Diciannove

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Danni


In casa è calato il silenzio. Teniamo tutti gli occhi puntanti sullo schermo del televisore che mostra il primo piano di Luke Davies, estremo gallese. Al Millennium Stadium non fiata un'anima; anche attraverso la tv lo si riesce a capire perfettamente e Luke, che respira a fondo, lo sguardo fisso sui pali, si appresta a calciare. Un involontario "oh" sfugge dalla bocca di Jamie, che poi non proferisce più parola fino a che l'ovale non va oltre, assegnando i due punti. Allora il bambino esplode in un grido di soddisfazione, agitando in aria il suo peluche – un draghetto rosso che gli ho regalato diversi anni fa a natale e che continua a tenere con sé durante le partite come fosse un piccolo amuleto. La partita riprende dalla metà campo, palla in mano ai Wallabies1.

Nel mio piccolo appartamento siamo io, Jamie e Jenna. Inizialmente dovevamo essere solo io e mio nipote, ma alla fine Jenna ha chiesto di unirsi a noi poiché non aveva voglia di assistere alla partita al pub insieme al suo ragazzo e ai suoi amici.

Il primo dei quattro test match è arrivato. In questo primo sabato di novembre la nazionale gallese sta affrontando quella australiana e la partita, al ventiquattresimo minuto, è sul quattordici pari. Personalmente trovo che i Dragoni2 stiano giocando bene. Non si tirano indietro né in attacco né in difesa, stanno facendo un ottimo gioco di squadra e, nei momenti più complicati, stanno dimostrando di essere in grado di improvvisare alla ricerca di una soluzione. Con un atteggiamento come quello che stanno tenendo vincere non sarebbe impossibile, ma è anche vero che gli avversari con cui si stanno misurando sono i Wallabies, gli australiani; fra le loro file ci sono dei veri monumenti, giocatori abituati a misurarsi con squadre quali All Blacks e Springboks3. Tuttavia questo non significa niente. La mia teoria sul rugby è sempre stata che, finché l'arbitro non fischia la fine del match, niente è stabilito.

Guardo un momento Jamie; è incredibilmente preso dalla partita, quasi più del solito. Vedere la nazionale giocare gli piace sempre tantissimo, per lui i Dragoni sono la squadra migliore che si possa guardare lottare per la vittoria. Come se non bastasse da quando ha conosciuto alcuni dei giocatori – Matt in particolare – dice che vedere il Galles è ancora più emozionante.

Anche a me fa effetto pensare a questo. L'idea di essere uscita con Matt, il capitano, in più occasioni, di averlo addirittura avuto in questa casa e ora di vederlo in televisione, la maglia numero sette addosso, a lottare con i suoi compagni per inseguire la vittoria, mi pare talmente assurdo da non sembrare vero, come se avessi sognato tutto. Eppure non ho sognato assolutamente niente, sono perfettamente consapevole che tutto ciò che è successo con Matt è vero, che quello che provo per lui è vero.

Lancio istintivamente un'occhiata a Jenna, anche lei concentrata sulla partita. Come comprensibile le ho raccontato tutto, le ho detto della cena a casa mia, di quello che ho capito quando lui è uscito; le ho raccontato il motivo per cui Matt si è presentato da me quella mattina è di tutto ciò che è accaduto l'ultima sera che siamo usciti insieme. Jenna si è impettita mano a mano che le raccontavo ogni cosa, l'espressione soddisfatta che le si allargava in volto, perfettamente consapevole del fatto di avere sempre avuto ragione su di me. Per fortuna ho come l'impressione che, ora che ho ammesso di essere stata dalla parte del torto, si sia fatta meno insistente su tutta questa storia. Ciò può essere anche dovuto al fatto che, da ormai sei giorni, non ho quasi più avuto a che fare con Matt. L'ultima volta che ci siamo visti è stata domenica scorsa, il due, alla partita fra Cardiff Blues e Edinburgh, al terzo tempo. Aveva assistito al match dalla tribuna, non potendo giocare, ed era venuto al terzo tempo come un tifoso qualsiasi. Abbiamo chiacchierato, bevuto qualcosa insieme e, nuovamente, non ho percepito il passare del tempo.

Cenerentola non lucidava palloni da rugbyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora