8. Mancanze

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Il suo sguardo mi congelò. Aveva sentito qualcosa?

«Penny,» mi chiamò e cercai di capire dal suo tono se avesse captato la mia confessione. Niente, sembrava sempre lo stesso. «Eri qui! Sei sparita all'improvviso,» costatò, infilando delle monete nel distributore e selezionando un caffè espresso.

Mi sembrava strano che non avesse sentito nulla.

Cercando di non scottarsi, soffiò sul bicchiere che estrasse dal supporto interno della macchina.

«Hai ragione... dovevo dirvelo che ero uscita, ma...»

«Stai male, lo so. Quando sei confusa e ti senti emotivamente a terra, scappi, ti conosco, so come ti comporti. Ho pensato subito che fossi qui, ma ho voluto darti un po' di tempo per te stessa.»

Ci sedemmo sul muretto e lui bevve il caffè, guardando la stradina asfaltata. Non dissi nulla perché stavo ancora sorridendo per la sua frase. Mi conosceva. Ironicamente, proprio lui poteva forse risolvere la mia confusione. Se non lo avesse ferito, avrei potuto usare la storia di Maggie. Certo, Leonard non era stupido, avrebbe capito subito che non esisteva nessuna mia collega con un problema simile.

Alzai lo sguardo verso il cielo scuro. Il mio sentimento per Sheldon, un altro che amava fuggire come la sottoscritta, mi aveva reso una cattiva amica. Le vite di Howard e Bernadette erano appese ad un filo ed io mi preoccupavo di lui. Mi alzai e Leonard mi seguì con lo sguardo fino alla porta.

«Andiamo?» lo incitai.

Lui si alzò e buttò il bicchiere. Mi raggiunse e lo presi per mano. Ci sorridemmo, anche se il mio cuore stava piangendo. Se lui era contento di sentirmi accanto, io non lo ero. Quel gesto sottolineava ancora di più il mio distacco dall'uomo che stavo per sposare a Las Vegas. Lo lasciai quando arrivammo davanti a Raj e ad Emily che stavano parlando con il dottore.

«... Bernadette si è svegliata e deve riposare. Potete entrare a coppie per qualche minuto,» illustrò il medico, guardando tutti a turno.

«E Howard?» chiesi, temendo la risposta.

«Howard è ancora incosciente, ma è fuori pericolo. Stiamo facendo degli accertamenti.»

Tirai un sospiro di sollievo. Erano vivi. Raj e la fidanzata entrarono per primi e Leonard mi prese la mano nel silenzio della sala d'attesa del reparto in cui li avevano spostati.

«Sono contento che stiano bene.»

«Già,» risposi. Era vero. Stavano bene, nonostante l'incidente e grazie all'operazione d'emergenza.

«Tutto bene? Ti sento assente.»

Io mi limitai ad annuire.

Leonard non era stupido, aveva capito che c'era qualcosa che gli nascondevo. Non lo amavo più perché volevo un altro uomo; non uno qualsiasi però.

«Abbracciami,» gli ordinai di impulso. Allargai le braccia, aspettando che lo facesse.

«Non hai bisogno di chiederlo, lo faccio sempre con piacere,» spiegò, sorridendo.

Appoggiai il mento sulla sua spalla. Dovevo cercare di innamorarmi di nuovo di lui. Dopotutto, prima che Sheldon fosse di nuovo single, lui mi aveva confidato di aver baciato un'altra e nonostante il fastidio iniziale, era andato tutto bene.

Dovevo amarlo, anche se in realtà non sapevo come fare. Mi chiesi se non avessi provato mai nulla per Leonard. Forse era solo affetto, paura di essere sola e di soffrire. Era solo desiderio di accontentare chi mi amava, senza curarmi di me stessa, la voglia di non rischiare.

L'impossibile diventa possibileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora