13. Confessioni pericolose

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«Leonard, ti prego fammi parlare. Sono anni che stiamo insieme e lo so che è un duro colpo per te accettarlo, ma non ti amo. Ogni cosa finisce: il vino, le serie dei tuoi telefilm preferiti e anche l'amore.»

La mia voce era ancora insicura ed era un ulteriore passo indietro visto che stavo provando il mio discorso allo specchio da un'ora. Mi sistemai le bretelle del reggiseno sulle spalle e mi infilai una camicia.

Avevo ottenuto degli appuntamenti da alcuni dottori a cui presentare Febril, il nuovo farmaco contro la stitichezza e non potevo arrivare in ritardo. Certo potevano cambiargli il nome, sembra più un antipiretico così. Mi misi la giacca e mi sistemai i capelli che con il passare dei mesi erano notevolmente cresciuti da quando li avevo tagliati.

Mi chiesi se Sheldon li avesse accettati di nuovo ora che stavano crescendo.

Lo specchio mi restituì il mio riflesso sorridente e questo mi confermò che ciò che provavo per lui doveva essere davvero forte. Raccolsi la borsa che era caduta a terra e mi diressi in cucina per metterci qualche caramella. Bevvi anche un bicchiere di latte, in vista dei numerosi caffè che amano offrirmi i dottori e solo dopo essermi passata il lucidalabbra, controllai di avere tutto in borsa. Mentre chiudevo la porta, sentii una mano adagiarsi sulla mia spalla.

Pietrificata dalla paura, solo grazie allo spirito di sopravvivenza ritrovai la forza per colpire lo sconosciuto con una gomitata nello stomaco.

«Penny,» mi chiamò con un emissione di fiato debole, ma che riuscii a riconoscere come la voce del mio quasi ex fidanzato.

«Leonard, scusami! Pensavo fosse un delinquente!»

Lo aiutai ad alzarsi e mentre tossiva, si aggrappò al mio collo.

«Ti stavo aspettando per andare al lavoro insieme.»

Sbattei le palpebre troppe volte.

«Sheldon non è con te?» chiesi, portandolo davanti alla porta di casa sua indecisa su come muovermi.

«È andato all'università con Raj, dovevano fare un non so cosa insieme.»

«Ah, scusami, ma sono in ritardo e dev...»

«Penny, perché ieri te ne sei andata?» mi interruppe, guardandomi con i suoi occhioni marroni.

In un uomo avevo sempre guardato altro, spesso non sapevo neanche di che colore avessero gli occhi chi frequentavo mentre adesso ero concentrata nel contare ogni minima pagliuzza dorata nell'iridi di Leonard.

Lo avevo fatto anche con Sheldon, solo che le sue erano quasi color argento.

Deglutii a fatica e spostai il suo braccio dal mio collo. Dovevo essere sicura di me. Avevo quasi 30 anni, un lavoro redditizio e non ero più la contadinotta ignorante del Nebraska come quando arrivai con una valigia carica di top e sogni qui.

«Me ne sono andata perché ero in bagno.»

Lui corrucciò la fronte. «Abbiamo anche noi il bagno, non dovevi per forza tornare a casa tua, amore mio,» rispose, sorridendo. Sapeva cosa volessi dire, ma stava fingendo di non capire perché non voleva che lo lasciassi. Il libro di Beverly su suo figlio aveva dannatamente ragione.

«Leonard, devo andare, scusami. Ne parliamo con più calma stasera,» promisi, scendendo il primo gradino.

«Abbiamo la cena a sorpresa con gli Shamy, ricordi il nostro proposito?»

Per fortuna gli avevo dato le spalle o dalla mia espressione avrebbe capito che avevo rimosso la sua stupida idea di farli tornare insieme.

Maledetto.

L'impossibile diventa possibileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora