Ventitré

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Matt


Sapevo sarebbe andata a finire così. Sapevo che prima di scendere in campo sarei stato assalito dall'ansia. Ho come un vuoto dentro di me, tremendo e fastidioso. I muscoli sono tesi tanto quanto lo sono io e la mente tenta invano di ricordare musica e parole di Not With Haste, nonostante l'abbia appena ascoltata. Sollevo lo sguardo sui miei compagni di squadra, sparpagliati nello spogliatoio. Ognuno sta cercando di trovare calma e concentrazione con il proprio metodo: c'è chi ascolta musica, chi è in raccoglimento con se stesso, chi parla con qualcun'altro.

Manca poco alla partita contro gli All Blacks, il fischio d'inizio è alle porte. Jones ci ha già detto quanto dobbiamo sapere prima di iniziare a giocare e ha già lasciato lo spogliatoio per raggiungere le tribune, cedendomi il compito di dire le ultime parole alla squadra prima dell'effettivo inizio del match.

La porta si apre ed è il chiaro messaggio che dobbiamo andare. Mi alzo in piedi, respiro a fondo e chiamo a me i giocatori: «Ragazzi.»

Tutti e ventidue mi raggiungono formando al centro dello spogliatoio, uno stretto all'altro, un cerchio. Il silenzio è totale e io li guardo uno a uno.

«Il coach ha detto tutto quello che c'è da sapere sulla partita che stiamo per affrontare» inizio, alcuni annuiscono. «Non voglio ripetervi le stesse cose. Perciò vi dirò solo questo: ci siamo allenati duramente in vista di questa partita e se ognuno di noi darà il massimo potremo giocarcela fino alla fine.»

Allungo una mano al centro del cerchio, i miei compagni fanno lo stesso. «Ho fiducia in voi» concludo.

Il grido di "Wales" si solleva nella stanza, dopodiché mi avvio fuori dagli spogliatoi, i giocatori mi seguono ordinatamente in fila. Davanti al corridoio per l'ingresso in campo, ancora chiuso, i quindici titolari della Nuova Zelanda sono già pronti a iniziare la partita. Di fronte a me Sean Darren guarda fisso un punto imprecisato, immobile. La divisa nera fascia il suo corpo, mettendone in mostra il fisico possente. Anche se il numero che portiamo stampato sulla schiena è lo stesso, Darren è più massiccio di me; ha polsi e ginocchia fasciati, la barba folta, ben tenuta, nasconde quasi completamente la bocca e gli occhi, che ora appaiono scuri quasi quanto i capelli, non lasciano minimamente trapelare quello che l'uomo prova. Sembra un'altra persona rispetto al giocatore che ho incontrato ore fa. In quell'occasione ci siamo stretti la mano e scambiati un sorriso, abbiamo conversato un po' e, alla fine, lui ha augurato buona fortuna per il match. Ma l'uomo che ho di fronte ora sembra davvero essere qualcun'altro; è serio e risoluto, certamente determinato a portare la sua squadra alla vittoria. Il suo carisma si può quasi toccare.

Uno dello staff gli dà il via, il momento di scendere in campo è arrivato. Darren si incammina, i compagni di squadra lo seguono, alcuni lanciandoci una sporadica occhiata. Si sentono gli applausi del pubblico, il Millennium Stadium è pieno questa sera.

Poco dopo fanno segno anche a me di andare e io mi avvio, pallone alla mano, seguito dal resto dei Dragoni. Il boato dei tifosi ci accoglie, è così che loro ci dimostrano fin da subito di essere pronti a sostenerci per i prossimi ottanta minuti, in vista di una delle partite più dure dell'anno. Il tetto dello stadio è chiuso anche questo pomeriggio e tutto rimbomba attraverso la struttura in acciaio, dando vita a quell'atmosfera magica, unica, che si respira solo fra le mura del Millennium, la nostra tana gallese.

Eppure anche se sono sul prato che più amo, che più mi mette a mio agio facendomi sentire sicuro di me, questa sera non riesco a trovare tranquillità. Mi sento ancora teso, i miei muscoli sono ancora tesi. Quella che sta per avere inizio è una partita troppo importante per la squadra e il confronto che sto per avere con Darren è importante per me.

Cenerentola non lucidava palloni da rugbyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora