22 Settembre
- Pensi che sia facile? Mantenere tre figlie è un'impresa costosa, lo sai.
- Ma sono soltanto venti sterline, papà. I genitori degli altri non fanno tutte queste storie ogni volta che devono tirare fuori dei soldi.
- Si vede che non vivono con un solo stipendio e tre ragazze in crescita. Ecco perché.
- Non è certo colpa mia, no?
Mia si pentì quasi subito di averlo detto. Suo padre si rabbuiò in volto. Gli vide passare quell'ombra scura sulla faccia. E adesso quei soldi se li poteva scordare, poco ma sicuro.
- Tè, papà? - gridò Laura dalla cucina. Tempismo perfetto. Doveva essere stata ad ascoltarli per tutto il tempo. Mia guardò sua sorella che li raggiungeva con la tazza e un piatto di biscotti spezzati. Tipico di Laura. La perfetta figlia maggiore. Peccato che lei non ci dovesse vivere tutti i giorni in quella casa. Aveva già provveduto a tagliare la corda. Suo padre ricominciò.
- È uno spreco di soldi, Mia. Se si trattasse dei libri o di un biglietto per il teatro o di qualcosa per la scuola sarebbe diverso. Ma per le giostre! - C'era del disprezzo nel tono con cui aveva pronunciato le ultime parole.
- È un parco divertimenti. Un giorno di vacanza. Divertimento. Afferrato il concetto? - Mia lo guardò con espressione truce. - Ovviamente no. Nella nostra famiglia è contemplato solo lo studio, tutto il santo giorno. Scuola del cavolo! - Mia uscì dalla stanza sbattendo la porta.
- Torna subito qui, Mia! Ti proibisco di parlarmi in questo modo!
Mia sedette sulle scale, scossa dai brividi. Sentiva le loro voci: i toni più bassi di papà e quello gentile di Laura. Si sforzò di capire cosa stessero dicendo.
-È l'età, papà. Non essere troppo duro con lei.
Mia si sentì ribollire di rabbia. E brava la nostra Laura! Mettersi a parlare di lei neanche fosse stata una bimbetta, quando tra loro c'erano solo cinque anni di differenza! Mia aveva dimenticato quanto potesse essere insopportabile sua sorella. Spalancò di nuovo la porta del soggiorno. Suo padre e Laura erano seduti l'uno accanto all'altra sul divano, di fronte alla porta-finestra aperta. Mia si piazzò davanti a loro, oscurando la luce.
- Non si tratta di nessuna età, grazie tante, Laura Zoe Kitson! È solo che, a differenza di voi, io sono una persona normale. E una persona normale ha voglia di divertirsi come chiunque altro al mondo, fatta eccezione ... fatta eccezione per questa famiglia di depressi! - La voce le si era incrinata appena. - E intanto, Becky, Ali, Will e tutti gli altri ci andranno ... non è giusto.
Laura la superò e uscì in giardino. - Quello'orribile gatto. Ha catturato qualcosa. Ma lo sentite?
In effetti, una specie di lamento acuto riempiva l'aria. Mia guardò Laura muoversi nella direzione del suono e poi balzare addosso al gatto, spingerlo giù con una mano e tirargli la coda. Il gatto fece un versaccio. Laura lo guardò inorridita mentre lasciava cadere sul prato un corpo accartocciato. L'uccellino si contorse ancora per qualche istante. Un povero esserino fatto a pezzi.
Mia sentì sessarsi stomaco e gola. "Oh, no. Ti prego. Non adesso. Non di nuovo." Corse di sopra, tenendo una mano davanti alla bocca. Mentre vomitava per l'ennesima volta, tirò lo scarico del water. Non dovevano sentirla. L'attacco di nausea la lasciò tremante ed esausta. Si sciacquò la bocca e spruzzò acqua fredda sul viso ricoperto di chiazze. Sistemò i capelli dietro le orecchie. Sentiva ancora il sapore amaro della bile. Alla fine fu pronta a tornare di sotto.
Papà le lanciò una strana occhiata. - Va tutto bene?
Mia annuì
Lui le rivolse uno dei suoi sorrisi sbiechi. - Puoi avere i soldi, le venti sterline. Hai ragione: hai bisogno di divertirti un po'. Senti, facciamo un fatto. La prossima settimana tu fai in modo di non saltare la scuola. E io ti do le venti sterline.
- Grazie, papà. - Mia scese piano le scale e gli diede un bacio riluttante in cima alla testa. - Consideralo pure un contratto. Ma scordati che io sia come Laura e Kate. Non andrò all'università o roba del genere. E non prenderò mai il massimo dei voti. Risparmio assicurato, con me! - Stoccatina finale. Mia corse di nuovo di sopra e chiuse la porta della camera prima che suo padre avesse il tempo di risponderle.
Se ne stava sdraiata sul suo letto. Quell'odore. I capelli di papà. Le aveva fatto tornare in mente Will. Anche i suoi capelli avevano quell'odore. Forse erano così tutti i capelli degli uomini. Confortante, ma in qualche modo pericoloso. Era strano pensare che suo padre potesse avere lo stesso odore di Will. Quando Becky, Ali e Mia parlavano di ragazzi, a scuola, a volte le domandavano di suo padre. E si chiedevano come mai non avesse una fidanzata.
- È ancora abbastanza carino - le aveva detto Ali un giorno, durante l'intervallo, appena prima che si separassero per le vacanze estive. - Ha ancora un bel po' di capelli scuri, e quei pochi fili bianchi sono piuttosto sexy. - Aveva sorriso, con quella sua aria misteriosa e distante. - A me non dispiacerebbe affatto stare con un uomo più grande. E tuo padre ha un certo fascino quando parla di libri o roba del genere. Ed è gentile.
- Dovresti provare a vivere con lui - le aveva risposto Mia. - Cambieresti idea.
Sembrava che Ali stesse assaporando quella possibilità. - Non mi importerebbe. Se soltanto fosse un pochino più giovane! Peccato che non insegni nella nostra scuola.
Becky e Mia avevano sbuffato.
- Ali! Come puoi essere così viscida? Stai parlando del padre di Mia.
- Tropo tirato con i soldi per i tuoi gusti - aveva aggiunto Mia. - Un tirchio, in pratica.
- Be', immagino che non sia facile per lui, col fatto che tua mamma non sta più con voi.
- È anche colpa sua - aveva ribattuto Mia con calma. Poi aveva tolto i piedi dalla sedia ed era andata a prendersi una bibita al distributore automatico che c'era nell'atrio.
Sdraiata sul letto, Mia teneva le braccia incrociate dietro alla testa. La finestra era aperta e un uccello lanciò il suo grido di avvertimento da un albero: il gatto doveva essere tornato in giardino. Apple Pie. Che nome idiota per un gatto rossiccio. Certo, era stata un' idea della mamma. << È così dolce. Dolce come una torta di mele! >> aveva esclamato quando Mia e Kate lo avevano portato a casa dentro a una scatola di cartone. E quel nome gli si era semplicemente appiccicato addosso. Ma questo accadde circa dieci anni prima. Mia guardò la mamma che le sorrideva dalla fotografia appoggiata sulla cassettiera. C'erano tutti, in quella foto. Mia, la più piccola, seduta in braccio alla mamma. Doveva aver avuto sì e no tre anni. Kate e Laura erano in piedi subito dietro di lei e papà sullo sfondo, con un braccio posato sulle spalle di ciascuna figlia, quasi a volerle tenere insieme. Era stata scattata in giardino. Si riusciva appena a individuare il tiglio, di lato. all'epoca era ancora piccolo.- Stupida! - disse ad alla voce. Ma la mamma non smise di sorridere.
Mia allungò la mano e girò la cornice. Non aveva nessuna voglia di vedere quella faccia irritante. Era stato papà a trovare la foto e a dargliela, secoli prima, e da allora era semplicemente rimasta là, appoggiata al portagioie che le aveva regalato Kate. Avevano altre fotografie negli album al piano di sotto, ma nella maggior parte la mamma stava al margine dell'inquadratura, con quell'aria assorta come se cosse concentrata su qualcos'altro. Mia pensò che probabilmente stava mettendo a punto il suo piano di fuga. Anche se, quando alla fine se n'era andata, non aveva certo dato l'idea che ci fosse nulla di pianificato ...
Una lite. Voci alte e arrabbiate. Mia, sei anni, in piedi sulla porta del soggiorno ad ascoltare le parole che si azzuffavano nel buio della tromba delle scale. Frammenti di conversazione: - Come puoi! ... tutto di me ... non è rimasto niente ... le bambine ... ci hai provato ... proprio come ... - Riusciva a sentire soprattutto la voce della mamma, che gridava tra un singhiozzo e l'altro. - No ... non posso ... - Papà aveva gridato: - Alice! - Il nome della mamma. Che cosa le stava facendo? Doveva andare a vedere? Intervenire? Doveva andare a cercare Laura e Kate? Stavano ancora dormendo, al piano di sopra. In sottofondo si sentiva la musica allegra di un programma per ragazzi; Mia aveva appena acceso la televisione. Di mattina non avrebbe potuto farlo. Avrebbe dovuto starsene tranquilla in camera sua a leggere, o al limite andare a fare colazione. Sentendosi in colpa, aveva spento ed era tornata nel corridoio. A origliare. Con il cuore in subbuglio e i piedi congelati. Se ne era sfregato uno contro la gamba, sotto la sottile camicia da notte di cotone, mentre si attorcigliava i capelli intorno a un dito.
La porta della camera da letto al piano di sopra si era spalancata, la mamma era schizzata fuori ed era scesa di sotto: una furia di vestiti e cappelli e borse. Aveva esitato solo un secondo, quando si era trovata davanti la piccola Mia, ma poi aveva aperto la porta d'ingresso, l'aveva oltrepassata e se l'era sbattuta alle spalle. Aveva avviato il motore della macchina. E Mia, alla finestra, l'aveva vista andare via. In seguito si era domandata spesso se non se lo fosse immaginato, quell'istante in cui la mamma si era fermata, incerta. In ogni caso, non era stato sufficiente. Mia non le aveva impedito di andarsene.
Ma perché non le era corsa dietro? Perché non aveva picchiato le mani contro il finestrino della macchina? E non l'aveva chiamata? Forse, se lo avesse fatto, le cose sarebbero andate diversamente. Invece era rimasta come paralizzata. Una statua di ghiaccio.
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Un' estate, una vita Julia Green
RomansaNon c'era niente da fare a Whitecross. Non c'era niente di niente laggiù, tranne un centro commerciale e un pugno di case sparse, un benzinaio, una rivendita di alcolici, un negozio di alimentari. La scuola elementare aveva chiuso due anni prima. I...