Se c'era una cosa che gli era sempre riuscita bene, quella era fare musica; non lo sapeva bene il perché, e forse un motivo preciso non c'era nemmeno, semplicemente lui rispondeva a quel richiamo, a quel bisogno fisiologico che si presentava sempre più forte nel suo corpo, e lui non poteva fare altro che assecondarlo, ed allora si ritrovava ore ed ore seduto a terra in camera sua o in studio, la schiena e le ginocchia piegate in una posizione innaturale, il cappuccio della penna o il fondo della matita martoriati dai denti, i fogli sparsi ovunque attorno a lui, quasi come se volesse letteralmente circondarsi di musica.
Lui prevalentemente componeva, ma si trattava di un processo strano, quasi un'esperienza mistica di cui non è chiara l'origine; succedeva quando meno se l'aspettava, mentre faceva la spesa, mentre trafficava con le chiavi cercando quella del portoncino – perché anche se era quasi un anno che lui stava lì, mica l'aveva imparato ancora quale chiave aprisse cosa, ed allora le provava tutte, di solito con lo zaino o le buste della spesa in bilico sulla gamba sollevata, tanto per rendere le cose più semplici – e non sapeva bene quale fosse il fattore scatenante, dopo anni non l'aveva ancora capito, la musica semplicemente partiva, scaturiva dal nulla rimbombandogli nelle orecchie e nella cassa toracica, quasi fosse la sinfonia stessa a voler tentare di suonare il suo corpo, ed allora lui non poteva fare altro che registrare avido quelle note, sistemandola in qualche parte del suo cervello, e poi la scriveva, provandola mille e mille volte, fino a che questa non diventava perfetta ed intoccabile, tanto che a volte stentava a credere di essere stato lui a comporle quelle cose.
Per i testi, però, era tutt'altra storia.
Non che non sapesse scrivere, quello proprio no, tanto che in qualche caso, invece che solo la melodia, nella sua testa riusciva perfino a sentire le parole, il pacchetto completo, ma puntualmente succedeva questa cosa strana, l'ennesima a cui non sapeva dare una spiegazione – ormai, delle cose cui non trovava la ragione, aveva perso il conto –, gli succedeva che quando ci provava a scriverle quelle parole, a metterle nero su bianco con una penna vera e su un foglio vero, gli pareva che fossero tutte senza senso, come in un'altra lingua che nemmeno lui conosceva, ed allora si sforzava, ma mica ci riusciva a scrivere più di una decina di versi.
Da quando era arrivato Gennaro, o meglio da quando Gennaro gli era letteralmente piombato addosso, questa cose – come mille altre cose nella sua vita – era aumentata a livelli esponenziali, tanto che ogni volta che stavano assieme, non c'era un attimo in cui non la sentisse quella canzone, sempre la stessa ma contemporaneamente con sfumature sempre nuove, quella melodia che portava il suo nome, ed allora lui, di conseguenza, ci stava ore in quella posizione strana ed innaturale, a tentare di riportarla fedelmente, per immortalarsi con Gennaro.
Gennaro, in studio con Alex ci stava sempre più spesso; capitava, delle volte, che non lo trovasse nel loro appartamento, ed allora camminava fino allo studio, la voce di Chet Faker che copriva i rumori stridenti della città e della vita che gli scorreva attorno, anche se a dirla tutta lui, a queste due cose, mica ci faceva caso in quel breve tragitto, concentrato com'era su Alex, chiedendosi se l'avrebbe trovato con la gamba sinistra incastrata sotto il sedere e quante volte si sarebbe grattato l'orecchio nel giro di cinque minuti – così pure lui l'avrebbe capito se si trattava di un brano particolarmente difficile, ed allora gli si sedeva accanto passandogli una mano sulla schiena perché "Gennà, c'è qualcosa fuori posto, ma non lo so cosa sia" ed allora faceva scorrere gli occhi sui fogli scarabocchiati e spiegazzati, indicandogli anche solo una nota, che si rivelava essere maledettamente giusta, e tutta la composizione diventava d'un tratto maledettamente bella – ed allora erano i suoi piedi che lo guidavano per le strade di Londra quasi fosse un automa, mentre lui ci si affidava totalmente, perché lo sapeva che l'avrebbero istintivamente portato verso Alex.
Ogni tanto lo disegnava, ultimamente sempre più spesso; lui semplicemente arrivava in studio, ed anche se Alessio non alzava la testa dagli spartiti, lo vedeva percepire la sua presenza, rilassare appena le spalle larghe o tirare un sospiro di sollievo, e poi si sedeva in un angolo del divano e lo fissava, lo guardava per minuti interi, studiando ogni linea del suo corpo, e poi iniziava a disegnarlo.
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I like it when you sleep, for you are so beautiful and yet so unaware of it.
أدب الهواةDi quando Gennaro ha un pessimo equilibrio nella metropolitana, ed Alessio lo prende al volo. [Gennex]