Capitolo 13

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- Ripetiamo ancora una volta il piano, così per sicurezza –
Ebbene sì, sono nella macchina di Justin infossata nel sedile scuro e  con il panico alle stelle, sento il cuore come se stesse per esplodermi e  non riesco a capacitarmi di ciò che sto per fare anche se credo che la  vicinanza del biondo faccia la sua parte, dal canto suo quest'ultimo mi  guarda e scuote la testa spettinandosi il ciuffo per l'ennesima volta –  Mess è l'abbiamo ripetuto due secondi fa, 'sta tranquilla! Nessuno ti  costringe a farlo. –
- Oh taci – sbuffo portando le ginocchia al petto e guadagnandomi  un'occhiataccia dal biondo – la mia macchina – ringhia osservando le mie  scarpe come se volesse bruciarle seduta stante – scusami – mormoro –  quindi, dov'eravamo rimasti? Ah giusto! Cosa dovrai fare una volta che  sarò scesa da questa trappola? –
- Tornarmene in albergo e far finta di non averti vista per tutta la mattinata – ripete meccanicamente sbuffando.
- E se dovessi incontrare Morg...-
- E se dovessi incontrare Morgan- mi interrompe- direi che abbiamo  litigato, non ti vedo da ieri sera e non ho idea di dove tu ti sia  cacciata, mi sembra tutto no? –
- Sì- sospiro – sì, è tutto –
Scendo dalla macchina apprestandomi a recuperare la mia valigia dal  portabagagli, infilo gli occhiali da sole e mi appresto a raggiungere  l'entrata dell'aeroporto, seguita da Justin che mi guarda le spalle  controllando che nessuno possa riconoscerci, sarebbe l'ultima cosa che  mi serve, non ho bisogno di altri casini in questo momento.
- Hai controllato bene che nessuno ci abbia visti? –
- Sì, sicuro – dichiara appoggiando la mano sulla mia spalla – andiamo  sennò perderai il volo – abbassa il capo dondolandosi sui talloni con  fare nervoso mentre io mi limito ad annuire.
L'atmosfera inizia a farsi cupa sin dal check-in sprofondando poi in un  baratro profondissimo con l'avvicinarsi del gate e dell'annuncio del mio  volo, Justin si limita a camminarmi accanto fissando talvolta il  pavimento o guardando impassibile dritto davanti a se, sembra quasi come  se non ci fosse mentre io vorrei- avrei bisogno- che mi stringesse la  mano magari o che mi dicesse che andrà tutto bene, che una volta tanto  ce la farò a sistemare qualcosa da sola senza bisogno dell'aiuto di  nessuno ed io gli risponderei che quando mi aveva detto che mi  comportavo da bambina e che non riuscivo ad accettare che le cose brutte  possano accadere a chiunque aveva ragione ed ora è arrivato il momento  di crescere; improvvisamente mi blocco lungo il corridoio individuando  la porta aperta di uno stanzino, esitante trascino il biondo oltre la  porta cercando di mettere da parte per un attimo la mia claustrofobia  per quanto sia possibile, inspiro profondamente prima di fissare i miei  occhi nei suoi – vuoi dirmi cosa ti prende? – sbotto
- Cosa dovrebbe prendermi? – chiede passandosi le mani tra i capelli.
- Justin non prendermi in giro, non hai detto una parola da quando siamo  usciti dalla macchina, faccio fatica a credere che sia solo perché non  sai cosa dire, tu un modo per tenere in movimento quel becco parlante lo  trovi sempre! –
- Che dovrei dire? Sbrighiamoci ad uscire da qui, se ti conosco bene tra  poco inizierà a mancarti l'aria, perderai il volo perché sarò costretto  a rianimarti nello stanzino delle scope di uno schifoso aeroporto e mi  rinfaccerai sempre che "se non fosse stato per me e per il mio  atteggiamento da ragazzina mestruata saresti riuscita a partire" –
- Oh magari – bisbiglio avvicinandomi, incastrando poi le dita della mia  mano con le sue mentre traccio con l'altra la sua mascella liscia,  senza nessun accenno di barba – potresti dirmi la verità, che te ne  pare? –
Sbuffa ancora abbassando lo sguardo – non ho niente da dire – dichiara voltandosi per aprire la porta.
- Ah no cazzo, non te la caverai così! – esclamo afferrandolo per il  polso – vuoi smetterla di fare lo stronzo una buona volta? Sto per  andarmene e non so nemmeno quando ci rivedremo! Non è così che me lo ero  immaginata e se davvero non hai niente da dire puoi anche lasciarmi  qui, comunque sia non è che in questo stato tu mi sia molto d'aiuto –
- L'hai detto tu ieri sera, una sana scopata e via, non siamo anime gemelle. Non capisco cosa vorresti che facessi –
- No Justin, questa proprio non me la bevo, lo so okay? Lo so che sono  stata un'idiota ma se stai cercando di punirmi per quello che ho detto  ieri sera questo non è il momento giusto, sto per andarmene! –
Abbassa ancora lo sguardo sulle piastrelle bianco sporco dello stanzino  respirando pesantemente e per un attimo ho l'impressione che stia  piangendo finché non porta ancora i suoi occhi sui miei – io sono un  egoista Mess, davvero irrimediabile. Non voglio che tu parta, cazzo,  stai per tornartene a casa e non sai nemmeno se e quando tornerai, non  sei a conoscenza di cosa diranno tutti quegli aguzzini del management  quando lo scopriranno, perché è inevitabile, e ti aspetti che vada in  giro come un fottuto hippie tutto gioia pace e amore? –
- Non pretendo questo, lo sai, ma non accetto nemmeno di lasciarti qui  per non so nemmeno quanto tempo e sapere che non ci siamo detti tutto  quello che c'era da dire –
- Quindi o parlo ora o taccio per sempre, no? –
Scuoto la testa – usciamo da qui –
Annuisce muovendosi per aprire la porta ma indugia sulla maniglia  voltandosi nella mia direzione come se avesse dimenticato qualcosa,  improvvisamente spinge il suo corpo contro il mio intrappolandomi alla  parete opposta – non andartene – soffia premendo la sua bocca sulle mie  labbra con ferocia, non l'avevo visto comportarsi così nemmeno la notte  scorsa, quando i baci che ci scambiammo erano urgenti e necessari, mi  bacia vorace, le sue labbra si intrecciano con le mie ed è come un  circolo, non finisce mai, vorrei non finisse mai ma si allontana  all'improvviso, la sua fronte ancora appoggiata sulla mia – l'ho capito  fin dall'inizio sai? – dice sorridendo debolmente.
- Cosa? Che nascondevo la doppia vita di mio padre, che avremmo finito  per fare sesso nella mia camera d'albergo in Spagna e poi me ne sarei  tornata a casa mia abbandonando il tour nel bel mezzo di una tappa  rischiando che mezzo mondo mi tagliasse in fettine sottili? –
- No idiota – ridacchia – dal giorno in cui ti ho incontrata ho capito  che in modo o nell'altro avremmo finito per combinare qualcosa del  genere –
- Sono contenta di non aver deluso le tue aspettative – esclamo  accarezzandogli la guancia per poi prenderlo per mano ed uscire dallo  stanzino che inizia a farsi incredibilmente stretto.
Camminiamo in silenzio fino al gate senza prenderci nemmeno la briga di  controllare che nessuno abbia la possibilità di riconoscerci e una volta  a destinazione mi ritrovo schiacciata contro il suo petto senza nemmeno  accorgermene – mi mancherai – sussurra tra i miei capelli lisciandoli  piano.
- Anche tu – mormoro stringendo la presa attorno ai suoi fianchi,  circondandoli con le mie braccia magre – ci sentiremo? Su Skype? –
- Sì – annuisce non molto convinto – chiamami appena arrivi a casa –  raccomanda apprensivo – e se dovessi cambiare idea non esitare a tornare  indietro –
Sorrido guardandomi attorno assicurandomi che nessuno ci stia guardando  prima di prenderlo per la maglia premendo ancora una volta le mie labbra  sulle sue.
- Beh, allora ciao – mormoro allontanandomi, sento le lacrime pizzicarmi  gli occhi con veemenza guardandolo abbassare il capo prima di mormorare  uno "ciao" sottile e vuoto mentre mi accarezza la mano.
"O adesso o mai più" penso camminando verso il gate e poi, finalmente credo, prendendo posto sull'aereo.
E' la prima volta che volo da sola e ho sempre avuto paura di staccarmi  da terra, in un certo senso il non avere i piedi ben piazzati sul suolo  mi ha sempre dato una certa terribile sensazione di impotenza quasi come  sapere che se dovessi precipitare non potrei far niente per salvarmi,  metaforicamente e fisicamente.
Pensarci mi terrorizza, precipitare nel vuoto ed esserne consapevole,  rimanere ad aspettare che succeda l'inevitabile e vedere la tua vita che  ti scorre davanti agli occhi come un flashback universale fermandosi  nel punto esatto che stai cercando di evitare, è un po' ciò che mi sta  succedendo adesso, no? Immobile con la testa poggiata contro il sedile  sono bloccata in questo momento sapendo di non poter prevedere come  andranno le cose con mia madre e che, presumibilmente, non ci sarà nulla  da fare se deciderà di non potermi perdonare, spero davvero che non  accada. Con questi pensieri bui per la testa mi godo – si fa per dire –  le mie due ore di volo atterrando a Londra nel primo pomeriggio.
Una volta messo piede nella mia città natale vengo avvolta da un'ondata  di malinconia, come se tutti i ricordi che ho cercato di reprimere  stessero sgomitando per venire a galla in una volta sola, fa male  sapete? E' come una coltellata allo stomaco, precisa e forte.
Infilo gli occhiali da sole e cammino fino al primo bar che incontro  lungo la strada, se non posso presentarmi a casa di mia madre -beh penso  che lo sia ormai- ubriaca devo almeno bermi una dose di caffeina tale  da anestetizzare ogni sensazione.
Esco dal suddetto bar con due bicchieri di caffè nero colmi fino  all'orlo, come piacciono a me, fermo un taxi di passaggio che per poco  non corre il rischio di finirmi addosso e una volta aperto lo sportello  mi rilasso contro il sedile della vettura.
- Per dove signorina? –
- Islington, Richmond Avenue N3 – bisbiglio chiudendo gli occhi per  prepararmi ad un'altra ora senza potermi sgranchire le gambe o liberare  la mente.
L'auto parte e il tassametro inizia a girare, infilo le auricolari nelle  orecchie rilassandomi una volta per tutte, cerco di non pensare alla  faccia che farà mia madre vedendomi mettere piede in casa dopo avermi  più che esplicitamente intimato di non farlo e non vedo nulla di buono,  in realtà tutto ciò che riesco ad immaginarmi è il suo viso corrucciato e  le lacrime che scorrono sulle sue guance rosse.
Quando il taxi imbocca l'isolato del mio quartiere quasi non riesco a  riconoscerlo, la vettura si ferma davanti al cancello di casa mia ed io  scendo recuperando la mia valigia dal portabagagli; lascio i soldi della  corsa al tassista con un sorriso e aspetto che riparta prima di  spingere il cancello di ferro battuto che separa la veranda dalla  strada, come avevo immaginato è chiuso, mia madre non ha mai amato  essere sola, ha sempre avuto paura che qualcuno avrebbe potuto farle del  male, se ricordo bene le chiavi dovrebbero essere nel loro posto  segreto, sotto il vaso della pianta grassa che mia nonna le regalò per  il suo trentottesimo compleanno e infatti si trova proprio là sotto.
Giro la chiave nella serratura e rispiro profondamente prima di muovermi verso il portone.
Okay. Ci sono.
E adesso?
Adesso cosa faccio?
Busso oppure suono il campanello? Magari dovrei usare le chiavi.
Alla fine opto per il campanello e premo il pulsante in attesa che  qualcuno venga ad aprirmi e beh, qualcuno c'è davvero, ma non è di certo  chi mi sarei aspettata di incontrare.
- Sì? – fisso la donna che mi sta scrutando con l'espressione più piatta che io abbia mai visto – tu saresti? –
- Mess Walt e se non ricordo male questa dovrebbe essere casa mia,  quindi sei pregata di muovere quel tuo bel culo o magari quel pancione  flaccido post-partum che ti ritrovi e portarmi da mio padre prima che ti  leghi come un salame alla maniglia del portone con le tue stesse  extencion! – esclamo guardandola truce negli occhi.
- Oh Mess, sei tu? – domanda come se avesse rimosso almeno metà delle  dolci paroline che le ho dedicato appena qualche secondo fa.
- Dove diavolo è quello stronzo di mio padre? –
- Tesoro, io non credo che sia il momento giusto, tuo padre è di sopra  con la bambina, si è appena addormentata, chi lo sa, magari potresti  svegliarla e non vorrei essere nei tuoi panni se dovesse accadere –
La sposto brutalmente appoggiando la valigia all'ingresso mentre corro  per le scale alla ricerca della stanza di mia – Dio, mi fa strano  chiamarla così – sorella, spero vivamente che non le abbiano ceduto la  mia stanza, potrei davvero dare di matto.
Mi basta poco per trovare mio padre, solo seguire la scia del rumore di  qualche vagito sottile e difatti lo vedo, seduto sulla sedia a dondolo  della bisnonna Marie con un fagottino rosa tra le braccia.
- La piccolina di papà si è svegliata – sussurra baciandole piano la fronte.
Non mi sento gelosa o in collera, né nient'altro, sento solo che sarebbe  ingiusto avercela con questa povera creaturina, non ha scelto lei di  nascere da una relazione extraconiugale e ritrovarsi la persona più  impulsiva e testarda del mondo come sorella.
Cammino in punta di piedi posando poi la mano sulla spalla di mio padre,  penso che lo ucciderò più tardi, adesso voglio solo godermi il momento e  far in modo che la mia sorellina non mi veda per la prima volta come la  pazza furiosa della famiglia.
- Mess! – esclama mio padre mentre strabuzza gli occhi e infastidisce la  bambina che si agita tra le sue braccia piagnucolando – cazzo...tesoro  sei tornata, e il tour? E tutto il resto? – credo sia chiaro da chi ho  ereditato la mia attitudine di scaricatore di porto.
- Ci sono cose più importanti – rispondo atona – possiamo non parlarne adesso? – chiedo.
- Certo bambina, l'importante è che tu sia qui – dichiara, spostando lo sguardo sulla neonata – vuoi prenderla in braccio? –
Annuisco esitante mentre mio padre appoggia mia sorella tra le mie  braccia tremanti, mi siedo sul letto per paura di farla cadere e scosto  leggermente la coperta rosa che le copre il viso – ciao piccolina –  sussurro piano accarezzandole la manina che adesso circonda il mio  pollice – come l'avete chiamata? –
- Natalie –
- Natalie – ripeto – ciao Natalie – bisbiglio baciandole piano la fronte  mentre si stiracchia placidamente tra le mie braccia, sembrerà strano  ma mi sento meglio, meno in colpa, più in pace con me stessa, non posso  aver sbagliato tutto se da una mia bugia è nato questo miracolo, no?
Mi alzo e poso Natalie nella culla, si è addormentata di nuovo e voglio  approfittarne per parlare con mio padre, non deve concedersi il lusso di  pensare che sia tutto a posto solo perché sono riuscita ad accettare  mia sorella, era inevitabile, non posso andare contro natura, ma con lui  è diverso.
Papà mi fa strada fuori dalla sua stanza per poi aprire la porta in  legno massello del suo ufficio – siediti pure tesoro – dice indicando la  sedia difronte alla scrivania.
Prendo posto precisamente davanti a lui incrociando le dita delle mani  sulle ginocchia mentre alliscio una piega inesistente nei miei jeans,  poi tiro su lo sguardo e – dov'è finita mia madre? – chiedo con il tono  più freddo che riesca a tirar fuori.
Mio padre sospira passandosi le mani sul viso – è una storia complicata Mess – dichiara arricciando il naso.
- Abbiamo tutto il tempo del mondo –
- E' andata via –
- Cosa significa "è andata via"? –
- Quello che ho appena detto –
-  E dove? –
- E' tornata a casa di sua madre, da tua nonna, ha detto che non sarebbe  riuscita a vivere nella casa in cui ha abitato per quasi vent'anni  credendo di vivere una vita felice e scoprendo che poi era tutta una  menzogna, testuali parole, per un minuto di più, così ha preso le sue  cose e se n'è andata –
- Porca puttana – questa volta è il mio turno di sospirare, mio padre  allunga una mano sul tavolo cercando di incontrare la mia, ma glielo  impedisco – Mess, vedrai, si aggiusterà tutto – dice e sembra anche  convinto, combatto contro l'istinto, o forse la voglia, di dargli un  pugno sul naso ma per adesso mi basta sapere che si senta in colpa  almeno un minimo, un quarto di quello che provavo io prima di conoscere  Natalie.
- Sappi che è tutta colpa tua grand'uomo – esclamo – non solo sei andato  a letto svariate volte con la prima troia che ti è capitata a tiro ma  hai anche coinvolto me, tua figlia, cazzo e mi hai fatto tenere nascosta  la verità a mia madre –a queste parole sento lo stomaco contorcersi,  sembra che il bue stia dicendo cornuto all'asino, ma io non ho costretto  nessuno a coprirmi con Harry. Beh non con Harry, ma con il resto del  mondo sì.
Un applauso Mess, sta andando tutto di bene in meglio.
- Tesoro mio cerca di capire, il nostro rapporto di coppia non era  più...come dire...avevamo molti problemi ecco! Purtroppo le cose non vanno  sempre bene nelle famiglie, è inevitabile –
- Ew, papà rispiarmiti questi discorsi ti prego, i problemi si risolvono  parlandone, non facendosi una sveltina con una puttana qualunque quando  tua figlia, unica a quel tempo a meno che tu non abbia qualche altra  moglie sparsa in giro per l'Inghilterra, a questo punto non mi stupirei  di niente, era in casa e le è bastato pochissimo per cogliervi con le  mani sul fatto. Adesso se non ti dispiace andrei nella mia stanza,  sempre che sia tutto come l'ho lasciato e Barbie Fashionista non l'abbia  trasformata in una palestra domestica per ridimensionare quel culone  che si ritrova! –
Mio padre abbassa lo sguardo ed io mi affretto ad uscire prima che possa aggiungere qualcos'altro di spiacevole.
Una volta nella mia stanza mi accorgo con grande sollievo che è tutto  esattamente come l'ho lasciato, i poster alle pareti, la bacheca con le  foto del liceo e il vestito del ballo ancora appeso al pomello  dell'armadio, il letto con la coperta lilla e le lucine sopra la  testiera.
Mi siedo sul materasso recuperando il pc dal fondo della valigia e subito apro Skype.
Effettuo la chiamata e Justin risponde dopo un paio di squilli, ha il  fiatone, i capelli scompigliati e un asciugamano attorno al collo – Ehi –  saluta sedendosi sul letto.
- Ciao – rispondo sentendomi immediatamente meglio.
- Scusami se non ho risposto subito, sono appena rientrato dal  soundcheck, ho dovuto correre per non perdere la chiamata – dice  passandosi una mano tra i capelli sudati – allora? Com'è andata con tua  madre? –
- Beh, a quanto pare mia madre se n'è andata ed io ho dovuto fare i  conti con quel traditore di mio padre, è tornata da mio nonna perché non  sopportava di rivivere ogni giorno i ricordi felici che aveva con papà,  non la biasimo affatto, se potessi adesso starei già in viaggio verso  Worcester –
- Cazzo che storia – esclama – e tua sorella? –
- Oh lei è meravigliosa –
- Beh, non potrebbe essere diversamente se ti assomiglia – dichiara sorridendo.
- Vaffanculo – rispondo alzando gli occhi al cielo.
- Possibile che ogni volta che qualcuno prova a farti un complimento tu debba reagire così? –
- Forse perché odio i complimenti –
- Oh vaffanculo – dice – tu sei strana –
- Può essere – replico mettendo fine a questa stupida discussione.
Rimaniamo in silenzio per diversi istanti finché – dovresti venire qui – dico ingenuamente.
- Lo sai che non posso – sospira – Morgan sta scatenando l'inferno, per  poco non ha buttato giù la porta di camera mia quando ha capito che eri  sparita nel nulla e non rispondevi al cellulare, avresti dovuto vederlo –  ridacchia, quando dei tonfi forti richiamano la nostra attenzione verso  la porta
- adesso devo andare – sussurra – ti chiamo io –
- Va bene – rispondo chiudendo la chiamata con un nuovo groppo d'ansia  sullo stomaco, sta succedendo tutto per colpa mia, non voglio che Justin  finisca nei guai per colpa mia, fortunatamente nei prossimi giorni si  sposterà per via del tour e non dovrà più avere nulla a che fare con  quelli del mio staff.
Con questi pensieri per la testa mi dirigo verso il bagno, ho davvero bisogno di una doccia.

Justin's POV.

- Sto arrivando cazzo – esclamo aprendo la porta.
La faccia da schiaffi di Kit Evans è tutto ciò che riesco a vedere prima  che quest'ultimo mi spinga con le spalle al muro – dove diavolo è Mess?  – chiede stringendo la presa.
- E perché dovrebbe importarmene qualcosa? –
- Oh andiamo Bieber – dice con l'aria di uno che la sa più lunga di  quello che vuol far credere – pensi davvero che io sia un idiota? –  domanda retorico – potreste anche inventare una cazzata agli altri e  aspettare che ci caschino in pieno, ma con me non funziona. Mess è la  mia migliore amica, l'ho capito subito che stava succedendo qualcosa con  te amico. Non mi piaci affatto e lasciati solo dire che non starò qui  con le mani in mano a guardarla innamorarsi di te mandando a puttane  tutta la sua carriera, non ne sono sicuro ma penso che non sia ancora  troppo tardi. So che sai dove si trova quindi questo è il momento  perfetto per dirmelo –
- Non so di cosa cazzo tu stia parlando quindi se vuoi uscire con le tue  gambe da questa stanza "questo è il momento perfetto per farlo" – dico  imitandolo spudoratamente – ho un concerto tra poche ore, non ho tempo  per le tue stronzate – dichiaro spingendolo per le spalle.
- Sappi che imparerete la lezione. Entrambi. –

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