15° CAPITOLO

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-LAUGHING JACK-

Era di nuovo notte e avevo constatato fossero le ore peggiori per Lydia. Non faceva altro che muoversi la poveretta e non trovava nemmeno un attimo di sollievo. Le toccavo continuamente la fronte per accertarmi che la temperatura non salisse ulteriormente e per diffonderle un minimo di fresco dato che la mia pelle era priva di calore umano. Appoggiai la schiena alla parete dopo essermi seduto accanto a lei sul letto. La ragazza mi guardò con gli occhi vitrei e languidi.

<Non mi sento bene.> Fece in tempo a dirmi prima di vomitare sui miei pantaloni e sulla sua maglietta.

Subito dopo crollò di nuovo sul cuscino mezza addormentata. Mi alzai e, dopo essermi cambiato i jeans, la feci sedere sul letto tentando di farla rimanere con la schiena dritta. Le pulii con cura il viso rinfrescandola e poi le tolsi la maglia. Quando provai a metterle un'altra t-shirt, lei mi bloccò.

<Come vuoi.> Sospirai.

La stesi di nuovo sul letto e la coprii con delle lenzuola, ma a quanto pare lei non era della stessa opinione. Cominciò a scalciare via le coperte e mezza nuda si rimise a dormire. Non ero un esperto in queste cose, per la verità non ne sapevo nulla, ma forse la febbre stava calando. L'unica cosa che sapevo a proposito era che se un umano aveva così tanto caldo significava che la temperatura stava scendendo.

Credo che sarà una lunga notte...E anche un lungo giorno, pensai rimettendomi a fianco a lei e canticchiandole Pop Goes The Weasel.


-LYDIA-

Mi svegliai peggio del giorno prima. Al mio risveglio trovai Jack intento a portarmi degli asciugamani bagnati e una tazza di latte caldo a letto.

<Buongiorno stufetta, come stai?> Mi chiese poggiandomi i panni sulla fronte e dandomi la tazza.

<Uno schifo, ma almeno riesco...> Drizzai la schiena e bevvi un sorso di latte <...A mettermi seduta. E non chiamarmi "stufetta"!> Dissi facendo la finta offesa.

<Beh, tu puoi chiamarmi mammina o infermiera, se preferisci. Ho perso il conto di quante volte ti ho controllato la temperatura stanotte, e hai perfino fatto assaggiare ai miei pantaloni la cena di ieri sera.> Disse ridacchiando. Mi toccò la fronte <Sei ancora bollente però, non ti è scesa nemmeno un po'.>

<Mi dispiace di averti tenuto sveglio stanotte e di averti vomitato addosso, non me lo ricordo nemmeno.> Gli dissi dispiaciuta.

<Stai tranquilla. Lo faccio volentieri per te, a parte la seconda parte, ma non voglio che tu stia così male.>

<Non dirlo a me.> Sbuffai passandogli la tazza vuota e lasciandomi cadere sul letto <Puoi passarmi una tua felpa? Comincio a sentire freddo.>

<Certo.> Dissi passandomi una larga felpa nera.

Me la misi e lo invitai a stendersi a fianco a me.

<Mi canti qualcosa, Jack?> Gli chiesi accoccolandomi vicino a lui.

Il clown si mise a canticchiare una canzoncina così familiare al mio orecchio mentre a poco a poco sentivo il sonno impossessarsi di nuovo di me.

<L'ho già sentita.> Mormorai riconoscendola.

<Te l'ho cantata stanotte.>

<No, non intendevo questo. È la canzoncina della tua scatola, vero?> Sussurrai strascicando le parole mentre gli occhi a poco a poco mi si chiudevano.

<Sì, proprio quella. E adesso dormi.> Due labbra mi baciarono e le braccia di Morfeo mi avvolsero.



Dopo qualche ora una sorta di boato mi fece sobbalzare e sedendomi sul letto mi guardai intorno confusa e spaventata. Dopo un improvviso silenzio, poggiai i piedi nudi sul pavimento e cercando di non fare il minimo rumore camminai verso la porta. Barcollavo leggermente per via della febbre, ma cercai di mantenermi in piedi. Aprii il battente che cigolò rumorosamente.

Al diavolo il non fare rumore.

Percorsi il corridoio e mi accorsi che chiunque fosse ad aver fatto quel rumore assordante non era Jack. Anzi, Jack sembrava non essere nemmeno a casa, probabilmente era uscito.

Ma se non è stato lui, allora chi è stato?, mi chiesi in preda al panico.

Feci appena in tempo a pormi quella domanda che subito mi accorsi che uno dei due battenti della porta d'entrata era stato buttato giù.

Qualcuno è entrato in casa.

<So che sei qui dentro!> Sentii una voce sconosciuta urlare da una delle stanze al piano inferiore.

Mi misi a correre più veloce che potevo tra i corridoio. Chiunque fosse non aveva di certo l'intenzione di bere un tè caldo e fare quattro chiacchere. Mentre correvo pregavo che L.J. facesse in fretta e che venisse a tirarmi fuori dai guai ancora una volta. Sentii dei passi dietro di me e corsi più in fretta fiondandomi in una delle porte aperte. Varcata la soglia cercai un nascondiglio. Ispezionai la camera fino a che non vidi un armadio abbastanza spazioso da potermici infilare dentro. Feci appena in tempo a chiudere le ante dell'armadio che sentii dei passi pesanti rimbombare nella stanza.

<So che sei qui da qualche parte, stronzetta. Vieni fuori, non ti farò niente, promesso.>

La sua voce era agghiacciante, come se non fosse nemmeno umana. Stavo tremando e sentivo il cuore battermi forte nel petto e nella gola, avevo il timore che perfino lui potesse sentirlo. Avevo paura. Chiusi gli occhi e mi raggomitolai come una bambina nello spazio angusto.

<Avanti, non farmelo ripetere un'altra volta, schifosa bastarda.> La sua voce adesso si era fatta più dura e tagliente.

Udii ancora altri due passi e dei respiri profondi. Vicini, vicinissimi. Aprii gli occhi e sollevai lo sguardo. Sentii i secondi scandire il tempo e poi le ante vennero spalancate di scatto rivelando il volto del mio inseguitore.

<Ciao stronzetta. Ah, dimenticavo. Le mie promesse non valgono a granché.> Disse gelido con un ghigno sul volto prendendomi per i capelli e facendomi urlare. A nulla valsero i miei sforzi per liberarmi e l'unica cosa che vidi dopo fu il buio.










L'AMORE È IN BIANCO E NERODove le storie prendono vita. Scoprilo ora