-01- Kieran O'Donnel

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  Questa storia è una What If di DEMONE ROSSO, ha il via alla fine del secondo capitolo di quella storia, se volete leggerli per avere una introduzione migliore, di certo potrete avere una visione più chiara del tutto. Buona Lettura!  

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«Cazzo, Ki, per una volta, una sola, puoi fare quello che ti chiedo e basta?»
La voce di Mathias, dall'altra parte della cornetta, era esasperata. Kieran guardò con rabbia il telefono della prigione, mordendosi la lingua. L'altro gli stava parlando in tono ancora amichevole, ma sotto sotto aveva avvertito che si stava arrabbiando sul serio, con lui.
«Va bene.» Kier fece una lunga pausa. «Questa cosa però la aggiungo alla lista delle cose per cui ti dovrai far perdonare, preferirei prendermi una pallottola che questo.»
«Detenuto, ancora un minuto poi metti giù.»
Kier guardò il secondino, dissimulando l'irritazione. «Ho finito!» gli disse, tornando poi a parlare con Mathias, aggiunse: «Vado, e ricorda che non mi piace.»
«Lo so.»
Mettendo giù la cornetta il giovane fece un cenno alla guardia, un uomo enorme e dallo sguardo cupo, tornando nella zona ricreativa per continuare l'ora d'aria fuori dalla cella. Non potevano parlare chiaramente al telefono, il discorso era stato pieno di sottintesi e mezze parole, ma non di meno per i due era stato estremamente chiaro.
"Math deve ringraziare Dio che è il mio capo, non solo un amico, o col cazzo che lo facevo!" pensò irritato, andando a sedersi in un angolo della zona TV.
Il giorno prima Uematsu lo aveva raggiunto nelle docce. Aveva sempre preferito l'acqua gelida dell'ultimo turno al doversi guardare ansiosamente le spalle ogni maledetto secondo, rimanendo sorpreso dal vedere lo yakuza venirgli incontro.
L'uomo era stato diretto; accompagnato da un paio di altri carcerati che erano le sue guardie del corpo, gli aveva detto che dal giorno dopo tutto il carcere avrebbe saputo che lui era suo. Avrebbero diviso la cella, in modo da poter procedere.
Lui era scoppiato a ridere in faccia a quell'uomo composto, ottenendo un inizio di pestaggio da parte dei due energumeni, fermati da un gesto di Uematsu che con imperturbabile calma gli aveva chiesto il motivo della sua ilarità.
Doveva ammettere di non essere stato molto diplomatico, nel rispondere. Sorrise nel ricordare quello che aveva detto: "Non sono e non mi farai passare per la tua donna. Vuoi il pacco? Trova un altro modo, o me ne vado al cimitero tenendomelo stretto, piuttosto."
Il giapponese lo aveva fissato, socchiudendo gli occhi e facendo cenno ai due di lasciarlo andare, voltandosi e lasciandolo solo. Come conseguenza del suo rifiuto di prima mattina, appena era arrivato l'orario in cui era possibile ricevere telefonate, era stato chiamato.
Mathias sapeva e gli aveva ordinato di collaborare.
"Questa me la segno, Math. Cazzo se me la segno..." pensò, di pessimo umore.
Vide avvicinarsi lo yakuza e con una sola occhiata Kier capì che sapeva benissimo quello che era avvenuto.
«È più disposto ad ascoltare il buon senso, oggi?»
«Si dice così, adesso?»
«Non tiri troppo la corda, potrei stancarmi di essere cordiale con lei, se lo ricordi.»
Kier sorrise, celando la sua irritazione come poteva. «Vediamo di chiarire un concetto, però. Potrà dire quanto volte che me lo mette nel culo, se ci prova davvero non pensi che la lascerò fare.» Lanciò un'occhiata ai due angeli custodi del giapponese poco lontano e con lo stesso tono basso continuò. «Ho sempre evitato di reagire per obbedire al signor Lazzari, ma il mio culo è affar mio. Ci siamo capiti?»
Con uno sorriso mite Uematsu posò la mano sul collo di Kier che fremette, impedendosi di scostare rudemente quelle dita. «Non mi interessa scoparti, ma è la copertura perfetta. Quindi sorridi, fai il frocetto e fingi di essere tanto felice di poter succhiare il mio cazzo. Se sei un attore abbastanza bravo e convincente non dovremo dimostrare a nessuno che in cella passo il tempo a incularti, dipende da te. Ricordalo.»
«Finché non si aspetta che lo faccia davvero, sarò un attore da premio Oscar.»


**********

Le celle al Clinton avrebbero dovuto essere tutte singole, poco più grandi di una specie di loculo, invece quella di Uematsu era l'equivalente della suite di un Hilton, per il luogo. Kier si mise sul fianco, sfogliando le pagine di un libro con poca attenzione. Un po' perché l'aveva già letto, un po' perché lo metteva a disagio la presenza dell'altro.
Il giapponese meditava sul pavimento, a gambe incrociate stava così anche due ore al giorno, immobile, e lui si chiedeva come diavolo facesse ad avere un simile controllo. Non muoveva neanche le palpebre, ne era certo. Anche se c'era un rumore violento non sobbalzava, quindi non dormiva, come aveva stupidamente pensato. Beh, dormire magari no, ma una specie di mezzo sonno. Invece era attento a ogni cosa, solo... fermo. Fottutamente fermo.
Riportò gli occhi sulle parole stampate, era in quella cella con l'altro da tre giorni e gli stava venendo sempre di più la voglia di chiamare il suo capo e di urlargli di tirarlo fuori da quel buco. Il giapponese non lo guardava neanche, non poteva certo dire che ci provasse, quello che lo stava irritando era il resto. Era visto come la donna dello yakuza e trattato di conseguenza. Il giorno prima aveva appeso uno, un ispanico con la faccia butterata, ed era stato bloccato da un secondino che gli aveva sussurrato all'orecchio ridendo di stare calmo, perché il suo paparino non avrebbe potuto scoparlo in isolamento.
Solo la consapevolezza che reagire in qualunque modo voleva dire finirci davvero lo aveva fermato. Se ci finiva il tempo di soggiorno tra quelle mura si sarebbe allungato decisamente di più, almeno di un paio di mesi, e lui quello lo voleva evitare a ogni costo.
Cercò di concentrarsi sulla lettura, riuscendo infine a distrarsi, almeno fino a quando il giapponese non si alzò, andando a sedersi sul suo letto.
«Stanotte ti tolgo la capsula e scarico i dati.»
Kier alzò un sopracciglio. «Che dati?»
«Nell'innesto ti sono stati inseriti dei dati. Era la seconda parte della consegna.»
Kier chiuse il libro con un gesto stizzito, ora sapeva come mai era stato addormentato. Lanciò uno sguardo duro all'altro e annuì. «Stanotte allora.»
«A cena mi consegneranno ciò che serve, spero tu sappia sopportare un po' di dolore.»
Uematsu sorrise, un ghigno freddo e divertito e Kier sbuffò. «Per andarmene da qua sopporterei un sacco di cose, questo albergo fa schifo.»
Suonò la sirena della cena e le porte delle celle si sbloccarono. Kier saltò giù dalla brandina e si infilò le scarpe, seguendo poi Uematsu fino al refettorio.
Evitò lo sguardo di chiunque, prendendo il suo vassoio e sedendosi accanto all'altro, osservando le posate di plastica e quello che lì spacciavano per cibo con aria depressa. Voleva una bistecca, delle patate vere, voleva andare all'italiano. Voleva fumarsi una cazzo di sigaretta in pace nel suo appartamento e non vedere nessuno per un fottuto mese, almeno. Guardare film di serie zeta, fare un giro in un paio di locali per scoparsi qualche ragazza, farsi la doccia senza l'ansia.
Gli mancava la libertà, ed era lì da meno di tre settimane.
Mathias gli aveva affidato quella consegna dentro quel cazzo di carcere di massima sicurezza, ma non gli aveva detto che nel suo impianto avevano inserito dei dati. Si era fidato ciecamente come sempre, dell'altro e non avrebbe di certo detto di no. Però gli dava noia che Math non gli avesse detto tutto, anche se sapeva che come capo della famiglia aveva dei segreti perfino con lui.
Aveva sopportato la farsa dell'arresto, il pestaggio da parte dei poliziotti, finire lì, le perquisizioni e qualunque cosa solo perché sapeva che ne sarebbe uscito in fretta. Mathias, però, avrebbe dovuto mantenere la promessa di pagargli lunghe ferie in qualche isola tropicale.
Mangiò il minimo indispensabile, quella robaccia insapore di certo non invogliava, e attese. Il giapponese mangiò con calma, mentre al tavolo parlavano nella loro lingua escludendolo del tutto dalla conversazione. Notò un piccolo involto di stoffa scivolare di mano in mano fino a quelle di Uematsu e lo vide infilarlo sotto la camicia. Finirono di cenare e il tempo prese a scorrere decisamente troppo lentamente per i gusti di Kier. L'arrivo della conta lo sollevò, finalmente gli avrebbe tolto quella merda dalla spalla e dalla testa, qualunque cosa fosse.
«Stasera nessuno guarderà in questa direzione, ho abbondantemente pagato, tu però cerca di non farti uscire dalla bocca nessun suono.»
«Come desidera.» borbottò, andando a sedersi sul letto e guardando l'involto che veniva aperto. Impacchettati in contenitori sterili c'erano degli strumenti chirurgici, un bisturi, delle pinze e poi un cavo di collegamento con una banca dati portatile.
Si costrinse a stare immobile mentre per prima cosa l'uomo gli scostava i capelli alla base della nuca, mettendo in mostra la minuscola entrata e inserendo lo spinotto sottile quanto un ago. Era una pratica che solitamente avveniva coadiuvata da antidolorifici che in quel caso, ovviamente, non erano contemplati. Strinse i denti mentre un dolore lancinante partiva da lì, invadendogli il cervello.
Sudò freddo, stringendo i pugni e cercando di rimanere immobile. Sapeva che era un processo che chiedeva pochi minuti, ma gli sembrarono eterni. Una volta finito, estratto lo spinotto, il dolore iniziò immediatamente a scemare facendogli tirare un sospiro di sollievo. Uematsu controllò i dati e vide la sua espressione farsi dura, insoddisfatta.
«Sapevi di trasportare dati?»
«No, lo sa benissimo. Non ne avevo idea.»
Il giapponese lo studiò e annuì: il ragazzo diceva la verità, sapeva riconoscerla. Eppure in qualche modo i dati non erano quelli che avrebbero dovuto arrivare e sapeva benissimo che gli unici che li avevano avuti tra le mani, in modo da poterli manipolare, erano i russi e suo fratello. Tra i due, chi era meno degno di fiducia erano sicuramente i Petrov.
«Qualcosa nei dati non quadra, ma tu sei solo un corriere, Lazzari un intermediario, non ha mai direttamente messo le mani su nulla, in realtà. Chi ha messo la capsula e i dati è un mio sottoposto, ma tra lui e Lazzari c'è stato un altro passaggio. A questo punto voglio vedere bene cosa ha dentro la capsula, prima di farmela innestare.»
Kier si strinse nelle spalle massaggiandosi il collo, la testa ancora preda di qualche fitta di dolore. «Come vuole lei: non è il mio, di cuore, ad averne bisogno.» borbottò. La consegna di una microcapsula contenete delle staminali e delle nanomacchine modificate in modo da andare a ricostruire le pareti ventricolari dello yakuza era il suo compito. La sua parte era stata fatta, quello che l'altro decideva di fare della capsula era affar suo.
L'altro estrasse il bisturi, erano mezzi ormai obsoleti, ma era il massimo che aveva potuto ottenere. Sapeva esattamente dove si trovava la capsula però toccò con molta attenzione la zona, avrebbe dovuto lo stesso cercarla. Mise un asciugamano attorno all'area in modo da non far andare ovunque il sangue e incise.
Kier si irrigidì, costringendosi a stare immobile e mordendosi il labbro mentre con le pinze l'uomo cercava nella sua carne. Ci vollero quasi dieci minuti e Kier, pallido, ringraziò silenziosamente ogni dio quando infine il giapponese la estrasse intatta dalla sua carne. Premette l'asciugamano su quella voragine e osservò Uematsu riporre la capsula in un contenitore sterile, rimettendo via gli strumenti mentre la luce si affievoliva, il primo di tre avvertimenti prima dello spegnimento.
«Quindi non la userai?»
«Sono sempre più certo che qualcosa non sia come deve essere. Estrarla senza romperla è stato difficile, sembrava pronta ad aprirsi nella tua carne per innestarsi su di te e la cosa non ha senso. Domani comunicherò l'avvenuta estrazione e manderò a controllare i dati e la capsula.»
Kier annuì, riflettendo sulle parole dell'altro. In effetti qualcosa di strano c'era, in tutto quello.

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