Storia #5 - Se la vita ti offre limoni, sorridi e ringrazia

5 0 0
                                    

-Quindi... tu sei...
-Lo spettro della morte, sceso a terrorizzare voi mortali!!- sghignazzò l'uomo pallido, avvicinandosi al volto del poeta. -Ma sono anche in pausa.
-E sei nato attorno al... '45?
-Nel 1944 per l'esattezza, su un letto di un ospedale da campo della Seconda Guerra Mondiale. È una storia affascinante la mia, e piena di sorprese.
-Se lo dici tu... e... la tua... amica?
-Oh, lei... beh, si potrebbe dire che è mia madre. Che dici, vogliamo iniziare?

I

La crocerossina chiuse l'entrata della tenda, avanzando verso il tavolo del moribondo. Oramai, nessuno gli dava più peso. I medici avevano rinunciato a sistemare il moncone di gamba che era rimasto dopo l'esplosione della mina, così come a rimuovere i frammenti metallici piantati nel suo petto. Probabilmente non avrebbe visto un'altra alba. E per la ragazza non c'era occasione migliore.
Si sfilò la bacchetta che tratteneva lo chignon, mentre i capelli cinerei cadevano a cascata alle sue spalle, e slacciò il collarino che teneva sempre stretto al proprio collo. Senza curarsi del trucco sotto di esso, alzò le sue mani, afferrando la sua testa in corrispondenza delle orecchie. Per poi tirare verso l'altro, mentre questa si staccava. Tuttavia, nonostante che al posto di trachea, esofago e carne avesse solo un buco nerastro, di cui la sua testa portava il tappo, camminò con tranquillità verso il letto del soldato, scrutandolo. La dullahan si leccò i baffi, fissando gli occhi deboli e tremanti dell'uomo. Era ora di banchettare.
-Chi... sei...?- chiese debolmente il soldato, con un piccolo sorriso sulle labbra, cercando di alzare la sua mano.
-La pace- rispose lei, appoggiando la testa di fianco a quella del soldato, per mordergli un orecchio. Come lo fece, il soldato svenne, avvelenato dal paralizzante dell'essere. Invece, lei chiuse gli occhi, fondendo le loro coscienze. Quando li riaprì, vide solo la sagoma spettrale della vittima, che lentamente prendeva forma. La dullahan, con tutto il suo corpo in quella forma, avanzò verso il soldato, osservandolo, scrutandolo, finché questo non ebbe preso la forma giusta.
Subito, le mani corsero fameliche al piede del soldato, tirandolo, staccandolo, ma senza rumori o spruzzi di sangue, come una sagoma di carta strappata. La dullahan sorrise, mentre i suoi denti affondavano nell'anima del soldato, usando quella forma per scrutare nel suo passato. D'altronde, era questo che la teneva in vita: cercare moribondi, divorare i loro ricordi, nutrirsi dei loro sogni. La Seconda Guerra Mondiale per lei era un buffet "più mangi meno paghi". Con tutto quel mangiare, avrebbe potuto durare migliaia di anni. Però sceglieva di essere discreta, di mangiare silentemente, e di rado. Non voleva certo che la sua copertura saltasse.
Adesso però basta parlare della dullahan, è ora di conoscere il nostro secondo protagonista.

II

La dullahan aprì gli occhi su un orfanotrofio, completo in ogni minimo dettaglio. Tutti pensano che i ricordi siano come un film, in realtà sono come una proiezione in 3D: ogni paesaggio o elemento è riprodotto come la persona se lo ricorda, e il vuoto sostituisce ciò che egli si dimentica. All'interno di questo teatrino corrono eventi, personaggi, creature che restano impresse nelle nostre coscienze. I dettagli tuttavia sono spesso sbiaditi, infatti di rado le persone li notano. A volte addirittura ci si ricorda solo l'evento, o di aver fatto qualcosa di particolare, e si vede tutta un'azione priva di senso o di contesto, come una persona che si ricorda di aver scalato un monte di cui non si ricorda le fattezze, e si vede solo il protagonista salire il vuoto con movimenti scoordinati ed insensati. Insomma, chi si ricorderebbe mai ogni movimento fatto per scalare una montagna?
La dullahan tuttavia era rimasta piacevolmente sorpresa: quest'uomo aveva una memoria eccezionale, si ricordava persino che il gatto dell'orfanotrofio nel giorno in questione penzolava dall'albero del cortile, anche se non si ricordava né il colore del pelo né degli occhi, e quindi si vedeva solo la sagoma di un animale ciondolante e vuota.
-Allora, mezza cartuccia!- si sentì per tutto lo scenario, riecheggiante come un colpo di cannone. Sono così i ricordi: non è il senso della realtà ad essere protagonista, ma l'evento che si svolge in essi.
-Cosa volete?- chiese il soldato, a quell'epoca un bambino, scavalcando il cancello dell'orfanotrofio, e nascondendosi dietro l'albero.
-Esci da qui, pezzo di ciarpame!- urlarono di nuovo gli adolescenti, picchiando contro il cancello di ferro.
Il ragazzo tuttavia non li ascoltò, correndo verso l'orfanotrofio, e infilandosi in una finestra.
D'improvviso, come col cambio di una diapositiva, il paesaggio cambiò, diventando quello di una classe con una trentina di sagome oscure di bambini. Solo due immagini risultavano riempite: quelle del soldato bambino, e quelle del maestro, che lo osservava con un sorriso sulle labbra, il gesso ancora in mano.
-Vuoi unirti a noi?- chiese il maestro, fissando il bambino.
-Io... sono qui solo per fuggire da...
-Non importa- sorrise lui, inclinando leggermente la testa. -La cultura è di tutti. Anche tua. E a giudicare da come sei vestito, non te la passi bene, eh?

Dodici Dialoghi di Uomini e MostriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora