Storia #3 - Una bambina terrorizzata

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NdA: spero un giorno quando avrò una laurea di rivedere questo capitolo. Ho cercato di mettere assieme articoli scientifici su grafene e penta-grafene, ma... non si sa mai. Potrei anche aver detto cavolate fisiche ma, capitemi: sono solo al secondo anno dell'inferno.

-Quindi... questo è pentagrafene?- chiese il poeta, sorreggendo una biro di un materiale trasparente, come plastica, squadrata a formare un parallelepipedo di base esagonale.
-Il primo prototipo- ridacchiò la fisica, sistemandosi gli occhiali. -E' stata dura sintetizzarlo, ma ce l'ho fatta.
-Ce l'abbiamo fatta- la corresse il muscoloso essere al suo fianco, dandole un colpo con la sua ala. -Anche se l'hai rifatto dopo che io ne ho sintetizzato un foglio.
-Ed è veramente resistente!- esclamò di nuovo il poeta, sbattendola contro un sasso, e vedendo come nessuno dei due si scheggiasse.
-In realtà, se lo svolgessi, vedresti come è incredibilmente flessibile. La struttura esagonale è garantita solo da una gabbietta di plastica all'interno.
-Così era questo che stavi ricercando?- continuò il poeta, incuriosito.
-Stavo cercando la maniera per sintetizzarlo... se ti interessa, è una bella storia- sorrise lei, adagiandosi meglio nella vasca.
-Ho tutta la notte- rispose lui, preparando la macchina da scrivere.

I

La donna si adagiò alla panca a dondolo, inspirando la gelida aria d'alta quota. Ogni volta che vedeva il sole tramontare, pensava ancora agli insulti dei paesani. "Quella struttura è uno stupro per le montagne!" dicevano loro... lei invece diceva che per uno stipendio misero doveva vivere come un'eremita in una specie di cilindrotto di cemento. E tutto perché doveva provare a sintetizzare del materiale rivoluzionario.
La donna espirò, guardando le ultime luci del tramonto svanire sotto il viola e l'indaco pesanti della sera, come un bambino che cerca di coprire le sue guance infreddolite con una coperta gelida.
-Sia lodato il tramonto...- sospirò, pensando a come sarebbe stato bello abbracciare il cuscino della sua fortezza ed avvolgersi nelle coperte biancastre e di rado lavate. Ma d'altronde era in alta montagna. I microbi non potevano arrivare con facilità, e se fossero arrivati aveva una cassa di medicinali per combatterli.
-Allora... io me ne vado...- commentò la collega, accendendosi una sigaretta. -Scendo alla piattaforma d'atterraggio e prendo l'elicottero...
-Sparisci...- commentò la donna, accendendosi una sigaretta.
-Sei sicura di non voler venire con me...? Mia nonna fa dello zabaione che...
-Sparisci...- ripeté lei, sbattendo gli stivali nella neve. -E augura un felice natale a tutti i tuoi.
-Sei sicura che non ti sentirai sola...?- commentò lei, finalmente imbracciando le valigie.
-Ti sei scordata dell'università, quando le vacanze erano solo una scusa per avere dei giorni in più per studiare? Che ti fa credere che ora sia cambiato qualcosa? Vattene.
La collega scosse la testa, sconsolata. Scese a passi lenti e calibrati la scaletta di acciaio, afferrandosi alla fune per non cadere, e raggiunse l'elicottero. Questo prese vita, mentre le lunghe pale giravano come le ali di una libellula, e mentre la neve gelida veniva gettata sul volto della donna.
-Non starò certo qui a farti ciao ciao...- disse, come se la ragazza potesse ancora sentirla. Gettò la sigaretta nella neve, ed entrò nel laboratorio.

II

Si svegliò nel cuore della notte. Sospirò, sollevandosi a sedere, per poi sputare nel cestino al suo fianco. Che stupida, era sola in quel cilindrotto di cemento, che poteva fare ora? Controllò l'orologio. Le quattro di mattina.
-Oh beh... vorrà dire che mi faccio un caffé... chissà, tanto per passare il tempo potrei provare quei cruciverba che ci portano sempre col giornale...
Scese lentamente le scalette di cemento, sbadigliando. Ne aveva abbastanza di quel posto, ma non sapeva dove andare. I suoi genitori? Sepolti. La sua famiglia? L'aveva dimenticata. Gli amici? Solo le provette e il carbonio. E la moka, ovviamente.
-Allora... dove cavolo è la moka...?- si chiese, frugando nella credenza. -Ah, eccola! Pensavi di sfuggirmi? Oh, andiamo, lo sai che ti voglio bene, non fare la difficile...- ridacchiò, aprendo il rubinetto e facendo scorrere l'acqua ottenuta dalla neve.
E poi, lo sentì.
Il crepitare della neve. Di molta neve. Uno spostamento d'aria. Un tonfo, sul tetto, e la caduta dei venti centimetri di neve più vicini al tetto.
Si affacciò, timorosa.
Un'immensa orma di lucertola giaceva fresca sulla neve fluorescente.
Senza perdere un attimo, corse al tavolo degli strumenti. Imbracciò la bombola di ossigeno, ponendo un accendino alla sua estremità, per poi correre verso la porta, e spalancarla.
-Chi sei?!- urlò, mentre il vento gelido le sferzava il volto e spegneva la debole fiamma. -O cosa sei?!
La donna corse nella neve, girando fino al punto in cui aveva visto l'orma, gettando uno sguardo al tetto aguzzo del suo odiato cilindro di cemento. Tutta la neve era caduta, il tetto di pannelli solari splendeva alla luce della luna, spoglio, ma non distrutto, come se qualsiasi cosa si fosse aggrappata lì fosse contemporaneamente leggiadra e distruttiva.
-Ma che cosa...?- ansimò lei, abbassando il braccio.
-Buonasera- commentò una voce suadente dietro di lei.
In un solo istante, la sua situazione le corse al cervello. Non aveva armi, la fiamma dell'accendino era spenta, e non sapeva come cavarsela. Decise quindi di ruotare su sé stessa, sperando di dare abbastanza forza per sbattere la bombola in faccia al visitatore.
-Queste cose sono pericolose- commentò lui, bloccando delicatamente la bombola con un movimento del braccio, piegandolo verso di sé per seguirne il movimento. -Di solito questo posto è deserto di questo periodo. Tu chi sei?
-Una fisica che non festeggia natale- ringhiò lei, calando però lo sguardo lungo il corpo nudo e muscoloso del visitatore... osservando però anche come a tratti la sua pelle fosse coperta di squame bianche, e come due possenti ali di pipistrello sostituissero le sue scapole. Per non parlare degli occhi, giallognoli, rilucenti e dalle pupille verticali, o delle corna che spuntavano da una testa squamosa e priva di capelli.
-Molto piacere. Io sono un drago.
La fisica lo fissò per un istante. Poi entrò nella struttura, si fece un caffé, tornò indietro, sbatté la faccia contro la neve e lo fissò di nuovo.
-Scusa puoi ripetere?
-Molto piacere. Io sono un drago.
-Ah.
-Eh già.
-Ah.
-Puoi smetterla di parlare a monosillabi?- chiese lui, sentendosi un po' inquietato.
-Non è l'effetto delle quattro del mattino, vero?
-No...- commentò lui.
-E non è che sei disposto ad infilarti nel mio letto e a farmi utilizzare i tuoi pettorali da sogno come cuscino, vero?
-Che...?
-Niente.

Dodici Dialoghi di Uomini e MostriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora