Capitolo 4

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Mi sveglio in un letto che non è il mio, in una stanza che non conosco. Tutto è totalmente in bianco e nero: mobili, pareti. Tutto. Mi guardo intorno. Sembra una camera singola, anche se il letto è matrimoniale. Ci sono un armadio e una scrivania, ma per il resto è vuota, quasi inabitata. Il particolare che mi colpisce è la mensola appesa al muro, piena di libri, simbolo che qualcuno prima di me viveva qui. Cerco di alzarmi, ma un forte capogiro me lo impedisce, così torno a sdraiarmi.

Rimango a guardare il soffitto per tanto, troppo tempo. Non ho mai passato così tanti minuti o ore - ho perso la cognizione del tempo - senza fare nulla. La cosa mi deprime, ma cerco di restare calma. In una situazione come questa non posso buttarmi giù per così poco: mi hanno rapita, non so dove sono e l'unica cosa che devo fare adesso è combattere. Il mio istinto di sopravvivenza si attiva, com'è giusto che sia, ma una parte di me resta tranquilla, come se conoscessi già questo posto, queste stanze. A volte mi tornano in mente immagini, nomi. È una cosa che mi è successa spesso, ma non gli ho mai dato peso. Non ricordo nulla prima della mia adolescenza. L'unico fatto di cui sono sicura è che i miei genitori non erano i miei veri genitori.
Un pomeriggio ho trovato dei documenti che certificavano la mia adozione. Quando ho accennato il discorso, sono stata sbattuta fuori di casa. Per loro sono sempre stata un mostro e non ho mai capito perché. Così mi sono chiusa e ho creato una maschera tutta mia. Ma se questo posto potesse entrarci qualcosa, potesse dirmi chi sono davvero? Se questo posto potesse essere una casa per me, un posto che non ho mai avuto, allora cosa farei? Non so chi sono loro, non so chi sono io. Tanto meno so dove mi trovo. E allora mi perdo a pensare e pensare. Pensare alla vita. Pensare alla morte. Pensare a cosa diavolo ci faccio qui.

La porta di legno scuro si apre lentamente e rivela la stessa figura che è entrata in casa mia. Urlo e indietreggio sul letto, spaventata, col batticuore e la testa che gira ancora più di prima. Quando si toglie la maschera, sul mio volto si forma un'espressione impaurita ma sollevata, felice che sia Tim e non qualcun altro.

«Posso spiegarti...» comincia, sedendosi accanto a me, tremante, quasi mortificato di fronte all'evidenza. Allunga una mano verso il mio viso e io mi scanso, ancora sotto shock per questa rivelazione. Gli chiedo perché, perché sono qui? Perché era a casa mia?
«È difficile farti ricordare, sai? Hai celato tutto dietro la maschera della ragazza perfetta, quella che non fallisce mai. Ma io lo so che in fondo ti ricordi di noi.» Fisso il ragazzo senza dire una parola, incapace di percepire menzogne nelle sue parole cariche di malinconia. «È successo anche a me. Piccoli frammenti di memoria si stagliano nella tua mente e non capisci perché, ma tutto ti pare familiare, anche se non ti sembra.»

Scuoto la testa, mentre lo guardo. Mi parte un'involontaria risatina nervosa che non riesco a controllare, poi mi tornano in mente delle immagini rapide. Successioni di scene di vita quotidiana con quel ragazzo dalla maschera bianca e con il suo amico dal cappuccio giallo.

Tim poggia una mano sulla mia spalla. Non credevo che il contatto fisico potesse essere così rassicurante, l'ho sempre odiato. Porta la sua mano sulla mia guancia e mi asciuga una lacrima di probabile stress misto a disperazione. Mi lascio andare su quel porto sicuro e i miei occhi si bagnano velocemente, senza fermarsi.

Hoodie.

Alzo lo sguardo. Un ragazzo con una felpa gialla è entrato in camera e ci fissa insistentemente. Non parla, anzi si nasconde dentro il suo cappuccio, imbarazzato.

«Ciao Sylvia.» Lo abbraccio istintivamente, senza capire il perché di quel nome, ma lo abbraccio forte, come se mi fosse stato portato via per un'intera vita. Qualcosa dentro di me mi fa essere felice di quest'abbraccio, quasi l'avessi desiderato con tutto il cuore.

«Mi sei mancata.» sussurra Hoodie abbracciandomi a sua volta e passando una mano tra i miei capelli, lasciandogli anche un flebile bacio.
Non comprendo bene perché, ma il mio cuore si riempie di gioia, vera gioia. Sento piano piano una parte di me respirare di nuovo e riaffiorare in superficie. Mi sembra di aver trattenuto il respiro sott'acqua per così tanto tempo.

Ancora stretta tra quelle braccia, con lo sguardo di Tim puntato verso di noi, entra Ben, in una veste molto diversa da quella con cui mi si era presentato la prima volta. Saluta Hoodie col suo vero nome, Brian, e mi annuncia che un certo Operatore desidera vedermi, chiedendo a Tim di accompagnarmi. Procedendo lungo un corridoio pieno di scudi, armi e armature, mi ricordo di Jason e Jack. Ci saranno sicuramente anche loro e la paura torna a farsi sentire.
Incrociamo un tipo dai capelli castani, con degli occhiali a lenti arancioni e un waffle in mano. Penso che andremo d'accordo già solo per i dolci. Ogni persona che ho incontrato finora qui dentro ha un volto familiare. Lo stesso vale per Toby (così l'ha chiamato Tim), il quale sembra molto sorpreso all'idea di vedermi qui. Camminiamo ancora e sento alcune voci in una stanza con una porta rossa: «Non l'abbiamo nemmeno dovuta tenere d'occhio per troppo tempo. Che stupida, ha abboccato così velocemente. Non so se sia una buona idea farla tornare qui, è troppo pericoloso. Jack, non so che fare. Sai com'è andata quando eravamo insieme.»
Scuoto la testa, non si origlia, è maleducazione, ma non riesco a fare a meno di pensare che stessero parlando di me. La voce del ragazzo era particolarmente disperata, come se soffrisse nel sapere che lei è di nuovo qui, come se potesse farle del male da un momento a un altro.

Arrivati di fronte a una grande porta scura, Tim mi fa entrare e guardo l'uomo senza volto di fronte a me, la creatura più temuta di sempre dopo la morte. Se ne ho sentito parlare? Tutti l'hanno fatto almeno una volta. Ma no, io mi ricordo bene. Quest'uomo è stato come un padre per me. Alcune immagini mi tornano in mente e lo riconosco, in quei gesti, in quelle mani, così sottili e bianche e affusolate. Lo riconosco in quello stridio che sento nelle orecchie, che mi fa venire mal di testa. Lo riconosco in quel vestito, così elegante, che gli calza a pennello sul corpo esile e magro. Lo riconosco in tutto e per tutto, e non ho paura.

«Ciao Sylvia.»

Memories || Jason The Toy maker [IN SOSPESO] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora