Capitolo 13

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13 Ottobre 

-Tutto bene, allora? Torno per l'ora di pranzo, così sarò con te prima che ti facciano l'anestesia. Ti prego, lascia che provi a richiamare tua madre.
- Ho detto che non la voglio.
Suo padre sospirò. - Dopo la scuola può venire anche Becky, se ti va. Mi dispiace davvero di non poter rimanere tutta la mattina a farti compagnia. Ma l'infermiera è carina, vero? Noreen. Ti sei portata il libro da leggere? 
- Si, papà. Va tutto bene. Ma adesso vai. 
Lui si chinò per darle un bacio ma Mia voltò la testa dall'altra parte e riuscì soltanto a toccarle i capelli. Mia si morse forte il labbro. Niente lacrime. Aveva davanti a sé l'intera mattinata. Le avevano detto di presentarsi per il Day Hosplital alle otto e mezzo, ma poi si era ritrovata nella lista del pomeriggio. Doveva ancora svestirsi, e in teoria mettersi a letto, perché tra poco il dottore sarebbe passato per il giro e non bisognava farlo aspettare. Avrebbe dovuto trascorrere lì dentro mezza giornata e suo padre aveva deciso di andare a lavoro, in modo da potersi prendere il pomeriggio libero, ed "essere lì per lei."
La sera prima, la mamma aveva cercato di parlarle al telefono. Mia aveva ascoltato i toni bassi di papà e le sue spiegazioni tranquille. Si era immaginata la reazione scioccata della mamma, dall'altro capo del filo. Ma quando le parlò, sembrava calma. - Vuoi che ti raggiunga subito? ... Sei sicura di volerlo fare, Mia? ... So che non ho diritto di dire nulla in proposito. È una decisione tua ... Povera, mi dispiace tanto. - Ma Mia non aveva voluto parlarle. E le aveva risposto che non voleva che venisse. C'era papà, e anche Becky. Non le serviva nessun altro.
Per un istante desiderò invece di averle detto: "Sì, vieni per favore. Ho bisogno di te. Ho paura, sono sola." Però non era neanche del tutto vero. Mia non era proprio sola. Ancora per qualche ora, almeno. "Ciao, fagiolino."
- Va tutto bene, tesoro? - L'infermiera si era appollaiata sul bordo del letto,esattamente di fronte a Mia che sedeva su una sedia verde.
- C'è qualcosa che vorresti chiedermi?
Mia scosse la testa. Adesso che aveva rivolto il pensiero al suo fagiolino, non le riusciva più a parlare. Ricacciò indietro le lacrime. Aveva in grembo il plico di fogli che illustravano  diversi metodi di rilassamento e che Noreen le aveva portato poco prima. Tremava. L'infermiera le posò una mano sulle sue. - Mi dispiace, tesoro. È dura, vero? Hai paura?
Mia non fu più capace di trattenere le lacrime.
- Vado a prenderti dei fazzoletti di carta.
Mia la guardò allontanarsi tra le file dei letti, per lo più vuoti. In quelli vicini al suo c'erano un paio di donne adulte. Ma avevano tirato le tende. Con una c'era un uomo; con l'altra invece, una donna. Sua sorella forse. La paziente aveva chiesto all'infermiera dove poter fumare una sigaretta e lei le aveva risposto che era vietato. - Non prima che tutto sia finito. Se proprio non riesce a farne a meno! 
L'infermiera tornò con una scatola di fazzolettini e li lasciò sul comodino accanto al letto. - L'anestesista è arrivato per fare il giro delle visite, tesoro, perciò adesso devo andare. Mi dispiace di non poter restare con te. Ci vediamo più tardi, d'accordo? Cosa stai leggendo di bello?
Mia girò il libro così da mostrarle la copertina. Tess dei D'Uberville.
L'infermiera rise. - Un po' troppo pesante, per i miei gusti! Non sono istruita come te. 
- Nemmeno io lo sono. Me l'ha dato mio padre. Non creda che lo leggerò.
Lo ripose di nuovo nell'armadietto.
- Non dimenticarti di metterti la camicia da notte. E di stare a letto. Il medico sta arrivando.
Mia non capiva che differenza potesse fare. Tutto questo affaccendarsi perché c'erano in giro i dottori. Lei si sarebbe svestita solo all'ultimo minuto. Quando ti metti in pigiama ti senti subito diverso. Più indifeso. E poi lei non ce l'aveva una camicia da notte; si era portata dietro solo una maglietta extra large. Le sue mani si posarono protettive sopra la pancia. Era ancora piatta. Chi lo avrebbe mai immaginato. Si domandò quanto tempo sarebbe passato prima che si cominciasse a vedere. Certe ragazze andavano avanti mesi, senza accorgersene. Praticamente fino a un attimo prima. Sui giornali se ne leggevano un sacco di storie così. Minorenni convinte di soffrire di crampi allo stomaco, che un secondo dopo mettevano al mondo un figlio.
Un figlio. 
Mia non ci aveva mai pensato in questi termini.
Solo un grumo di cellule. Una goccia, come le aveva fatto notare Becky.
Fagiolino.
"No. No. Non pensare. Guarda la corsia. Riprenditi il libro. Passi che si avvicinavano. Alza la testa ..."
L'anestesista era un uomo giovane dall'accento australiano. Le sorrise. Sembrava fosse appena saltato giù da una tavola da surf, su una spiaggia, tranne che per il camice bianco. Lo portava sbottonato, aperto, e sotto indossava un baio di bermuda azzurri. Aveva le gambe abbronzate. Cominciò a spiegarle quello che sarebbe successo, poi la sottopose a una serie di domande. - Hai mai fatto un'anestesia, prima d'ora? ... Reazioni allergiche?
Usava un tono gentile, come quello dell'infermiera.
Mia sentiva ancora le lacrime scivolare dentro di lei.
- Quindi io mi prenderò cura di te per tutto il tempo. È una cosa molto veloce. Più o meno cinque minuti, poi è tutto finito. 
Mia lo fissava senza parlare. Si era sentita così disarmata e incapace di riflettere, fino a un attimo prima, ma adesso, tutto ad un tratto, sentì che qualcosa dentro di lei stava cambiando. Quelle parole la invasero, facendole venire la pelle d'oca. << Poi sarà tutto finito. TUTTO FINITO >> 
Un piccione la fissava dalla finestra con i suoi occhietti lucidi. Gonfiò le piume e Mia notò che il grigio era striato di verde brillante, viola e argento. L'uccello spalancò le ali, si lisciò le penne col becco, si diede una scrollata e alla fine spiccò il volo. Mia udì il battito d'ali e il fruscio delle piume. 
- Stai bene? Sicura di volerlo fare? - L'anestesista si era seduto sul bordo del letto. La fissava dritto negli occhi. I suoi erano di un azzurro molto intenso. Parlava con assoluta calma. Talmente piano che Mia non fu nemmeno tanto sicura che o avesse veramente detto. Forse aveva sentito solo la sua stessa voce che le risuonava da dentro. 
- Lo sai che puoi cambiare idea in qualsiasi momento, vero? Fino all'istante in cui ti buchiamo con l'ago dell'anestetico. A volte succede. Le persone cambiano idea. 
Mia lo fissava. Le lacrime uscirono all'esterno.
Il dottore le diede qualche colpetto di incoraggiamento sulla mano, quindi si alzò e si allontanò, passando alla paziente successiva. Mia lo udì parlare con la donna da dietro alla tenda. Risero per una qualche battuta che si erano scambiati. Lo osservò tornare in corsia, con le scarpe che scricchiolavano sul linoleum. Il piccione era di nuovo sul davanzale della finestra. Si lisciò le piume per un po' e poi si mise a fissare proprio lei, attraverso il pannello di vetro polveroso, inclinando appena la testina di lato, quasi per scrutarla meglio.
" È un segnale. Se vola via è un segnale."  L'animale aprì le ali e le richiuse. Le aprì una seconda volta, spiccò il volo dal davanzale e salì alto nel cielo azzurro chiaro. "Ma certo!"  Con una chiarezza improvvisa, Mia seppe quel che doveva fare. 
Le tende delle altre pazienti erano ancora tirate. Mia si alzò e fece scorrere l'orribile stoffa a fiorellini attorno al proprio letto. Tirò fuori dall'armadietto il beauty-case, la maglietta e il portafogli e li infilò insieme alla giacca nel borsone di tela. Si rimise le scarpe da ginnastica ai piedi. Quindi guardò l'ora: le nove e trentacinque.
L'infermiera, Noreen, si trovava nell'altra metà della corsia a preparare altri pazienti per la sala operatoria. << Il Day Hospital prevede una degenza mista >>  aveva spiegato a Mia. << Sono tutti qui per essere sottoposti a interventi diversi. Nessuno sa per cosa sei venuta tu. >> A metà del largo corridoio c'erano i bagni e le doppie porte che immettevano negli altri reparti. Facile. Se anche Noreen l'avesse vista, avrebbe pensato che stesse andando in bagno. Ma Noreen non la notò nemmeno. Mia camminò lentamente fino all'atrio e oltrepassò le doppie porte, imboccando un corridoio. Proseguì, oltrepassò un'altra serie di porte che si aprivano e si chiudevano su entrambi i lati, diretta verso l'uscita. Le ci vollero solo alcuni minuti. Spinse l'ultima porta e si ritrovò all'aperto, nella pallida luce del sole che illuminava il parcheggio dell'ospedale. Non si fermò. Attraversò il piazzale e imboccò la stradina che, oltre il cancello di ingresso, immetteva sulla via principale.  Era libera. 

Un' estate, una vita  Julia GreenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora