Interlude I.

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A Gennaro stare a Londra piaceva un casino; aveva sognato per tutta una vita di potervisi trasferire, di conoscere a memoria le linee della metropolitana, di avere un bar preferito in cui il barista lo riconosceva e sapeva già cosa preparargli – un espresso doppio rigorosamente nero e bollente- e quando, dopo anni di risparmi e sacrifici, era riuscito a mettere da parte i soldi necessari, se n'era fuggito a gambe levate da quella Somma Vesuviana che adorava ma che allo stesso tempo gli stava stretta, e poco importava se ora stava in un monolocale triste e spoglio in zona tre, se doveva sempre girare con lo spray al peperoncino in tasca perché dopo le dieci di sera non è poi così sicuro uscire di casa, era nella città dei suoi sogni ed aveva la sua musica.

Era riuscito a trovare lavoro in una caffetteria del centro perché si sa, con tutti i turisti che ci sono avere un italiano al bancone torna sempre utile, e quando non lavorava, si spostava di piazza in piazza, tentando di arrotondare strimpellando la sua fedele chitarra e cantando qualche brano con la sua voce roca e graffiante; il suo posto preferito, però, restava sempre Trafalgar Square, poco distante dalla grande fontana, perché così quand'era particolarmente stanco dopo un doppio turno o puntualmente si bruciava i polpastrelli con la macchina per il cappuccino – che, per inciso, era un aggeggio infernale, e sarebbe stato pronto a giurare ce l'avesse con lui – riponeva con delicatezza la chitarra nella custodia ed entrava alla National Gallery perché lui, per quanto non avesse nemmeno finito le superiori, l'arte la amava in un modo così profondo e viscerale che era paragonabile solo alla sua passione per la musica.

Alessio, invece, a Londra ci era arrivato già con un contratto in tasca e con un posto dignitoso dove stare, ovvero a casa di Davide, un palermitano tutto capelli e funky, e del suo ragazzo Giò, un barese con l'aria da bello e dannato, che però era una delle persone più dolci e sensibili avesse mai conosciuto.

Una delle cose che più gli piacevano, di quella città, era la moltitudine di persone diverse che aveva la possibilità di incontrare, gli artisti di strada che poteva conoscere e con cui avrebbe potuto lavorare, perché la verità era che Alex, per quanto fosse fiero di ciò che faceva e onesto nelle sue intenzioni, lo percepiva chiaramente come gli mancasse qualcosa, sia al livello artistico che umano, un qualcuno con cui potesse condividere non solo la sua musica ma anche la sua vita, però per ora gli andava bene così, e se ne stava ore chiuso in studio o in camera a scrivere, provare ed incidere.

Cercava di ignorarla, quindi, questa cosa strana ed indefinita all'altezza dello stomaco che lo spingeva a scrutare attentamente i passanti, cercando quella scintilla nei loro occhi che gli avrebbe fatto capire che sì, quella persona era il tassello mancante, ma mica ci riusciva, ed allora continuava a sperare che uno di quelli sconosciuti gli avrebbe cambiato la vita.

Erano quasi le sette di mattina, e si sa che a quell'ora, la metropolitana di Londra è peggio dell'Expo, tanto che Genn non si era nemmeno illuso di trovare un posto a sedere, perciò quando era entrato si era fiondato sul primo palo disponibile, la mano avvinghiata al metallo freddo, tanto da far sbiancare le nocche, perché lui e l'equilibrio erano due cose che proprio non andavano d'accordo; perciò se ne stava il più fermo possibile, entrambi i piedi saldamente piantati sul pavimento della carrozza, le canzoni dei Moderat che si susseguivano a ritmo incalzante nelle cuffiette, permettendo al biondo di rilassarsi prima di quella che, era sicuro, sarebbe stata una giornata estenuante al lavoro.

Muoveva la testa al ritmo della base strumentale di Therapy, gli occhi socchiusi, che però si erano spalancati quando un ragazzo dalle spalle larghe e dai capelli corvini era entrato proprio nel suo vagone, fermandosi a qualche metro da lui, le mani callose –sicuramente da chitarrista, Genn le avrebbe riconosciute a chilometri quelle imperfezioni sulle dita e sui palmi- a loro volta strette attorno al palo di metallo giallo, e Genn non era riuscito a fare a meno di incantarsi nello studiare la sua figura ben piazzata, la mascella definita, il profilo delicato del naso e del mento, il modo in cui il maglione blu gli fasciava i bicipiti muscolosi ed il torace definito, ed era così perso nel contemplare quello sconosciuto, che non si era accorto di come il treno fosse in prossimità della prossima stazione, così gli ci era voluto meno di un secondo perché il suo palmo, ora leggermente sudato, perdesse la presa dal palo freddo; un'espressione di puro orrore gli si era dipinta sul volto assonnato, mentre si ritrovava inevitabilmente catapultato in avanti, finendo per aggrapparsi proprio al braccio del bel sconosciuto, che aveva prontamente allungato verso di lui per impedirgli di cadere.

I like it when you sleep, for you are so beautiful and yet so unaware of it.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora