra le mani, per quanto possa provare non riesco a non pensare all'enorme casino che ho combinato.
- Cos'hai? – chiede il biondo passandomi una mano sulle spalle, poso la testa sul petto trattenendo il respiro per cercare di bloccare il flusso di parole che scorrono nella mia testa, ma è tutto un tentativo vano – vuoi parlare con Harry? – sussurra passando le dite tra i miei capelli disordinati.
- Mi prendi per il culo? – esclamo alzandomi di scatto.
- No, perché? –
- Justin pensavo che il luogo comune dell'essere bionde e stupide valesse solo per le ragazze ma con te devo iniziare a ricredermi. Harry non sa niente di tutta questa storia e tu mi stai chiedendo se ho voglia di parlare con lui? Sei serio? No, grazie –esclamo incastrando le mani tra i capelli.
- Beh, non dovresti necessariamente parlargli dei tuoi no? Magari potresti iniziare raccontandogli degli attacchi di panico che ti fanno piangere ogni volta dopo un'esibizione oppure di quello che hai avuto ieri sera, credo che sarebbe un argomento interessante –
- Non ho nessun attacco di panico dopo i miei concerti – dichiaro cercando di nascondermi tra le coperte – sono solo un paio di lacrime, niente di cui tu debba preoccuparti –
- E chi dovrebbe preoccuparsene? Il tuo fottuto ragazzo che non è nemmeno a conoscenza di cosa stia succedendo in quella diavolo di testa che ti ritrovi, oppure tua madre che probabilmente in questo momento starà cercando il modo più doloroso di staccare le palle a tuo padre e fargliele ingoiare per tutto quello che vi ha fatto? Mess, non sono un medico, ma non sono nemmeno un idiota; ti ho vista, più di una volta, inizi a tremare, non riesci a reggerti in piedi e hai il respiro pesante, hai bisogno di sentire di non essere sola e di qualcuno che ti tenga la mano, devi sapere di essere al sicuro, non poter combinare nulla di pericoloso e che nessuno faccia nulla di pericoloso a te, non saprei in che altro modo chiamarlo – ringhia alzando la voce.
- Ma chi diavolo sei tu? – grido con il rischio che qualcuno dei nostri vicini di pianerottolo chiami la sicurezza e che ci denuncino per schiamazzi notturni, sarebbe un altro bel casino da aggiungere alla mia black-list che, credetemi, è davvero lunga – perché quale stupido, malato motivo fai tutto questo? Non ho bisogno di un supereroe che venga a salvarmi da ogni cazzata che combino o da ogni mio singolo fottutissimo problema –

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