Sono andato avanti.
Ho viaggiato, nascosto nell'immensità del nulla universale, dove non ci sono né aria, né rocce e nessun rumore.Fuggivo il mio regno,
Il Limbo.Lei era morta.
Avevo perso ogni cosa, persino me stesso.
Non seppi trovare il coraggio di affrontare la verità, e scappai.
Volai lontano, al riparo da tutto e da tutti, nascosto nel mio guscio di noce, dove potevo fingere che non fosse avvenuto niente.
Che tutto fosse ancora come un tempo.
Dormii un sonno agitato, turbato dalla consapevolezza che al mio risveglio non ci sarebbero stati i suoi baci.
Non piansi.
Anche le lacrime mi erano state portate via.
Sono nato immortale, e lo sono tutt'oggi. Anche se nessuno mi vede io esisto, sogno, spero e soffro come ogni creatura.
Il vantaggio di non essere nulla è che si è tutto.
L'orrore dell'immortalità è l'assenza di morte.
No, non ridere: quale vantaggio per te, come per me, non poter morire, se si è costretti a veder morire tutte le persone a noi care?Conosco segreti che uccidono, parole che rianimano e magie tra le più incredibili, ma, anche volendo, non posso farne uso.
Non posso nulla.
Non sono riuscito a salvare nessuno.
Ma sono andato avanti.
Mi sono spinto lontano, fino a raggiungere luoghi su cui non si era mai soffermato alcun occhio.
Ho visto stelle bruciare e morire, supernove trasformarsi in buchi neri, stelle di neutroni.Ho visto cose che acquisterebbero senso solo nella mente di un pazzo, realtà in cui materia ed energia sono vaneggiamenti, le leggi della fisica deliri inauditi.
E ho visto il Tempo.
Finalmente, avevo incontrato qualcuno che avrebbe potuto aiutarmi. Finalmente avrei smesso di soffrire.
Tempo aveva sicuramente la forza di opporsi a mio Padre.
Così pensavo.
Speravo.
Pur non prendendo decisioni, non si rifiutò tuttavia di aiutarmi, anche se non nel modo che io immaginavo.
Mi mostrò un frammento del suo mantello, ed immediatamente vi fui attirato all'interno, come una falena nel cuore colmo di nulla di quell'essere umano.
Mi trovavo circa a metà del ventesimo secolo, in una città il cui nome mi è sempre stato ignoto.
Era un bambino, molto piccolo.
La sua famiglia viveva in un sotterraneo, assieme ad altri e ai topi.No, vi era nascosta. Da cosa, lo avrei scoperto in seguito.
E il loro salvatore, colui che gli reggeva il gioco e li proteggeva, era anche il loro torturatore.
Ogni settimana, l'uomo doveva consegnare un certo numero di... le definiva "quelli della vostra razza", affinché i suoi superiori non si insospettissero.
La vita degli abitanti del sotterraneo era strettamente intrecciata con la morte di altri innocenti.
E quando il quantitativo era minore di quel che avrebbe dovuto, veniva "rimpolpato" con loro stessi.
Questa era stata la sorte dei genitori del bambino, la ragione del nulla del suo cuore.
Incapace di vedere altro, fuggii.
Ma neppure il nulla può sfuggire al Tempo, e per la seconda volta ci incontrammo.
Chiesi spiegazioni. Per quale motivo mostrarmi quel ricordo?
"Ci sono sempre vittime" mi disse "La salvezza di pochi a volte vale la vita di molti".
Era ingiusto. Mostruoso.
"Eppure, non ti saresti fermato a riflettere un solo istante, prima di mettere in atto il tuo piano".
Le sue parole mi trafissero come la più affilata delle lame.
"Io... Era la cosa giusta da fare" mi difesi, debole e patetico. Il suo sguardo di malcelato disgusto mi spronò a continuare, con maggior forza. "Non credere che Destino sia migliore! Potrebbe far bruciare l'Universo e non battere ciglio. Se quell'uomo, in quel sotterraneo, era costretto a decidere chi doveva vivere e chi morire, è solo perché... perché..."
Mi fermai di colpo.
Avevo capito.
"Neppure mio Padre può decidere il corso degli eventi, non è così? È un giudice, ma la sentenza di ognuno è già stata scritta"
Tempo non confermò né negò le mie parole. Sorrise, ma nei suoi occhi non c'era traccia di intesa o divertimento.
Quando parlò, era ancora freddo. "Smetti di fuggire. Affrontalo, se sei rimasto quello che eri".Scomparve, e fu come non ci fosse mai stato.
Rimasi solo tra le stelle, perso nel buio.