È ora

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Non sei riuscito...
Non sei riuscito a salvare nessuno.
Nessuno.

Cinque parole, in questa lingua, cinque parole che mi ossessionano.

Sono ricordi. Sono le otto sillabe che sigillarono su di me quella che un tempo era la più tremenda delle maledizioni, la più spietata.

Mio Padre è il Destino, lui tiene i fili e guida le azioni di tutti gli uomini, gli dei e gli altri esseri.
Il mio nome, il nome di un tempo che ormai ho dimenticato, era scritto tra le stelle di ogni firmamento che ogni giorno gli abitanti di ogni terra osservavano. Ero potente. Ma il potere non mi interessava, poiché il mio unico obiettivo era aiutare gli esseri inferiori a me. Salvarli in ogni situazione, qualsiasi cosa facessero, io ero lì sempre pronto ad aiutarli. Ero una costante nelle loro vite. Mi ero ripromesso che li avrei salvati tutti...

In quel periodo gli esseri, le mie care anime, iniziarono ad abituarsi alla mia presenza e a non trattarmi più con l'ammirazione e la gratitudine di un tempo. Compresi di aver fatto un grosso errore a donare loro tutto quello di cui avevano bisogno. Dunque decisi di sparire per un po', mischiarmi tra la folla, vivere come uno di loro per comprendere quello di cui avevo bisogno. Passavano i secoli ed io notavo sempre più come il mio mito venisse dimenticato, occultato alle generazioni future... ed il mio nome, alla fine, venne dimenticato per sempre.
Questo però non mi impediva di continuare il mio viaggio nei mondi per comprendere coloro che un tempo mi adoravano. Mio Padre era contrario a tutto ciò, ma mi lasciava fare, sicuro che alla fine tutto sarebbe andato secondo i suoi piani.

Fu in uno dei miei peregrinaggi tra di loro, quando ormai il pensiero definitivo su cosa avrei dovuto fare si era quasi formato, che lo incontrai.

Era accerchiato da dei banditi alle prime luci dell'alba. Mi chiesi sempre cosa avesse fatto la notte prima, ma non me lo disse mai.
Nel bagliore dorato dell'alba intravidi i suoi occhi sotto il pesante cappuccio. Due occhi scuri, castani, scontati. Ovvi.
Non mi sorpresi del loro colore, ma ciò che mi colpii fu l'inferno che ardeva dentro quegli occhi.

Lo sentivo vicino.
Rinnegato.
Un solitario.
Uno con l'anima bruciata.

Fui subito attratto come una calamita verso di lui e chiesi ad alta voce:"Vuoi aiuto? Mi sembri in difficoltà" il tono beffardo di chi sapeva di poterlo salvare solo sfiorandosi le dita.
Mi osservò per dei secondi che parvero infiniti, sembrava che il tempo si fosse fermato considerato e che i banditi fossero statue fredde e immobili. O forse vedevano qualcosa che io non avrei visto mai.
"Sei cieco e lento. Non vedi?" indicò i banditi.
Vuoto.
Eravamo soli.
"In quale difficoltà mi trovo?" continuò. Tono saccente e voce strana.
Il dubbio mi colpì.
"Tu... chi sei tu? Come hai fatto?!"
Sorrise, accennò con il capo verso l'alba ed io mi voltai. Quando feci per riposare gli occhi su di lui... lui non c'era.
Scomparso.

Chi era lui?

Lui era... nessuno.
Solo nessuno.

Rimasi profondamente sconvolto da quell'incontro e credevo che non avrei mai rivisto quel giovane, tuttavia poche ore dopo tornando alla dimora di nostro padre lo ritrovai lì, nei giardini. Giocava con mia Sorella, l'Ombra, che a quell'epoca era solamente una bambina.
"Ehi, tu!" gli urlai.
Non si voltò.
Mi avvicinai ed iniziai a scuoterlo con vigore "Dimmi chi sei, cosa ci fai qui, come sei entrato e perché stai facendo le treccine a mia sorella!"
Mi osservò di nuovo e sorrise leggermente.
"Patetico." Aveva detto.
Non potevo crederci!
Feci per tirargli un pugno, ma la mano rimase sospesa a mezz'aria.
Aveva abbassato il cappuccio.
"Chi sei... tu?" domandai nuovamente, accennando un sorriso.
"Io sono... nessuno, nessuno di importante"
Sotto il cappuccio una lunga chioma scura era raccolta in una coda. Era una donna.
Non era un ragazzo e non era umano. Era come me.
Ombra sorrideva alla ragazza, ma io avevo perso la capacità di parlare.
Era anonima. Non era... nessuno. Niente di speciale.
"Chiamami Nessuno. Tutti mi considerano un ragazzo, dunque tu fa' lo stesso". Accarezzò Ombra e poi scomparve.
"Chi era?" mi chiese lei subito dopo.
"Nessuno."

Perché il pensiero di Nessuno mi ossessionasse al tempo non seppi dirlo, tuttavia col senno di poi comprendo che quel che provavo per lei fosse qualcosa di forte.
La vedevo tutti i pomeriggi nei giardini. Ed era strano parlare con un essere della mia stessa età, ma non mi dispiaceva affatto.
È normale che tu non la ricordi. Nessuno ricorda Nessuno. Semplicemente perché questo è il suo potere, sparire dalla mente della gente e, cancellato il ricordo, sparire anche fisicamente. I banditi erano semplicemente andati via non ricordando perché si trovassero lì.

Tornando alla maledizione, ho incise sotto pelle, tra le vene e nella mente la vera condanna cui mi ha destinato mio Padre.

"Non sei riuscito a salvare Nessuno"

E con Nessuno non si intende solo la ragazza, ma anche tutti gli altri: infatti compresi che l'uomo era un essere inutile, tendeva a compiere gli stessi errori di sempre ed a ripetere la stessa storia nei secoli con piccole varianti che riuscivano a renderla ogni volta peggiore. Compresi che l'uomo doveva vedere tutto quello che aveva fatto affinché potesse nascere una nuova razza di uomini migliori.
Volevo provare. Tuttavia, mio padre mi chiamò a sé e mi mostrò quel che sarebbe accaduto in futuro con sguardo severo. Osservai la desolazione ed il terrore causati da me e dalla mia follia. Ma non reputavo il mio piano sbagliato e dunque non gli diedi ascolto... non eseguii nemmeno il suo ultimo ordine: "Smettila di farti Nessuno, nullità."

Accettate il mio consiglio, non ve ne pentirete.

Mai provare a ribellarsi al Destino.

Stavo per compiere un gesto, uno di quelli che avrebbero condizionato l'intera esistenza del mondo, quando mio padre con un sorriso beffardo mi mostrò Nessuno che cadeva nel Vuoto, dimenticata per sempre da tutti.

Catene si formarono ai miei polsi ed alle mie caviglie, mentre la mia condanna che suonava come una beffa si tracciava a fuoco sulla mia pelle.

"Non sei riuscito a salvare Nessuno. Che il Nulla sia la tua condanna, ribelle!"

Non sentii più la consistenza di un corpo. Semplicemente mi dissolsi. Provai ad urlare, ma Destino disse: "Nessuno sentirà le tue urla di disperazione. Per sempre" aveva trovato il modo di ferirci entrambi ed al tempo stesso tenerci separati.

Una piccola soddisfazione però l'ho avuta: nel quadro che mio padre mi aveva mostrato io ero in un corpo. Nel mio corpo.
Sono riuscito a cambiare i piani del Destino.

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