Capitolo 9

325 31 3
                                    

Sono in cucina e sto preparando la colazione per tutti. È mattina presto e non c'è ancora nessuno sveglio, stanotte hanno fatto tutti tardi. Mi piacerebbe mettere un po' di musica, ma non posso, allora indosso le cuffiette e mi diverto a preparare l'impasto per fin troppi Waffle anche per Toby.
Finalmente mi sento a casa, nel vero senso della parola. Non mi preoccupo del fatto che i miei coinquilini siano degli assassini spietati, e nemmeno del fatto che la migliore amica è rinchiusa in cantina ed è torturata a morte. Non posso farci nulla anche se mi dispiace tremendamente. Da quando sono qui ho imparato ad amare questi essere a modo mio, come loro amano me. Siamo tutti sulla stessa barca e ci è impossibile cambiare vita, torniamo tutti a questo, in un modo o nell'altro.
Mentre sbatto l'impasto con la frusta mi rendo conto di aver ricordato tutto quello che mi serviva, tranne il motivo per cui sono andata via e se io abbia mai ammazzato qualcuno o no. È stato divertente sentirmi avvampare ogni volta che mi tornava in mente qualche episodio con  Jason, che nel frattempo ha imparato a non trattarmi male. Quando siamo da soli è una persona differente e mi sembra così fragile, così piccolo sotto il mio sguardo. Poi arrivano gli altri ed io non esisto più. Penso a queste cose futili e rido della mia stupidità. Non stiamo nemmeno davvero insieme, cosa mi aspettavo? È cambiato dall'ultima volta che sono stata qui. Prima siamo cresciuti insieme, ora siamo cambiati e siamo due persone totalmente diverse da quelle che eravamo in precedenza.

Mi poggio con le mani al bancone e sospiro, non c'è posto per me nella sua vita. Guardo l'impasto e mi rendo conto che dovrei iniziare a cucinare, così faccio scaldare la piastra per Waffle e li cuocio a due a due. Quando sto per finire mi tolgo le cuffie, questa musica mi annoia. Sto ascoltando le stesse canzoni da settimane e non ho modo di scaricarne altre. Dovrei chiedere di potermi prendere un computer, sarebbe l'ideale, ma ovviamente è impossibile, figuriamoci.

Sento qualcosa sfiorarmi la spalla e mi vengono i brividi. Mi volto di scatto e non vedo nessuno, a parte un'ombra passare velocemente in corridoio. L'unica cosa che sono riuscita a guardare bene in quel frangente di secondo è una sciarpa a righe. Prendo un coltello dalla lama lunga, stavolta so come difendermi e non mi armerò di una padella come quando Masky si presentò a casa mia. Eren mi ha insegnato come parare i colpi e come affondarli e non mi arrenderò tanto facilmente. Quella cosa è una minaccia, ne sono certa, e non era per niente uno di noi.

Mi affaccio in corridoio, non c'è nessuno. Procedo lentamente verso la porta d'ingresso e controllo la sala comune, sulla sinistra. Vuoto. Comincio ad avere paura. Quell'essere è sicuramente qui, la porta è ancora chiusa a chiave. Penso per un istante di urlare e avvisare gli altri, ma mi schiaffeggio mentalmente, sarebbe una pessima idea, mi farei sgamare e probabilmente ammazzare.

Sento ansimare dall'altra parte del corridoio e mi volto velocemente da quella parte, ritrovandomi davanti Amanda, sanguinante. Mi viene incontro tenendosi con una mano un braccio ancora ferito, residuo di una delle torture di stanotte da parte di Ben, che ha vinto i Giochi. L'ultimo scontro è stato con Eren, che nonostante la sua forza di volontà non è riuscito a contrastarlo. Il biondo ha ribaltato le classifiche e ha vinto.
La mia migliore amica zoppica visibilmente e non riesco a fare a meno di aiutarla. Vado da lei e la sostengo. Mi cade addosso, ma continuo a reggerla, senza lasciarla andare. La ragazza mi abbraccia e mi scappano un paio di lacrime, mi è mancata così tanto.
Per un istante non mi preoccupo più dell'essere in giro per casa e mi rendo conto di star sbagliando terribilmente.

«È stato semplice, sai, farti fidare di me. Così ingenua, così piccola di fronte al mondo. Non mi è costato un cazzo.» la voce di Amanda è roca mentre pronuncia queste parole. Mi accoltella a un fianco e il dolore che provo è minore di quello causato da ciò che mi ha appena detto. Non riesco a crederci. Non sembra essere in lei, non è la donna che ho conosciuto. Non riesco a urlare, a emettere suoni, richiami d'aiuto. Cado al suolo e resto lì, mentre lei se ne va, grondante di sangue e piena di rancore e rabbia.

Quando la mia ferita si rimargina, com'è successo anche quando mi ha ferita LJ, è troppo tardi e Amanda se n'è andata. Striscio vicino al muro ancora dolorante e mi appoggio con la schiena lì, seduta per terra. Mi porto le ginocchia al petto e piango, piango tutte le lacrime che posso e senza emettere un singolo rumore soffro. Mi sembra di essere stata violata un'altra volta e mi sento una stupida, perché per tutto questo tempo non l'ho mai capito e mi sono perfino fidata.

Dopo un tempo indefinito mi decido ad alzarmi e mi asciugo le guance arrossate e screpolate e vado in cucina. Ho bisogno di un bicchiere d'acqua. Ora che ci ripenso la cosa migliore da fare sarebbe dovuta essere avvertire gli altri immediatamente, e mi sento anche egoista per questo, perché ho preferito lasciarmi cadere in quell'angolo e pensare a consolarmi.

«Buongiorno Sylvia.» la voce di Ben mi porta via dai miei pensieri e ho paura di come possa reagire alla notizia - sicuramente non bene.

«Ben, ti devo parlare...»

Il biondo mi guarda senza fiatare e ascolta per filo e per segno quello che ho da dire, ogni minimo dettaglio, qualsiasi cosa. Quando ho finito l'elfo si porta le mani alla faccia e la strofina, in segno di disapprovazione e delusione. Lascia andare un grande sospiro e si alza di scatto, guardandosi intorno e lanciando una sedia via.

«Non è possibile!» urla mentre continua a far cadere oggetti, soprammobili, piatti, posate. Poi mi prende e mi sbatte contro il muro. Giro istintivamente la testa da un lato, chiudendo gli occhi per la paura e stringendoli forte. Le mie mani tremano e non riesco a stare calma mentre Ben comincia a picchiarmi. Pugni allo stomaco, calci. Stramazzo a terra senza riuscire a dire una parola e soffro ancora una volta in silenzio, perché è quello che ho sempre fatto ogni volta che stavo male.
Quando decide di lasciarmi andare resto rannicchiata vicino alla vetrinetta, dove Ben tira un pugno prima di andare via urlando il nome dell'Operatore. Le schegge di vetro mi colpiscono, ma non fanno più male. Torno a piangere fino a quando non entra Hoodie, sorpreso dal disastro che c'è in cucina.

Brian mi aiuta ad alzarmi e mi abbraccia, ripulendomi in seguito dai pezzi della vetrinetta rotta. Sono senza parole. Non fiato, non mi azzardo senza permesso, e mi chiudo in me, portando le braccia al petto come per difendermi.

«Lascia stare qui, ci penso io.» sussurra il ragazzo guardandomi «Tranquilla.»

Annuisco e vado nella mia camera, con la porta ancora rotta. Mi rannicchio sul letto e muoio dentro, lentamente, mortificata per quello che è successo.

Non sono buona a nulla.

Memories || Jason The Toy maker [IN SOSPESO] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora